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Un atto violento dopo la separazione: sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

Un uomo veniva condannato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravato dalla presenza del figlio minorenne, per condotte dal 2013 al 6 agosto 2020 e per il delitto di lesioni aggravate, per trauma cranico. La Corte d’Appello riteneva interrotta la condotta nel febbraio 2019 (per la separazione) ed applicava la sanzione meno grave prevista antecedentemente alla Legge n. 69 del 2019 (codice rosso).
Avverso tale sentenza presentava ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello.


Secondo la Cassazione dalla sentenza di primo grado emergeva come le condotte violente, umilianti, limitative della libertà e denigratorie da parte del marito si fossero sviluppate, in modo continuativo, nell’arco di sette anni, anche alla presenza del figlio minorenne, sino a determinare la donna a separarsi; successivamente, la stessa veniva aggredita (con un tentativo di strangolamento) il 6 agosto 2020.

La Corte di appello, invece, riteneva interrotte le condotte maltrattanti al febbraio 2019 e ciò in base alla circostanza che la coppia si fosse separata: secondo la Cassazione la sentenza va cassata con rinvio.

La sentenza impugnata ha, infatti, ritenuto apoditticamente cessate le condotte maltrattanti in coincidenza della separazione, così escludendo che la gravissima aggressione subita dalla donna alla presenza del figlio il 6 agosto 2020, fosse
in rapporto di continuità con le violenze pregresse. Oltretutto a questa condotta ne avevano fatto seguito altre, che pur non descritte nel capo di imputazione, erano tali da comprovare l’abitualità e la sistematicità delle condotte maltrattanti anche dopo il 6 agosto 2020.

La Cassazione affronta la questione della consumazione del delitto e, dunque, della sanzione applicabile nel caso di successione di leggi nel tempo (prima e dopo il Codice Rosso), dopo aver svolto importanti precisazioni sul reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

Si tratta di un reato di durata,
nel senso che il suo iter si sviluppa nel tempo e lede in modo protratto il bene dell’integrità fisica e morale, della dignità umana e dell’autodeterminazione della persona offesa.  E’ un reato necessariamente abituale: “proprio” quando le condotte maltrattanti, fisiche o psicologiche, singolarmente prese non configurano reati; “improprio” quando invece lo sono.

Dopo l’integrazione del delitto, gli eventuali episodi successivi vi si saldano, in una linea di continuità, ledendo, in modo ripetuto, il medesimo bene giuridico: vi è una serie minima di atti, anche non delittuosi, riconoscibili solo a posteriori come idonei a perfezionare il fatto tipico
nei suoi elementi costitutivi (realizzazione); quelli ulteriori hanno la funzione di spostare in avanti la sua consumazione, che andrà a coincidere con il compimento dell’ultimo atto della sequenza criminosa (consumazione).

La violenza domestica si manifesta attraverso molti atti, come forme di disprezzo, umiliazioni, denigrazioni, ricatti morali, manipolazioni psicologiche, richiami costanti all’inadeguatezza delle donne nei loro ruoli familiari (come mogli, madri o figlie), l’utilizzo di appellativi sessisti.

Il singolo segmento della condotta deve essere collocato, dunque, nell’ambito del più ampio sviluppo della stessa, causalmente orientata alla creazione, prima, e al mantenimento, poi, di un rapporto ordinariamente fondato su una matrice sopraffattoria.


Se un nuovo atto, anche non costituente reato, si manifesta a distanza di tempo rispetto alla condotta maltrattante già perfezionatasi, occorrerà valutare se questo sia riconducibile alle “note modali attraverso cui si è ordinariamente sviluppata la condotta dall’autore”; inoltre, solo un significativo intervallo temporale può escludere
l’abitualità.

Va, poi, ricordato come spesso le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche – poste in essere nei confronti del coniuge nell’ambito domestico – proseguano nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare. Anzi si aggravano proprio in conseguenza della scelta della persona offesa di compiere un atto (la separazione) che rappresenta l’affermazione di autonomia e libertà, negate nella relazione di coppia.

La separazione non esclude, quindi, la sussistenza del reato di maltrattamenti e il coniuge separato resta “persona della famiglia”.


Il tempus commissi delicti coincide con la cessazione dell’abitualità, per cui, nell’ipotesi di condotta protrattasi sotto due differenti regimi normativi, la sanzione
è quella vigente alla data della consumazione del reato, anche se sfavorevole rispetto a quella precedente e ciò, secondo gli Ermellini, non viola il principio di irretroattività della legge penale più grave: il nostro ordinamento, pur lasciando invariata la descrizione della condotta, si è posto in linea con fonti normative sovranazionali e, soprattutto, con la Convenzione di Istanbul.

Con la sentenza in esame la Cassazione offre quindi una perfetta descrizione del grave reato di maltrattamenti in famiglia, sottolineandone la natura abituale e giungendo ad escludere che la separazione interrompa l’abitualità.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.