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Matrimonio e unione civile: la convivenza ante celebrazione rileva ai fini della quantificazione dell’assegno

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiamato dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 25, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 76 cit.

Questo il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite civili della Cassazione con la sentenza n. 35969 depositata il 27 dicembre 2023 al termine di un procedimento che prendeva avvio a seguito dello scioglimento di un’unione civile tra una donna di Pordenone ed una di Venezia.

La donna residente in Pordenone conveniva in giudizio la ex, residente originariamente a Venezia, chiedendo lo scioglimento dell’unione civile con la stessa costituita il 17 dicembre 2016, con la esclusione dell’obbligo di corrisponderle un assegno, avuto riguardo all’autosufficienza economica della stessa.

La convenuta non si opponeva allo scioglimento dell’unione, ma chiedeva in via riconvenzionale il riconoscimento dell’assegno, in considerazione dello squilibrio patrimoniale e reddituale esistente con l’attrice e del sacrificio professionale affrontato per seguire a Pordenone l’attrice. 

All’esito della comparizione delle parti e alla luce delle prove offerte, il Tribunale di Pordenone, dopo aver pronunciato lo scioglimento dell’unione, riconosceva alla convenuta un assegno di Euro 550,00 mensili, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile; i giudici infatti attribuivano rilievo alla funzione compensativa-risarcitoria dell’assegno, consistente nell’indennizzare l’avente diritto per la perdita di chances determinata dalla rinuncia a migliori opportunità di lavoro, in funzione dell’unità e dello svolgimento della vita familiare.

L’attrice proponeva ricorso rivendicando l’autonomia economica della ex e la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 22 luglio 2020 lo accoglieva revocando l’assegno pur senza prevedere la restituzione di quanto versato.

La convenuta allora ricorreva in Cassazione e la Prima Sezione civile, investita della importante decisione sottesa alla controversia, disponeva la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, che assegnava il ricorso alle Sezioni Unite che si è espressa in accoglimento delle ragioni di diritto della ricorrente in modo conforme a quanto stabilito solo 10 giorni prima con riferimento all’assegno divorzile e alla rilevanza della convivenza prematrimoniale.

Con la sentenza n. 35385 del 18 dicembre 2023, infatti, sempre le Sezioni Unite si erano espresse dopo un anno dall’ordinanza di remissione, sancendo che “ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».

Queste due sentenze delle Sezioni Unite sono estremamente importanti poiché, ai sensi dell’art. 5 della Legge sul divorzio, la cui applicazione è estesa anche alle unioni civili per espresso richiamo della legge n. 76 del 2016 all’art. 1 comma 25, l’assegno divorzile deve essere determinato non solo in base alle disponibilità patrimoniali ed economiche del soggetto obbligato, ma anche alla durata del matrimonio/unione civile. Insieme all’età di chi ne ha diritto, la durata del matrimonio e dell’Unione è uno degli indici di cui il Giudice deve tener conto per stabilire la misura dell’assegno da riconoscere all’ex privo di mezzi economici propri, e impossibilitato a procurarseli. Ne consegue che quanto più lunga è stata la durata del matrimonio/unione, maggiore dovrà essere l’importo da riconoscere.

Posto che sempre più spesso le coppie giungono alla decisione di sancire la loro unione dopo anni di convivenza, nel corso della quale magari nascono anche dei figli per la cui crescita uno dei due conviventi ha sacrificato le proprie aspirazioni professionali, ben si può comprendere come il principio di diritto enunciato dalle due sentenze abbia una grande importanza e sia segno di un progressivo allineamento dell’ordinamento verso una unità di trattamento dei due istituti.

La Corte ha infatti richiamato la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) relative al diritto al rispetto della vita familiare e privata e ha ritenuto che escludere la convivenza di fatto anteriore all’unione civile dalla valutazione per l’assegno avrebbe potuto costituire una discriminazione a danno delle coppie omosessuali, in violazione dell’articolo 8 della CEDU.

Inoltre i giudici di legittimità hanno anche chiarito che tale principio si applica anche alla convivenza iniziata prima dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà, tenuto conto che il principio di irretroattività non esclude l’applicabilità della legge ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere dopo la sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando gli stessi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, indipendentemente dal collegamento con il fatto che li ha generati.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).