
L’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ha natura alimentare: non basta riaccoglierlo nella casa familiare per evitare il versamento mensile
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
In tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l’adempimento del relativo obbligo è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 337-ter e 337-septies c.c., non potendo applicarsi la disciplina prevista dall’art. 443 c.c. per l’adempimento delle obbligazioni alimentari, diverse per finalità e contenuto, con la conseguenza che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento dell’obbligazione che può scegliere unilateralmente il genitore obbligato, costituendo, semmai, un elemento da valutare, ove esistente, ai fini della quantificazione dell’assegno ai sensi dell’art. 337-ter, comma 4, c.c. Ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve tenersi conto delle condizioni di vita del figlio durante la convivenza dei genitori e deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata delle consistenze di entrambi.
Questi i principi di diritto espressi dalla Suprema Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 3329/2025 pubblicata in data 10 febbraio 2025.
Il caso di specie trae origine dal procedimento introdottonell’aprile 2020 da un ragazzo ventiduenne, studente universitario che viveva da solo, nei confronti della di lui madre al fine di ottenere la condanna della madre a corrispondergli un contributo al mantenimento.
Con sentenza emessa nel 2023 il Tribunale di Torino, accogliendo integralmente la domanda del ragazzo, condannava la madre a corrispondere al figlio € 900,00 a titolo di contributo al mantenimento oltre al 50% delle spese straordinarie. Lo stesso Tribunale confermava inoltre, l’onere in capo al padre del ragazzo di continuare a versare a quest’ultimo l’importo di€ 1.082,00 a titolo di contributo al di lui mantenimento oltre al restante 50% delle spese straordinarie.
Avverso la suddetta sentenza la madre proponeva appello chiedendo di revocare l’obbligo di versamento del mantenimento affermando di aver chiesto al figlio che viveva da solo di tornare a vivere con lei e che lui aveva rifiutato. La Corte d’Appello di Torino accogliendo in parte le richieste materne, disponeva la revoca dell’importo mensile a titolo di contributo al mantenimento, confermando il solo obbligo della stessa a corrispondere al figlio il 50% delle spese straordinarie.
Secondo i giudici di secondo grado, tenuto conto che l’obbligazione alimentare assume aspetti di obbligazione alternativa per cui sussiste la possibilità dell’obbligato di scegliere tra la corresponsione di un assegno e l’accoglimento della persona nella propria casa, il figlio non poteva richiedere alla madre il contributo al mantenimento perché la madre non aveva avvallato la scelta del figlio di abbandonare la casa familiare per andare a vivere da solo.
La Corte d’Appello affermava inoltre, che non poteva essere imposto alla madre l’onere di contribuire al mantenimento del figlio visto che quest’ultimo già riceveva dal padre un importante contributo mensile oltre all’integrale pagamento delle spese straordinarie.
Avverso la suddetta decisione il ragazzo proponeva ricorso per Cassazione lamentando che la Corte territoriale aveva errato nell’affermare che l’assegno di mantenimento richiesto avesse esclusivamente natura alimentare e che, visto che la madre aveva proposto al figlio una modalità differente per porre rimedio al suo stato di bisogno, il ragazzo non poteva vantare il diritto all’assegno. Secondo il ricorrente, infatti, il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne era diverso dall’assegno alimentare per natura e presupposti.
Con il secondo motivo il ragazzo lamentava che la Corted’Appello aveva ritenuto la contribuzione al mantenimento da parte del padre sufficiente senza tenere in considerazione che, per legge, entrambi i genitori devono contribuire al mantenimento dei figli secondo il criterio di proporzionalità e del tenore di vita dagli stessi goduto durante la convivenza con i genitori.
La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato.
Nelle motivazioni gli Ermellini ricordano che l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente è differente, per finalità e presupposti, dall’obbligo alimentare e per tale motivo al primo non può essere applicata la disciplina prevista per l’adempimento dell’obbligazione alimentare. Conseguentemente pertanto, il genitore obbligato a mantenere il figlio non può scegliere unilateralmente di adempiere all’obbligo mediante accoglimento in casa del figlio, costituendo quest’ultimo fatto, semmai, un elemento da valutare ai fini della quantificazione della quantificazione dell’assegno.
In merito poi alla determinazione dell’ammontare dell’assegno gli Ermellini, ricordando il principio di legge secondo cui entrambi i genitori devono contribuire al mantenimento dei figli proporzionalmente alle proprie sostanze, evidenziava come la Corte territoriale si fosse limitata a dare rilievo al fatto che il padre già corrispondeva un contributo al mantenimento per il figlio senza effettuare alcuna valutazione comparata dei redditi dei genitori e senza tenere in considerazione il tenore di vita del ragazzo durante la convivenza con i genitori.
Alla luce delle suddette motivazioni la Corte di cassazioneesprimeva due principi di diritto.
Con il primo evidenziava l’impossibilità di applicare all’obbligo di mantenere i figli la disciplina relativa all’adempimento delle obbligazioni alimentari, con la conseguenza che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento dell’obbligazione che può scegliere unilateralmente il genitore obbligato.
Con il secondo spiegava che ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve tenersi conto delle condizioni di vita del figlio durante la convivenza dei genitori e deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata delle consistenze di entrambi.
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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.