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L’alta conflittualità tra i genitori non è di ostacolo all’affidamento condiviso.

(A cura dell’Avv. Angela Brancati)

La Corte di Cassazione con l’ordinanza di recente pubblicazione n. 28380/2023 è tornata a pronunciarsi su un tema sempre più attuale riguardante il diritto alla bigenitorialità del minore anche in presenza di una situazione altamente conflittuale tra i genitori.

Accade sovente, infatti, che i giudici di merito si trovino a dirimere delle controversie in cui uno dei genitori si oppone al regime di affidamento condiviso del figlio per le condotte maltrattanti poste ai danni dell’altro genitore. È quanto verificatosi dinanzi il Tribunale di Benevento prima e la Corte d’Appello di Napoli poi, di fronte alla richiesta di un padre di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio di fronte al diniego materno.

L’uomo, infatti, conveniva in giudizio la madre con la quale aveva avuto una relazione conclusasi bruscamente il giorno prima della nascita del figlio, a seguito del diniego opposto dalla donna a fronte della richiesta di riconoscimento dell’appena nato da parte del ricorrente.

Il Tribunale di Benevento dichiarava la paternità dell’uomo e disponeva contestualmente ex art 250 c.c. l’affidamento del minore ad entrambi i genitori nel rispetto del principio della bigenitorialità ed il collocamento prevalente presso la madre.

Avverso tale pronuncia proponeva impugnazione la madre del minore ed all’esito di tale giudizio la Corte d’Appello di Napoli conformemente a quanto statuito dal giudice di prime cure in ordine all’affido da attuarsi nel caso di specie, reputava che la conflittualità tra i genitori caratterizzata anche da minacce e violenze non costituisse ragione per disapplicare la regola dell’affidamento condiviso nel caso in cui le condotte non fossero tali da pregiudicare il benessere psicofisico della prole.

Anche avverso tale sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a due differenti motivi a cui resistevano con controricorso il padre e il Curatore Speciale del minore. Con il primo motivo la ricorrente denunciava la cattiva applicazione degli art. 112 e 306 c.p.c. avendo il resistente introdotto un’azione volta alla dichiarazione giudiziale di paternità ex art. 273 c.c. e non mediante lo strumento di cui 250 c.c.

La Corte di Cassazione ritenendo il motivo infondato stante il potere del Giudice di merito di riqualificare la domanda introduttiva individuando le norme di diritto applicabili nel caso in cui l’attore avesse errato nella qualificazione giuridica dell’azione. Nel caso di specie, in particolare, sebbene l’uomo avesse adito il Tribunale di Benevento mediante la proposizione della domanda ex art. 273 c.c., il giudice di merito aveva correttamente riqualificato la domanda ex art. 250 c.c. alla luce della richiesta paterna di procedere all’accertamento giudiziale della paternità, senza incorrere tuttavia in alcuna violazione tra chiesto e pronunciato. La Cassazione a tal proposito aggiungeva l’assunto secondo cui: “la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa”.

Con il secondo motivo del ricorso la madre lamentava altresì l’omesso esame di fatti decisivi ai fini dell’affidamento non avendo il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi considerato la pendenza di un procedimento penale a carico dell’uomo, il quale aveva posto in essere condotte maltrattanti ai di lei danni.

Il motivo è risultato inammissibile per difetto di autosufficienza essendosi la ricorrente limitata ad individuare i fatti storici non esaminati dalla Corte d’Appello senza tuttavia indicare alcun dato testuale o extratestuale da cui risultavano esistenti nonché la parte della decisione che li avrebbe omessi. Gli Ermellini precisavano inoltre che la pendenza di un procedimento penale non costituiva un fatto decisivo ed idoneo a cassare una decisione sulla base dell’assunto secondo il quale “il riconoscimento di un figlio naturale costituisce diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psicofisico del minore”. La Corte d’Appello aveva infatti valutato tutti gli elementi del caso concreto, tra cui anche le condotte oggetto di procedimento penale, reputandole in ogni caso da sole non idonee a connotare un giudizio di pericolosità sociale nei confronti del soggetto richiedente, aggiungendo che “anche gravi dissidi tra i genitori, comprensivi di minacce o di violenze, se non coinvolgono la prole, non sono idonei a derogare dalla regola dell’affido condiviso”.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.