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L’allontanamento concordato dalla casa familiare non giustifica il cambio della serratura.

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)

L’Ordinanza del 6 luglio 2025 del Tribunale di Milano affronta una tematica particolarmente delicata in ambito familiare: la tutela possessoria dell’abitazione coniugale all’interno della crisi coniugale nell’ipotesi in cui uno dei due coniugi dovesse spontaneamente allontanarsi.

Un marito preso atto della intollerabilità della convivenza e intrapreso il percorso separativo con la moglie, si allontanava spontaneamente dalla casa familiare, previa comunicazione all’altra parte, la quale depositava ricorso per separazione e senza alcun avviso decideva di cambiare le serrature impedendogli da quel momento l’ingresso. Il marito adiva così il Tribunale domandando ex art. 1168 c.c., la reintegrazione nel possesso. Il tribunale accoglieva il ricorso, contestualmente rigettando le eccezioni preliminari della resistente e ordinando la reintegrazione nella “codetenzione qualificata” dell’immobile adibito a casa familiare.

In via preliminare, il Giudice analizza le eccezioni pregiudiziali di rito sollevate della resistente, ritenendo infondate le deduzioni relative:

a) alla connessione ex art. 40 c.p.c. con il giudizio di separazione pendente, e

b) alla richiesta di sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa di provvedimenti nel procedimento separativo.

Entrambe le questioni vengono respinte per carenza di interferenza oggettiva e giuridica tra i due giudizi.

Il Giudice osserva che l’autorizzazione a vivere separati, eventualmente concessa in sede di separazione, non equivale ad un provvedimento di rilascio o allontanamento dalla casa coniugale, né comporta automaticamente la cessazione della detenzione qualificata da parte del coniuge che si allontana volontariamente.

L’oggetto del procedimento possessorio resta perciò del tutto autonomo rispetto alle valutazioni in sede di separazione, che attengono al diritto sostanziale e alla regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali.

La Sentenza aderisce all’orientamento consolidato secondo cui anche il detentore qualificato, cioè colui che esercita un potere di fatto sulla cosa per finalità proprie e con autonomia decisionale (come accade all’interno della comunione familiare), è legittimato ad agire in reintegrazione contro lo spoglio subito. Rileva infatti non il titolo giuridico del possesso, bensì la mera relazione di fatto esercitata con corpus e animus, anche se derivante da un accordo interno tra le parti e indipendentemente dalla proprietà del bene.

Nel caso di specie, il Giudice valorizza alcuni elementi fattuali decisivi, il ricorrente, infatti:

– non aveva mai formalmente rinunciato alla detenzione dell’immobile;

– era in possesso delle chiavi dell’abitazione fino al momento dello spoglio;

– aveva comunicato tramite i propri legali che l’allontanamento era solo temporaneo e finalizzato ad agevolare il percorso separativo, non costituendo un “rilascio” della casa familiare. Inoltre, la promessa di non entrare senza preavviso di 24 ore configurava una modalità convenzionale e rispettosa della convivenza familiare, non una rinuncia al potere di fatto sull’immobile.

Tutti questi elementi, hanno portato il Giudice a riconoscere la persistenza di una situazione possessoria tutelabile, la cui interruzione unilaterale, mediante il cambio della serratura da parte della moglie, ha integrato uno spoglio vietato.

Il Giudice, infatti, ha qualificato l’atto della moglie come spoglio anche alla luce della sua valenza “confessoria”: il fatto stesso che la resistente abbia sentito la necessità di mutare la serratura dell’abitazione, impedendo di fatto al coniuge l’ingresso, costituisce per facta concludentia la prova dell’intenzione di escluderlo dal godimento della res. In questo modo, la condotta si è sostituita a quella del possessore originario in assenza di titolo giudiziario, integrando perfettamente la fattispecie di cui all’art. 1168 c.c.

Viene chiarito che non possono essere accolti i velati riferimenti della resistente a finalità difensive, quasi di legittima difesa personale o reale, a cui sarebbe stato finalizzato lo spoglio. La parte, inoltre, non ha attivato alcuno degli strumenti previsti dall’ordinamento sia civile che penale al fine di prevenire siffatte e supposte aggressioni alla persona o alle cose.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Giudice ha condannato la resistente alla reintegrazione del ricorrente nella codetenzione qualificata dell’immobile nonché alla rifusione delle spese di lite.

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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.