
L’abbandono del tetto coniugale è sempre causa di addebito della separazione.
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
Con la recente Ordinanza 8366/2025 pubblicata in data 30 marzo 2025 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale il volontario allontanamento dal domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, ove attuato senza il consenso dell’altro coniuge, è sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale. Spetta alla persona che si è allontanata da casa dimostrare la giusta causa o la preesistenza di un’intollerabilità della convivenza.
Il caso di specie prende le mosse da un procedimento di separazione personale tra coniugi introdotto innanzi al Tribunale di Avellino da un uomo che aveva chiesto la separazione con addebito a carico della moglie, asserendo che il matrimonio fosse stato contratto in modo impulsivo e che la convivenza si fosse deteriorata a causa dei comportamenti della moglie. Inoltre, questi aveva chiesto un risarcimento danni di natura extracontrattuale che assumeva essergli stati arrecati.
Nel costituirsi la moglie si era associata alla richiesta di separazione e a sua volta aveva chiesto l’addebito della separazione al marito riferendo di comportamenti violenti, aggressivi, vessatori e prevaricatori da parte del marito sfociati poi nel di lui allontanamento dalla casa coniugale. Il comportamento tenuto dal marito era stato al punto grave da aver reso invivibile il rapporto coniugale ed alterato le qualità e le abitudini della vita della donna.
La resistente aveva, inoltre, chiesto un mantenimento di € 10.000,00 mensili illustrando il significativo squilibrio economico tra le parti in quanto il marito godeva di redditi notevolissimi, in relazione all’attività imprenditoriale svolta mentre lei non lavorava.
Infine, la donna chiedeva la condanna del marito al risarcimento del danno conseguente alle vessazioni psicologiche e morali subite, anche in ordine alla perdita di chance di diventare madre, per la somma ritenuta di giustizia.
Il Tribunale di Avellino, nel pronunciare la separazione tra i coniugi, disattendeva entrambe le richieste di addebito e rilevava che il punto saliente del fallimento del rapporto coniugale rientrava nella mancanza di un’approfondita conoscenza della personalità dell’altro coniuge e delle aspettative (la procreazione), che entrambi avevano riposto per il funzionamento del matrimonio. In merito al mantenimento, liquidava la minor somma di €1500,00 mensili e rigettava la domanda di risarcimento dei danni.
La moglie allora proponeva appello ma la Corte di Appello di Napoli respingeva il gravame in punto addebito, limitandosi ad aumentare a €2000,00 il contributo mensile al mantenimento della donna.
Avverso la suddetta sentenza la moglie proponeva ricorso per Cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 151, secondo comma, c.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione al rigetto della domanda di addebito per l’abbandono del tetto coniugale e la violazione dei principi di diritto in punto assegno di mantenimento laddove la Corte di Appello di Napoli aveva erroneamente applicato i pro propri dell’assegno divorzile.
La Suprema Corte di Cassazione, studiato il caso, ha accolto i suddetti motivi.
Gli Ermellini confermano che secondo i consolidati principi di legittimità, la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito.
Inoltre, secondo i principi generali, in tema di separazione, grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
Il volontario allontanamento dal domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione del dovere matrimoniale di convivenza ed è conseguentemente di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale in quanto porta all’impossibilità della convivenza, a meno che l’autore della condotta abbandonica non abbia dimostrato l’esistenza di una giusta causa ex art.146 c.c. o che l’abbandono sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto. Costituisce una “giusta causa”, la presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare.
L’anteriorità della crisi della coppia esclude il nesso causale tra la condotta di uno dei coniugi, violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio, e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, integra un’eccezione in senso lato, e può essere rilevata d’ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo, anche se va tenuto conto che l’accertamento dell’addebito non è escluso dall’esistenza di criticità e disaccordi esistenti prima del matrimonio, poiché la connotazione di conflittualità del rapporto è diversa dalla situazione di vera e propria intollerabilità della convivenza, la quale, se è cagionata da violazioni di obblighi matrimoniali da parte di uno dei coniugi, può determinare l’addebito della separazione.
In merito invece al contributo al mantenimento della donna, gli Ermellini denunciano l’erronea applicazione dei principi dell’assegno divorzile e richiamano invece il tenore di vita della coppia e la differente situazione economica tra i coniugi.
Alla luce delle suddette motivazioni, gli Ermellini ritenevano che la Sentenza della Corte D’Appello di Napoli non fosse conforme ai suddetti principi.
Infatti, la Corte di merito aveva erroneamente attribuito alla moglie l’onere di provare che l’allontanamento fosse stato la causa della crisi coniugale. In realtà, in relazione all’allontanamento è colui che ha posto in essere la condotta violativa degli obblighi matrimoniali a dover provare la giusta causa e/o la preesistenza di una intollerabilità della convivenza.
Per quanto riguarda i rapporti intrattenuti dai coniugi dopo l’abbandono della casa familiare (frequentazione, viaggi, vacanze)la Corte d’appello ha erroneamente ravvisato nella tolleranza una esimente della responsabilità per addebito o, meglio, l’ha ritenuta espressione di una sostanziale cessazione dell’affectio coniugalis, perché tale affermazione è priva di riscontri di fatto concernenti il caso specifico ed è avvalorata solo da richiami giurisprudenziali.
Alla luce delle sopra esposte motivazioni la Corte di Cassazione ha accolto i motivi del ricorso relativi all’addebito della separazione calcolo del contributo al mantenimento della donna separata e ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Napoli, rinviando la causa per un nuovo esame alla Corte di Appello, in diversa composizione.
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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.