
La violenza economica può integrare il reato di maltrattamenti?
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
La Corte di Cassazione ha recentemente emesso un’importante sentenza sul reato di maltrattamenti in famiglia, con specifico riferimento alla violenza economica (sent. n. 12444/25).
Ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Potenza che, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva assolto l’imputato dal reato di maltrattamenti in famiglia, rideterminando la pena esclusivamente in relazione al reato di lesioni personali.
Il Procuratore Generale aveva impugnato la sentenza lamentando la violazione dell’art. 572 c.p., con particolare riguardo alla rilevanza delle condotte di violenza psicologica ed economica e alla mancata motivazione sull’asserita reciprocità delle offese.
Il ricorso è stato ritenuto ammissibile e fondato. La Cassazione ha preliminarmente ribadito che, anche in caso di riforma assolutoria rispetto a una condanna di primo grado, il Giudice d’appello ha l’obbligo di confrontarsi in modo puntuale e argomentato con la motivazione del Tribunale, confutandone le conclusioni con una rinnovata e autonoma valutazione del compendio probatorio. Nella specie, tale confronto era del tutto mancato.
La Suprema Corte sottolinea, poi, come la decisione impugnata abbia ridotto l’intera vicenda a una conflittualità familiare ordinaria, esaminando isolatamente quattro episodi violenti nel corso di una lunga convivenza, tralasciando di considerare l’intero quadro di vessazioni riferito dalla moglie e dalla figlia dell’imputato, confermato anche dai testi escussi.
I Giudici Territoriali non hanno tenuto conto, tra l’altro, delle continue ingiurie, della denigrazione, delle minacce e delle limitazioni all’autonomia personale ed economica della donna, a cui era stato impedito di lavorare e di gestire denaro proprio.
Quindi, anche la limitazione alla propria indipendenza economica va considerata come un atto violento: più precisamente la “condizione di soggezione e dipendenza economica imposta alla moglie, impedendole di affrancarsi e rendersi autonoma economicamente”.
Ha specificato che l’imposizione di una condizione di dipendenza economica, se attuata attraverso condotte umilianti, ricatti o privazioni strumentali, può integrare la fattispecie incriminatrice.
In particolare, ha richiamato il principio per cui anche la violenza economica può assumere rilievo penale, qualora incida sulla libertà e sulla dignità della vittima.
Sul punto, la Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello non abbia adeguatamente considerato la portata delle condotte contestate: la chiusura del conto bancario, il controllo ossessivo delle spese e la pretesa che la moglie facesse acquisti (la spesa) solo in sua presenza e soltanto una volta a settimana. Condotte che il Primo Giudice aveva, invece, ritenuto espressione di un potere autoritario e prevaricante, accettato dalla vittima per tutelare i figli e mantenere un’apparente unità familiare.
Infatti, secondo gli Ermellini “l’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente, quando i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche e organizzative assunte seno alla famiglia, unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti violenza o di prevaricazione psicologica, integrano il delitto di maltrattamenti in famiglia”.
La Cassazione ha chiarito che il reato di maltrattamenti si configura anche in presenza di comportamenti reiterati, non necessariamente ravvicinati nel tempo, idonei a ledere la dignità della persona offesa con violenza fisica o psicologica.
Quanto alla reciprocità delle offese, la Suprema Corte ha escluso che questa possa assumere automaticamente valore scriminante, se non in presenza di condotte di pari intensità e gravità, che nel caso di specie non risulta affatto. Non è, inoltre, condizione del reato la soggezione assoluta della vittima o la sua incapacità di reazione.
Alla luce di tutte queste considerazioni, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno per nuovo giudizio in merito al reato di maltrattamenti e per la conseguente rideterminazione della pena, essendo nel frattempo divenuta definitiva la responsabilità dell’imputato per il reato di lesioni. Alla stessa Corte è stata rimessa anche la liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità.
Dopo la recente sentenza n. 1268/25, la Cassazione torna quindi ad esprimersi sulla violenza economica, ampliando di fatto la nozione di maltrattamento e compiendo un ulteriore importante passo nella lotta contro la violenza domestica.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.