Il diritto della madre a voler rimanere anonima e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini
(a cura dell’Avv. Angela Brancati)
La materia sugli atti di stato civile offre importanti spunti di riflessione in merito al bilanciamento dei diritti in capo al nato e ai genitori, in particolare alla madre. Di recente la Corte di Cassazione è, infatti, intervenuta con la sentenza n. 19824/2020 delineando i presupposti per l’accoglimento della domanda di informazioni sulle proprie origini avanzata da un figlio la cui madre alla nascita manifestava la volontà di voler rimanere anonima.
L’articolo 30 del DPR al primo comma stabilisce che “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”. Tale disposizione si coordina con l’articolo 28 della legge 184/83 che in materia di adozione specifica che: “Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e della annotazione di cui all’ultimo comma dell’articolo 26. L’ufficiale di stato civile e l’ufficiale di anagrafe debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria”. Entrambi gli articoli concorrono a delineare il profilo del diritto all’anonimato da parte della genitrice ovvero dei genitori biologici. La previsione di un diritto di tal fatta è derivata dalla necessità di tutela dell’ordine pubblico, nell’ottica di disincentivare il ricorso a metodi di interruzione di gravidanza e di evitare che la madre ricorresse in delle ipotesi estreme anche all’infanticidio, nonché di tutela della salute e della vita tanto della madre quanto del nascituro, la quale potrebbe essere indotta a compiere scelte di natura diversa se fosse esposta ad un’azione circa l’accertamento della maternità.
Tuttavia, se da un lato il legislatore ha sancito il diritto all’anonimato della madre biologica avente carattere costituzionale, al tempo stesso ha riconosciuto rilevanza giuridica anche al diritto di conoscere le proprie origini quale corollario del più ampio diritto all’identità personale, anch’esso avente natura costituzionale. È come in ogni situazione in cui entrano in gioco interessi dal carattere fondamentale, l’interprete è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra gli stessi, facendo prevalere l’uno sull’altro. Prevedere, cioè, un divieto assoluto di accedere a quelle notizie riguardanti la propria famiglia d’origine per il solo fatto che il genitore abbia espresso la volontà di mantenere l’anonimato rispetto alla nascita, non sempre corrisponde alla tutela dell’identità personale, dovendo essere rimesso al giudice l’apprezzamento e la prevalenza dell’uno o altro interesse.
È quanto accaduto nella controversia portata all’attenzione della Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte di secondo grado con cui veniva confermata la decisione emessa dal Tribunale di merito dove veniva giudizialmente accertato che l’attore fosse figlio di una donna, nel frattempo deceduta. La ricorrente lamentava che nel giudizio di accertamento della maternità finalizzato all’accesso alle informazioni relative alle proprie origini, il diritto all’anonimato della madre dovesse essere sempre considerato prevalente, anche laddove fosse intervenuto il decesso della genitrice e laddove questa non avesse in vita revocato la volontà di rimanere anonima.
La Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile confermando di fatto le precedenti statuizioni, effettuando una chiara distinzione tra l’ipotesi in cui la richiesta di accertamento della maternità fosse avanzata nel corso della vita della madre ovvero una volta accertato il decesso della stessa.
Nella prima ipotesi, la giurisprudenza prevalente ritiene che il diritto all’anonimato debba, sebbene non in automatico, prevalere sempre sul diritto all’identità personale del figlio
Nel caso, invece, in cui sia intervenuto il decesso della madre, come nel caso preso in considerazione dalla Corte di Cassazione, tuttavia, il diritto può essere compresso o indebolito in ragione di un prevalente interesse in capo al figlio a conoscere le proprie origini. Nel caso di specie, inoltre, la madre si era presa cura del figlio senza tuttavia riconoscerlo. Anche sul tema, tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la tutela dell’anonimato non si esaurisce in automatico con la morte della puerpera dovendosi anche in questo caso bilanciare l’interesse del figlio con il diritto alla protezione sociale creata dalla madre durante la propria vita, nonché con la necessità di tutela degli eredi e dei discendenti della donna che ha optato per l’anonimato.
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.