I numeri della violenza contro le donne
(A cura dell’Avv. Alice Di Lallo)
“Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”
L’episodio di cronaca che ha, di qualche giorno, preceduto il 25 novembre scorso, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ha scosso tutta la società e ha invitato la collettività ad una riflessione seria e profonda sulle origini della violenza maschile sulle donne per sradicare, alla base, questa piaga che è trasversale.
La violenza contro le donne, infatti, è la violenza dell’uomo contro la donna in quanto donna e, come tale, non è direttamente legata alle condizioni economiche, allo status educativo e sociale delle donne e dei maltrattanti.
Viene definita dalla Convenzione di Istanbul una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne. Ha radici profonde nella cultura di possesso e di dominio dell’uomo sulla donna che ancora permea la nostra società.
Come ogni anno, per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’Istat pubblica nuovi dati sul sistema informativo Violenza sulle donne.
E partendo proprio dalle origini della violenza, degno di nota è il dato sugli stereotipi di genere e sull’immagine sociale della violenza. Dai dati provvisori maggio-luglio 2023 emerge una minore tolleranza della violenza fisica nella coppia. Il 10,2% degli intervistati, soprattutto giovani, dichiara, però, di accettare ancora il controllo dell’uomo sulla comunicazione (cellulare e social) della propria moglie/compagna.
Il 48,7% degli intervistati ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale. Il 39,3% degli uomini pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e quasi il 20% pensa che la violenza sia provocata dal modo di vestire delle donne.
Si pensi che soltanto 42 anni fa un uomo, dopo aver stuprato una donna, poteva sottrarsi al carcere, evitando la condanna semplicemente sposando quella donna. Il 5 settembre 1981 in Italia viene abolito il matrimonio riparatore: quel matrimonio celebrato dopo la violenza sessuale faceva estinguere il reato. Lo stupro, infatti, non era considerato un crimine contro la persona ma contro la morale pubblica.
Interessante è anche il dato diffuso dall’Istat rispetto a chi siano gli imputati dei delitti quali stalking, maltrattamenti in famiglia e violenze sessuali: gli autori delle violenze sono soprattutto maschi. Le graduatorie dei singoli reati definiti in Procura, classificati per paese di nascita degli indagati, mostrano una prevalenza di autori di origine italiana, in particolare per i reati di stalking (86% autori che iniziano l’azione penale e 83,2% archiviati) e di maltrattamenti in famiglia (74,2% inizio dell’azione penale e 74,7% archiviati). Rispetto agli altri reati presi in considerazione, nei casi di violenza sessuale e violenza di gruppo diminuisce la quota degli italiani: in particolare, per la violenza sessuale si ha il 60% di autori italiani per i quali inizia l’azione penale e il 68,4% per i quali è predisposta l’archiviazione; per la violenza di gruppo si hanno rispettivamente i valori del 55,3% e 54,2%.
Fondamentale è il lavoro che ogni anno i Centri Antiviolenza svolgono per sostenere le donne dal percorso di uscita dalla violenza. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica (Istanbul, 2011) prevede che gli Stati aderenti predispongano “servizi specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione” della Convenzione.
Con riferimento all’anno 2022, dall’Istat emerge un aumento dei Centri antiviolenza: in totale sono 385 +3,2% rispetto al 2021, +37% rispetto al 2017 (primo anno dell’Indagine). Gli sportelli di ascolto (665) contro la violenza, attivati dal 52,2% dei Centri antiviolenza, favoriscono la prossimità territoriale della rete di protezione per le donne.
Nel 2022 le donne che hanno contattato almeno una volta i Centri antiviolenza sono state 60.751, in
aumento del 7,8% rispetto al 2021 e del 39,8% rispetto al 2017, un dato analogo a quello dell’aumento
dei Centri.
Le donne chiedono di essere ascoltate, accolte, sostenute tramite un supporto psicologico, assistite legalmente ma anche di essere aiutate nella ricerca di un lavoro e di una casa, di rendersi indipendenti.
Come può, infatti, una donna che subisce violenza uscirne se dipende economicamente dal maltrattante? Come può essere davvero libera se non dispone di un lavoro, di un reddito, di una casa?
Le donne che si rivolgono ai CAV hanno subito soprattutto violenze fisiche, psicologiche, minacce e
violenze economiche; violenze che conducono al pronto soccorso nel 31% dei casi e in ospedale (13,6%). Per il 30% delle donne il rischio di recidiva è stato valutato alto o altissimo.
Il profilo delle violenze si delinea in modo del tutto simile a quello che emerge per le vittime dei femminicidi: gli autori sono in prevalenza partner ed ex-partner (78,3%), seguono gli altri familiari (11,1%).
Il 27,5% delle donne ha chiesto un provvedimento di allontanamento o di divieto di avvicinamento e/o di ammonimento; richieste soddisfatte nel 69,7% dei casi e ottenute entro 15 giorni nel 30.
La recente riforma del processo civile ha previsto nuove tutele in sede civile per le donne vittime di violenza nei casi in cui nei procedimenti di diritto di famiglia siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori. In ossequio ai principi dettati dalla Convenzione di Istanbul, viene espressamente vietato il ricorso alla mediazione familiare nei casi di violenza domestica (art. 473 bis. 43 cpc); il consulente tecnico, se nominato dal Giudice, deve esser dotato di particolari competenze in materia di violenza domestica o di genere (art. 473 bis. 44 c.p.c.); in presenza di episodi di violenza domestica, il giudice procede personalmente e senza ritardo all’ascolto del minore evitando ogni contatto tra la vittima e l’autore degli abusi. Non verrà ascoltato il minore che sia stato già sentito in altro procedimento penale e le risultanze sono esaustive (art. 473 bis. 45 c.p.c.); il giudice può disporre l’intervento dei Servizi Sociali e del Servizio Sanitario Nazionale e, quando la vittima è inserita in comunità protetta, può incaricare i servizi per l’elaborazione di progetti finalizzati al suo reinserimento sociale e lavorativo.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.
Da sempre interessata alla tematica dei diritti umani e delle persone, dopo un’esperienza presso la Prefettura di Milano – Sportello Unico dell’Immigrazione, ha iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell’ottobre 2014, è diventata Avvocato, del Foro di Milano. Si occupa di diritto civile, in prevalenza di diritto di famiglia, italiano e transnazionale, delle persone e dei minori, e di diritto dell’immigrazione.
Dal 2011 collabora con la rivista giuridica on line Diritto&Giustizia, Editore Giuffrè, su cui pubblica note a sentenza in tema di diritto di famiglia e successioni e dal 2018 pubblica note a sentenza anche sul portale online ilfamiliarista.it, Editore Giuffrè.
È socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori). Svolge docenze nei corsi di formazione e approfondimento per ordini e associazioni professionali ed enti privati, partecipando anche a progetti scolastici su temi sociali e civili.