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“Ha ritirato la denuncia per violenza domestica, quindi era tutto falso”: ma è davvero così?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

Nel contesto della violenza domestica, la ritrattazione o la remissione della querela da parte della vittima non rappresentano, di per sé, un ostacolo all’accertamento del reato e alla prosecuzione del procedimento penale.

Anzi, secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, tali comportamenti possono persino costituire indici di perdurante soggezione e condizionamento da parte dell’autore delle violenze.

In buona sostanza i supposti rappacificamenti non sono espressione di volubilità e inattendibilità delle persone offese, ma segni di una prevaricazione in atto.

Con la sentenza n. 39562 del 28 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha infatti precisato che: «La ritrattazione costituisce un esito possibile, se non addirittura certo, dovuto alle modalità insidiose, circolari e manipolatorie in cui può svilupparsi la violenza domestica».

La natura ciclica e relazionale della violenza domestica, con fasi alterne tra aggressione e “quiete”, crea uno stato di confusione e vulnerabilità nella vittima, che può arrivare a minimizzare o negare le condotte subite.

In questo quadro, la ritrattazione non è segno di inattendibilità, ma una spia della gravità della situazione in atto, tanto da proseguire le indagini anche in assenza della collaborazione della persona offesa.

Questo principio è stato ribadito da una più recente sentenza (n. 6084/2025) della Suprema Corte all’esito di un lungo procedimento ove era emerso che la persona offesa era sempre stata restia a denunciare, proprio per la paura delle violente reazioni da parte del compagno; aveva deciso di denunciare a causa dell’escalation di violenza.

La Cassazione afferma che “Il reato di maltrattamenti in famiglia (previsto dall’art. 572 c.p.) non è rimesso alla disponibilità della persona offesa e la remissione della querela non produce alcun effetto estintivo, neppure nel caso in cui questa sia spontaneamente resa”.

Del resto, come è ben noto il reato di maltrattamenti è procedibile d’ufficio: si tratta di una scelta di tutela rafforzata, fondata sulla consapevolezza che la vittima spesso non è libera di autodeterminarsi, a causa di minacce, dipendenza affettiva, isolamento o timore per l’incolumità propria e dei figli.

La repressione delle condotte violente è un obbligo per lo Stato per tutelare l’integrità psicofisica delle vittime, anche contro la loro volontà.

La Convenzione di Istanbul sul punto è chiara: lo Stato deve garantire che il diritto delle donne di vivere libere dalla violenza sia preservato, nella fase delle indagini, attraverso una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione di comportamenti violenti (art. 51).

Potrebbe sembrare paradossale procedere contro la volontà della parte offesa. Ma, come sottolinea la giurisprudenza, il riconoscimento della condizione di vulnerabilità della vittima giustifica tale scelta.

Infatti, secondo la Cassazione la ritrattazione o remissione, lungi dall’essere prova dell’insussistenza del fatto, può essere sintomatica del contrario, ovvero della prosecuzione della relazione maltrattante tramite intimidazioni, ricatti, o pressioni psicologiche. Questo vale in particolar modo quando la vittima è minorenne o se ha figli piccoli, casi in cui la reiterazione delle condotte diventa troppo rischiosa.

In buona sostanza, la ritrattazione e la remissione della querela sono spesso sintomatiche di una persistente soggezione e non, invece, di una reale cessazione della condotta criminosa.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.