Ha diritto all’assegno divorzile la moglie che ha sempre lavorato part time per dedicarsi alla famiglia?
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
La Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 29920/2022 depositata in data 13 ottobre 2022 ha chiarito che per il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione compensativa non è sufficiente che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, né il solo divario reddituale, è necessario piuttosto indagare sulle ragioni e conseguenze della scelta di uno dei coniugi di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, che assume rilievo nei limiti in cui sia all’origine di aspettative professionali sacrificate e della rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare in concreto.
Il caso oggi il esame trae origine dalla pronuncia della Corte di Appello di Ancora che accoglieva il ricorso di una donna riconoscendole un assegno divorzile in funzione compensativo-perequativa, in considerazione del contributo dalla stessa fornito alla conduzione della vita familiare, desumibile sia dalla disparità delle condizioni reddituali delle parti sia dal fatto che la moglie si era dedicata prevalentemente alle cure domestiche e dei figli per una scelta comune dei coniugi permettendo, così, al marito un notevole avanzo di carriera.
Avverso tale pronuncia l’ex marito proponeva ricorso per cassazione attraverso cinque motivi che gli Ermellini esaminavano congiuntamente e ritenevano fondati.
Nelle motivazioni la Suprema Corte evidenzia come la sentenza impugnata aveva giustificato l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile, nella misura indicata, in funzione compensativa-perequativa, avendo registrato il rilevante squilibrio reddituale-patrimoniale tra gli ex coniugi (che svolgevano entrambi attività lavorativa) e valorizzato l’attività endofamiliare svolta dalla moglie, nella quale aveva ravvisato il suo contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge, che aveva giudicato di per sé meritevole di essere compensato.
Tale impostazione, però, non rispecchia l’orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 che, accanto alla principale e imprescindibile funzione assistenziale ha valorizzato nell’assegno divorzile la funzione perequativo-compensativa, in presenza di specifica prospettazione del sacrificio sopportato dal coniuge economicamente più debole per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il richiedente ha l’onere di dimostrare), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia e, in tal modo, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale.
Condizione per l’attribuzione dell’assegno divorzile in funzione compensativa non è il fatto in sé che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, né di per sé il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi o l’elevata capacità economica di uno dei due. Bisogna, infatti, indagare sulle ragioni e conseguenze della scelta di uno dei coniugi, seppure condivisa con l’altro, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale è pur sempre attuativa dei doveri inderogabili derivanti per ciascun coniuge dal vincolo matrimoniale, insuscettibili di diretta patrimonializzazione ex-post in termini di mera corrispettività.
Ai fini della funzione compensativa dell’assegno divorzile, quella scelta assume rilievo nei limiti in cui sia all’origine di “aspettative professionali sacrificate” e della rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare in concreto.
La Suprema Corte ha avuto occasione di osservare che, in presenza di squilibrio di non modesta entità tra le condizioni economico patrimoniali degli ex coniugi, laddove risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e – tenuto conto della composizione e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio – sia stato già realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali condizioni, l’assegno di divorzio.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ravvisato nell’attività domestica svolta dalla moglie la causa determinante della esigenza di riequilibrio delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, al fine di giustificare l’attribuzione a suo favore di una quota dei redditi percepiti dal marito grazie alla sua attività professionale di medico, a prescindere da allegazione e prova da parte della moglie delle verosimili e concrete prospettive professionali, e potenzialità reddituali, frustrate per effetto della sua scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività domestica.
Si tratta di un automatismo valutativo che rivela falsa applicazione del parametro normativo di riferimento, dal quale non è possibile enucleare una funzione compensativa dell’assegno divorzile nei termini ipotizzati nella sentenza impugnata, che avvalora l’idea – priva di riscontri normativi – secondo cui l’attività prestata per la famiglia sia divenuta ex-post ingiustificata a seguito della cessazione del rapporto matrimoniale e, in tesi, di per sé meritevole di indennizzo.
Alla luce delle suddette motivazioni la Suprema Corte ha cassato la Sentenza rinviando alla Corte d’Appello di Ancona per un nuovo esame.
Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.