ASSEGNO DIVORZILE ALLA DONNA CHE SI È SEPARATA DA GIOVANE E CHE NON HA MAI LAVORATO NEPPURE DA SEPARATA
(A cura dell’Avv. Cecilia Gaudenzi)
La previsione dell’assegno divorzile, in presenza dei presupposti di legge, costituisce una deroga al principio di autoresponsabilità, perché costituisce lo strumento previsto dalla legge che consente di riparare agli squilibri patrimoniali ingenerati dalla vita di coppia, che avevano giustificazione nell’organizzazione della vita familiare e cha tale giustificazione hanno perso per effetto del divorzio.
Questo il principio confermato dalla Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza n. 32354/2024 emessa in data 13 dicembre 2024.
Il caso oggi in esame trae origine avanti il Tribunale di Cagliari che al termine di un procedimento per lo scioglimento del matrimonio, intercorso dopo oltre vent’anni dalla pronuncia di separazione, emetteva sentenza con la quale respingeva la richiesta della donna di ottenere un assegno divorzile a proprio favore.
La signora – che per vent’anni aveva goduto di un assegno di mantenimento – proponeva pertanto appello lamentando, tra gli altri motivi di gravame, l’erroneo esame delle risultanze istruttorie in merito alla di lei capacità ma soprattutto possibilità concrete ed effettive di lavorare – avendo ella stessa depositato cospicua documentazione medica attestante la presenza di problematiche fisiche che le impedivano l’utilizzo delle mani e l’impossibilità di stare in piedi a lungo – nonché l’errore del Tribunale nel considerare la disparità economica esistente tra le parti da non ricondurre alla divisione dei ruoli all’interno del nucleo familiare. La donna infatti, evidenziava come nel corso del matrimonio non avesse mai potuto lavorare per volontà, provata in separazione, del marito violento al quale, infatti, era stata addebitata la fine del matrimonio.
La donna, inoltre, rilevava di essersi sempre occupata dei figli – uno dei quali morto prematuramente per una malattia genetica – e di aver contribuito all’acquisto della casa coniugale con Lire 200.000.000 assegnata all’ex marito, che pertanto ne aveva sempre goduto in modo esclusivo.
La Corte d’Appello di Cagliari tuttavia, respingeva il ricorso della ex moglie. Secondo il giudice di secondo grado infatti, non erano presenti i presupposti per l’attribuzione dell’assegno di divorzio con funzione perequativo-compensativa in quanto dai documenti agli atti era emerso che la donna, seppur inoccupata e priva di reddito a causa dei problemi di salute, aveva una importante disponibilità di denaro pervenuta da un lato a titolo di risarcimento e dall’altro da liberalità di una zia. In merito poi, alla documentazione medica prodotta dall’appellante in parte come esito delle violenze subite, la Corte evidenziava che non emergeva una forma di invalidità tale da precludere lo svolgimento di una attività lavorativa e che la ricerca infruttuosa di un’occupazione nel corso dei molti anni che era intercorsi tra la pronuncia di separazione e quella di divorzio non era stata provata. In ogni caso la Corte territoriale escludeva la presenza del nesso causale tra la disparità reddituale e le scelte condivise durante il matrimonio. Nonostante infatti, in sede di separazione fosse stata provata l’impossibilità di lavorare della donna a causa delle decisioni del marito, erano trascorsi 21 anni dalla pronuncia di separazione, quando la signora aveva 45 anni, e pertanto quest’ultima, in forza del principio di autoresponsabilità che impone a tutti gli individui adulti di provvedere a sé stessi, avrebbe dovuto trovare una occupazione lavorativa ovvero attivarsi per il riconoscimento di una invalidità.
Considerato quindi, che secondo il giudice di secondo grado l’assenza di un’occupazione lavorativa della donna, non poteva essere ascritta né alla condotta del marito e nemmeno alla divisione dei compiti fra i coniugi, e che l’apporto della stessa per l’acquisto della casa familiare non era da considerarsi significativo, la Corte d’Appello rigettava il ricorso della donna evidenziando l’assenza dei presupposti per l’emissione di un assegno divorzile.
Appreso della decisione della Corte d’Appello di Cagliari la donna ricorreva in Cassazione evidenziando, tra gli altri motivi di impugnazione, l’errata applicazione della normativa di cui all’art.5, comma 6 l. n. 898/1970 per aver omesso di considerare la possibilità di attribuire un assegno con funzione anche assistenziale oltre che compensativa e perequativa.
La Suprema Corte, evidenziando il principio ormai granitico in giurisprudenza secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, dichiarava fondato, anche se solo in parte, il ricorso della donna.
Secondo gli Ermellini infatti, la Corte di merito, errando nell’applicare i principi giurisprudenziali, non aveva nel caso concreto accertato o meno la presenza di uno squilibrio economico tra i coniugi escludendo però, senza alcuna motivazione, che la donna avesse dato un contributo rilevante alla formazione del patrimonio comune, nonostante l’incontestato pagamento da parte della stessa di una parte del costo dell’abitazione familiare, assegnata al marito che per oltre 20 anni ne aveva pertanto goduto in modo esclusivo. Allo stesso modo la Corte territoriale non aveva considerato il sacrificio lavorativo effettuato dalla ricorrente che si era sposata giovanissima (23 anni), non avevi potuto lavorare a causa di imposizioni del marito, si era allontanata da casa a 36 anni ed era giunta alla sentenza di separazione dopo 8 anni di giudizio a 45 anni. E ancora. La Corte di Cassazione evidenziava come del tutto incomprensibile appariva il richiamo della Corte d’Appello al principio di autoresponsabilità, anticipato alla separazione e non al momento del divorzio quando la previsione dell’assegno divorzile serve proprio per temperare alle storture che la rigida applicazione del principio provocherebbe.
Visto quindi, il vizio della decisione in ordine alla non rilevanza del contributo della donna alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge, l’asserita – ma non provata – non riconducibilità della situazione economica della donna alle scelte effettuate in costanza di matrimonio nonché la mancata considerazione del godimento esclusivo da parte dell’ex marito della casa coniugale, la Corte di Cassazione cassava la sentenza di secondo grado e rinviava la causa avanti la Corte d’Appello di Cagliari.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.
Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.