
AL SUD LE FIGLIE FEMMINE DEVONO ESSERE MANTENUTE PIU A LUNGO DEI FIGLI MASCHI.
Con la recente ordinanza n. 12121/2025 la Corte di Cassazione ha affermato che “il genitore separato è tenuto a versare l’assegno al figlio ventenne, a maggior ragione se è una ragazza, se vivono al sud, dove le opportunità di lavoro sono più basse”.
Il caso giunto in Cassazione prendeva avvio presso il Tribunale di Ragusa che all’esito di un procedimento giudiziale pronunciava la sentenza di separazione tra i coniugi revocando l’assegno di mantenimento della figlia, divenuta maggiorenne in corso di causa, che era stato accordato in sede di provvedimenti provvisori.
Impugnata la sentenza da parte della madre, la Corte di Appello di Catania confermava la decisione di primo grado poiché la ragazza aveva compiuto vent’anni, aveva abbandonato gli studi e non aveva dimostrato di non poter lavorare.
La madre riteneva illegittima la decisione e proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi, poi ritenuti fondati.
In primo luogo veniva dedotto che, alla data della pronuncia di primo grado, la ragazza aveva soli diciannove anni e che per questo non era possibile pretendere che la stessa fosse già economicamente indipendente anche in considerazione delle altissime percentuali di disoccupazione, soprattutto femminile, caratterizzanti il territorio di residenza.
In secondo luogo, la donna deduceva che, in sede di precisazione delle conclusioni del procedimento avanti il Tribunale di Ragusa, il marito non si era opposto al riconoscimento di un importo a titolo di mantenimento della figlia con la conseguenza che, non solo la domanda non era contestata, ma era addirittura condivisa da entrambi i genitori.
La Corte di Cassazione riteneva fondati i motivi di impugnazione e motivava la propria decisione con un’approfondita premessa sull’istituto stesso del mantenimento dei figli maggiorenni.
Sul punto, gli Ermellini sottolineavano che gli artt. 315 bis c.c. (diritti dei figli), 316 (responsabilità genitoriale) e 316 bis c.c. (concorso al mantenimento) non distinguono tra figli minorenni e maggiorenni. Nessuna distinzione, evidenziava la Corte, è ravvisabile neppure nell’art. 30 Cost il quale afferma che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Gli Ermellini sottolineavano che, con la riforma della filiazione avvenuta con la legge 219/2012, è stato sostituito il concetto di potestà genitoriale con quello di responsabilità con un conseguente cambio di interpretazione del rapporto tra genitori e figli anche in punto mantenimento. Con il compimento della maggiore età cessano i poteri di rappresentanza del genitore verso il figlio, ma permane la cura che il genitore deve prestare al figlio ben oltre il compimento dei diciotto anni e fino al raggiungimento dell’indipendenza economica.
In questo contesto si innesta poi l’art. 337 septies c.c. il quale, secondo la Cassazione, non costituisce la fonte dell’obbligo dei genitori, ma semplicemente, in caso di separazione della coppia, specifica con quali modalità sia da attuare il dovere di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni: mediante il pagamento di un assegno periodico da versarsi direttamente al figlio secondo quanto disposto dal giudice.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ribadiva che, contrapposto al diritto del figlio di essere mantenuto, vi è il di lui dovere di emancipazione nel rispetto del principio di autoresponsabilità finalizzato ad evitare un abuso del diritto.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione, in molteplici pronunce, ha affermato che “il ruolo di supporto dei genitori, pur diversamente modulandosi al conseguimento della maggiore età, termina solo nel momento in cui il figlio si inserisce (o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta) in modo indipendente ed autonomo nella società e comunque non può protarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo, in spregio al dovere di solidarietà di cui è richiesto l’adempimento a tutti i consociati (art. 2 Cost.), a maggior ragione all’interno della formazione sociale famiglia”.
Un altro aspetto importante, chiarito dagli Ermellini in questa ordinanza riguardava la ripartizione dell’onere probatorio: se è il genitore a chiedere la revoca dell’obbligo di mantenere il figlio, deve provare che il figlio è divenuto indipendente o che non lo è per sua negligenza; se, invece, è il figlio ad avanzare la richiesta di mantenimento, allora sarà il ragazzo o la ragazza a dover provare di non essere in grado di mantenersi da solo nonostante l’impegno profuso nello studio o nella ricerca di un lavoro consono.
Chiarito quanto sopra, la Corte di Cassazione criticava l’operato della Corte di Appello di Catania che non ha correttamente valutato le circostanze concrete alla luce dei principi che regolano la materia.
I giudici di secondo grado, infatti, non avevano debitamente considerato il fatto che il giudizio era iniziato quando la figlia era ancora minorenne e anche che il padre stesso, in un primo momento, aveva chiesto che le venisse riconosciuto un assegno.
Inoltre, la Corte catanese si era limitata ad affermare che la figlia era “ormai autonoma”, senza individuare il momento in cui lo era divenuta, e che aveva abbandonato gli studi, senza valutare la sua capacità lavorativa in funzione alla di lei formazione professionale e alle concrete possibilità offerte dal mercato del lavoro del luogo di residenza.
Per tali ragioni, la Corte di Cassazione cassava la decisione con rinvio alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, per un nuovo esame della questione da effettuarsi alla luce dei principi sanciti nella pronuncia di legittimità.
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