Il parziale adempimento dell’obbligo di mantenimento secondo una recente pronuncia della Suprema Corte
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
La Cassazione si è recentemente espressa con la sentenza n. 24885/23 sul reato previsto dall’art. 570 comma 2 c.p., in base al quale va punito chi “malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.
Prima di analizzare la sentenza citata, occorre ricordare come secondo giurisprudenza costante per il reato di cui al secondo comma dell’art. 570 c.p. sia essenziale l’esistenza dello stato di bisogno che vaaccertato tenendo conto delle ordinarie necessità e delle somme in precedenza versate dall’obbligato (cfr. Cass., n. 1327/19).
Venendo al caso di cui alla recente sentenza citata, va sottolineato come la Corte di Appello avesse confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’imputato per il reato suddetto, nonché per quelli previsti rispettivamente dall’art. 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54 (che stabilisce che, in caso di violazione degli obblighi di natura economica, si applica la disposizione penale prevista per il mancato versamento dell’assegno di divorzio, ipotesi attualmente trasfusa nell’art. 570-bis c.p.) e dall’art. 388 c.p. (per l’elusione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale in favore della coniuge).
Avverso tale sentenza il condannato proponeva ricorso per cassazione, che è stato accolto.
In relazione al reato di cui all’art. 570 comma 2, c.p. la Corte precisa che, sebbene vi sia giurisprudenza secondo cui l’omesso versamento dell’assegno in favore dei figli minori determina di per sé lo stato di bisogno, va considerato se vi è stata o meno la totale omissione del versamento dell’assegno.
Infatti, il costante adempimento in forma ridotta, ha una considerevole rilevanza economica.
Nel caso del versamento parziale, pertanto, non può ritenersi che lo stato di bisogno sia automaticamente desumibile dalla minore età dei beneficiari: ai fini della configurabilità del reato, nell’ipotesi di corresponsione parziale dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, “il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, dovendosi escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale”.
Dunque un inadempimento parziale può integrare il reato in esame, quando le somme versate non consentano di far fronte ad esigenze fondamentali di vita, quali vitto, alloggio, vestiario ed educazione.
Non va dimenticato – secondo la Corte – che l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione ha la finalità di garantire il mantenimento del medesimo tenore di vita avuto durante il matrimonio e, quindi, “il parametro di riferimento è ben diverso dalla nozione di “stato di bisogno” che richiama l’assolvimento delle esigenze primarie”.
Quindi, se l’assegno di mantenimento viene versato, sia pur in parte, in maniera costante e tale da garantire un apporto continuativo, per valutare la sussistenza del reato occorre verificare “l’idoneità dell’adempimento parziale a soddisfare le esigenze primarie dei beneficiari e, in particolare, dei figli minori, non potendosi far discendere dal mero inesatto adempimento la configurabilità del reato in assenza dell’accertamento dello stato di bisogno”.
Per la Suprema Corte non vi può essere nel caso di parziale inadempimento quell’automatismo che sussiste tra induzione in stato di bisogno ed omesso versamento dell’assegno in favore dei figli minori.
Pertanto, la Corte ha disposto l’annullamento con rinvio, dovendo procedere il giudice di merito alla verifica dell’esistenza o meno dello stato di bisogno.
Inoltre, se il giudice del rinvio dovesse escludere lo stato di bisogno, dovrà verificare la sussistenza del reato meno grave di omesso versamento dell’assegno di mantenimento (originariamente contemplata dall’art. 3 L. n. 54 del 2006 e, come sopra ricordato, attualmente trasfusa nell’art. 570-bis c.p..) che si integra per effetto del mero omesso versamento dell’assegno.
Infine, con riguardo al reato di cui all’art. 388 c.p., la Corte ritiene di poter pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p..: il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato.
E poiché l’imputazione concerne il mancato adempimento del rilascio dell’immobile (qualificato come abitazione familiare ed inizialmente assegnato alla moglie del ricorrente) l’obbligo rimasto inadempiuto poteva essere eseguito coattivamente, non richiedendo la collaborazione dell’obbligato.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.