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Il padre assente e disinteressato deve risarcire i figli?

(A cura dell’Avv. Angela Brancati)

La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 8283 del 2023, pubblicata lo scorso 23 marzo 2023 si è soffermata sulla possibilità di condannare un padre disinteressato e assente e sulle conseguenze discendenti dall’inadempimento degli obblighi familiari previsti nei procedimenti di separazione e divorzio.

Gli Ermellini hanno analizzato da vicino la portata applicativa dell’art. 709 ter c.p.c. che ancor prima della riforma Cartabia, prevedeva un rimedio di natura risarcitoria e sanzionatoria da un lato per i danni arrecati dal genitore alla prole per condotte inadempimenti rispetto agli obblighi imposti dall’Autorità e dall’altro per costringere il genitore inadempiente all’assolvimento dei medesimi obblighi. 

La questione analizzata prendeva le mosse da un originario giudizio avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, nell’ambito del quale il marito ricorrente chiedeva al Tribunale che nessun onere economico gli venisse posto a carico a titolo di assegno divorzile da corrispondersi a favore della moglie (alla quale in sede di separazione veniva accordato un mantenimento pari ad €4.000,00) e che, invece, venisse accordato a favore delle figlie un mantenimento complessivo pari ad €6.000,00 oltre al 50% delle spese straordinarie.

La moglie resisteva in giudizio: oltre ad opporsi alle richieste economiche del marito così come formulate, chiedeva il riconoscimento di un assegno divorzile pari ad €8.000,00 per sé, e un assegno di mantenimento pari ad € 6.000,00 per ciascuna figlia, oltre alla corresponsione di tutta una serie di oneri accessori per l’abitazione familiare.

La resistente chiedeva, altresì, la condanna del padre al risarcimento ex art. 709 ter, c.p.c. per i danni cagionati dal padre alle figlie a causa del di lui repentino allontanamento dalle stesse.

Il Tribunale di Roma all’esito dell’istruttoria accoglieva, solo in parte, le richieste dell’ex moglie, stabilendo un assegno divorzile per un importo di €2.500,00 a favore della donna e determinando un assegno mensile a titolo di mantenimento per le figlie pari ad € 3.500,00 per ognuna di esse, oltre al 75% delle spese straordinarie. Rigettava, invece, la richiesta di risarcimento del danno.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il ricorrente lamentando l’esorbitanza degli importi riconosciuti a titolo di assegno rispettivamente divorzile e di mantenimento nonché l’omessa pronuncia sull’istanza di onerare la moglie del pagamento delle spese della casa familiare assegnata alla donna.

Nel procedimento dinanzi la Corte territoriale si costituiva la ex moglie che con appello incidentale insisteva per la condanna al risarcimento del danno conseguente all’interruzione dei rapporti con le figlie per una somma pari ad €150.000,00.

La Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza impugnata nel rigettare le richieste della ex moglie, negava altresì un diritto in capo alla stessa di percepire un assegno divorzile, revocando di fatto la statuizione di primo grado. In particolare, i Giudici investiti non ritenevano sussistenti i requisiti per il riconoscimento dell’assegno divorzile poiché a seguito di una comparazione dei redditi di entrambi gli ex coniugi, emergeva che l’ex marito corrispondesse la disponibilità a favore della donna di un importo mensile fra gli €7.000,00 e gli 8.000,00 per effetto delle intestazioni immobiliari e delle partecipazioni azionarie che la stessa deteneva nella società di famiglia.

Con riferimento, invece, alla domanda relativa alla condanna al risarcimento avanzata dalla ex moglie, la Corte riteneva che il padre era sempre stato adempiente rispetto agli obblighi economici discendenti dalla intervenuta separazione e che “l’allontanamento era ritenuto riconducibile esclusivamente alle differenze caratteriali tra padre e figlie, acuite dall’età adolescenziale delle figlie, senza che fosse stata accertata alcuna intenzione del padre di volerle allontanare da sé”.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione cui resisteva con controricorso l’ex marito.

Con i primi tre motivi del ricorso la ricorrente censurava tra le altre le parti della sentenza d’appello relative all’applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., per aver rigettato la Corte territoriale la domanda relativa al risarcimento del danno alla luce della non volontarietà della condotta di interruzione dei rapporti ad opera del padre. Secondo la ex moglie, infatti, una responsabilità in capo all’ex marito veniva esclusa solo sulla base della mancanza dell’elemento soggettivo, senza invece che il Collegio avesse valutato né dato conto in motivazione dei risultati delle audizioni delle figlie né preso in considerazione le mail prodotte nel corso del giudizio a conferma della volontarietà della condotta disinteressata da parte dell’uomo.

Gli Ermellini analizzando la portata precettiva della norma di cui all’art. 709 ter c.p.c. quale rimedio di natura risarcitoria e sanzionatoria, considerando che le misure previste dal suddetto articolo potessero essere applicate nei confronti di un genitore a causa di gravi inadempienze e di atti “che comunque arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento” senza tuttavia presupporre un accertamento in concreto del pregiudizio subito, non ritenevano che il Giudice di merito avesse errato nella valutazione dei comportamenti paterni.

In particolare, il Tribunale prima e la Corte d’Appello dopo nell’ambito della valutazione complessiva dei comportamenti paterni avevano escluso la sussistenza degli estremi per il riconoscimento dell’invocata sanzione. La valutazione, inoltre, secondo gli Ermellini non risultava smentita neanche dalla documentazione allegata dalla madre a sostegno della di lei pretesa risarcitoria, dal momento che il contenuto della stessa non rappresentava “specifiche condotte giuridicamente rilevanti quali atteggiamento di rifiuto del padre di incontrare le figlie, ma di difficoltà relazionali che hanno caratterizzato le persone coinvolte nella vicenda separativa in oggetto”.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.