I sacrifici dell’ex coniuge in costanza di matrimonio fondano il riconoscimento per l’assegno divorzile
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
La Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul tema dell’assegno divorzile con la recente ordinanza n. 20456/2022.
In particolare, la causa traeva origine da un giudizio divorzile in seno al quale il Tribunale di Firenze con sentenza definitiva, rigettando la domanda di riconoscimento di una somma di denaro a titolo di assegno divorzile a favore della moglie, stabiliva la corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore dei soli figli nella misura di euro 500,00 ciascuno.
Avverso tale provvedimento la moglie proponeva impugnazione dinanzi la Corte d’Appello di Firenze, che accogliendo parzialmente il ricorso, poneva l’obbligo a carico dell’ex coniuge e a favore dell’appellante la corresponsione dell’importo pari ad euro 600,00 a titolo di assegno di divorzio.
La Corte d’Appello optava per tale riconoscimento sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità che stabiliva come la corresponsione dell’assegno dovesse fondarsi sulla mancata autosufficienza economica del coniuge richiedente ed assolvere al tempo stesso ad una funzione perequativo-compensativa. L’assegno, infatti, oltre a garantire una esistenza libera e dignitosa avrebbe dovuto compensare i sacrifici che l’altro coniuge aveva sopportato nel corso della vita matrimoniale laddove avesse contributo alla formazione del patrimonio comune e personale del partner.
Osservava il giudice di seconde cure, che sebbene nel caso di specie la moglie non avesse in gran parte determinato con i propri sacrifici la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, in funzione dello scarso contributo offerto, dovendosi quindi escludere la componente perequativo-compensativa dell’assegno, doveva comunque riconoscersi la relativa componente assistenziale.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’obbligato adducendo tre differenti motivi.
Con il primo, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma sesto della legge divorzile avendo la Corte d’Appello applicato in maniera difforme il principio giurisprudenziale sul riconoscimento dell’assegno di divorzio. Sosteneva, invero, il ricorrente come la Corte si fosse soffermata in particolar modo sull’analisi della mancanza di mezzi che potessero garantire l’autosufficienza economica della richiedente, omettendo, tuttavia, l’ulteriore e conseguente verifica sulla possibilità di procurarsi tali mezzi in via del tutto autonoma.
Con il secondo motivo l’ex coniuge denunciava l’omesso esame di fatti controversi e decisivi ai fini del rigetto della domanda di assegno divorzile, tra cui emergevano lo svolgimento di un’attiva stagionale compiuta da parte della donna, l’instaurazione di una nuova relazione sentimentale, l’inerzia da parte della stessa nella ricerca di un’attività lavorativa stabile che potesse garantirle l’autosufficienza economica nonché il mancato interesse che avrebbe dovuto dimostrare per il conseguimento del reddito di cittadinanza.
Secondo la Corte di legittimità il primo motivo cosi come articolato doveva ritenersi fondato. Sebbene la Corte d’Appello avesse correttamente individuato i principi di diritto che dovevano guidare il giudice nel giudizio circa la fondatezza della richiesta dell’assegno divorzile, di fatto non veniva data corretta applicazione. Il giudice di seconde cure aveva dato maggiore prevalenza allo squilibrio economico e patrimoniale esistente all’interno della coppia, rispetto ai sacrifici compiuti dall’ex coniuge volti alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge. Aveva, invero, dato preminenza alla funzione assistenziale e non alla funzione perequativo-compensativa.
Nel giudizio per il riconoscimento dell’assegno divorzile osservano gli Ermellini come il giudice di merito non possa e non debba basarsi sul solo squilibrio economico e reddituale esistente tra i coniugi, dovendo tenere in considerazione tanto l’impossibilità di poter vivere in autonomia e dignitosamente tanto la necessità di compensare il coniuge per il contributo offerto all’interno della vita coniugale. Il riconoscimento dell’assegno divorzile avrebbe dovuto quindi basarsi in primo luogo sull’accertamento della disparità economica dettata dalle scelte compiute dai coniugi nel corso della vita matrimoniale, scelte che nel caso di specie sarebbero potute essere compiute dalla moglie con sacrificio delle di lei aspettative professionali.
La Corte di Cassazione, pertanto, ponendo l’attenzione sullo scarso contributo fornito dalla ex moglie alla formazione del patrimonio comune e personale dell’altro coniuge, gli effetti negativi che ne erano derivati da una cattiva gestione dell’azienda agricola del marito da parte della resistente nonché la mancata valutazione da parte del Giudice di secondo grado dell’impegno da parte della donna in ambito familiare, cassava con rinvio la sentenza.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.