La fine della convivenza e la divisione dei beni immobili in comunione
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
L’argomento che è stato di recente sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione e da questa risolto riguarda il tema della divisione della comunione ordinaria sorta tra due conviventi a seguito dell’acquisto da parte di entrambi di un immobile. Nel caso di specie, uno dei due conviventi intervenuta la fine della relazione affettiva adiva il Tribunale al fine di sentir pronunciata la divisione del bene caduto in comunione con il riconoscimento di una quota maggiore in capo al ricorrente. Questi, infatti, dichiarava di aver contributo con un maggiore apporto all’acquisto dell’immobile, poi adibito ad abitazione comune della coppia, e di dover per l’effetto ricevere un conguaglio in denaro maggiore del 50%.
Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, tuttavia, sebbene avessero riconosciuto il maggior apporto fornito da un solo componente della coppia, ritenevano che questo fosse avvenuto a titolo di liberalità e quindi donazione non più ripetibile.
Sosteneva in particolare la Corte d’Appello di Milano che essendo l’acquisto avvenuto per quote indivise e paritarie al momento della stipula dell’atto di compravendita, la parte eccedente seppur sostenuta da uno solo dei conviventi dovesse essere imputata in capo all’altro co-acquirente a titolo di liberalità, trovando tale intento donativo giustificazione nella stessa situazione di convivenza.
Il ricorrente impugnava la sentenza mediante ricorso per Cassazione lamentando come la Corte territoriale avesse errato nel ritenere che il maggior esborso fosse avvenuto a titolo di liberalità il cui intento si presumeva senza che lo stesso fosse stato provato.
La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20062 del 14 luglio 2021 partendo da una presunzione di legge, ha sostenuto che le quote dovessero ritenersi paritarie ed eguali tra tutti gli acquirenti laddove il titolo e cioè l’atto di acquisto non avesse diversamente specificato una differente ripartizione. Ciò nonostante, evidenziavano i giudici di legittimità, il motivo del ricorso dovesse essere accolto in quanto la Corte d’Appello di Milano aveva errato nel ritenere presuntivamente provato l’animus donandi ossia l’intento liberale di un convivente a favore dell’altro. Sebbene la prova potesse essere fornita anche mediante l’ausilio di presunzioni, queste avrebbero dovuto rivestire il carattere della serietà, non potendosi presumere meramente che dalla convivenza potesse discenderne sempre e comunque uno spirito di liberalità. In presenza di tale “sbrigativo approccio” ha sostenuto la Corte di Cassazione, i giudici milanesi hanno finito per ritenere del tutto superflua e non necessaria la verifica e quindi la prova degli ulteriori fatti che avrebbero giustificato il maggior apporto e quindi una differente ripartizione delle quote interne. Sosteneva la Cassazione che “la Corte d’appello, però, non ha considerato che l’animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020). In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell’acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo”
La Corte di Cassazione, pertanto, cassava la sentenza in relazione al motivo accolto rinviando la trattazione della controversia ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, affinché la stessa accertasse l’esistenza di uno spirito di liberalità idoneo a giustificare la ripartizione paritaria delle quote ovvero la mancanza di tale spirito e la prova di un superiore apporto nell’acquisto dell’immobile in comunione tale da giustificare un conguaglio maggiore a favore di uno dei conviventi.
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.