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AFFIDO SUPER ESCLUSIVO AL PADRE PERCHE’ PIU’ TUTELANTE.

(A cura della Dott.ssa Chiara Massa)

Legittimo l’affidamento super-esclusivo al padre ove sia accertata una persistente ed elevata conflittualità coniugale tale da pregiudicare l’interesse della prole e rendere impraticabile l’affido condiviso, nonché una inadeguatezza materna a tutelare i figli da tale conflitto, confermata dalle risultanze di una CTU e dall’ascolto dei minori.

Così si è espressa la Cassazione in merito ad una lunga e complessa vicenda giudiziaria iniziata avanti il Tribunale di Milano con richiesta di separazione e poi di divorzio da parte di una coppia italo-argentina.

In sede di separazione i figli della coppia- affidati congiuntamente ai genitori – erano stati collocati dalla madre alla quale era stata assegnata la casa e riconosciuto un mantenimento per sé e per i figli. 

In sede di divorzio, però, l’uomo lamentava una serie di problematiche nel comportamento materno e all’esito della disposta CTU sulle competenze genitoriali, il Tribunale aveva cambiato le disposizioni della separazione stabilendo il collocamento e  l’affidamento super esclusivo dei due figli minori al padre anche in ragione delle numerose assenze da scuola di uno dei figli e della sintomatologia dolorosa allo stomaco che questi accusava quando si trovava con la madre. 

Alla madre, però, veniva lo stesso assegnata la casa familiare per permetterle di vedere i figli nei giorni di sua competenza e in aggiunta, riconosciuto un assegno divorzile di € 1.000 e un contributo di mantenimento per i figli di € 600,00 ciascuno.

Contro tale sentenza il padre adiva la Corte d’Appello chiedendo una riduzione del mantenimento dei figli e la revoca dell’assegnazione della casa alla moglie – che non solo non era collocataria dei minori ma non aveva neppure l’affidamento congiunto – e  la revoca dell’assegno divorzile riferendo che la donna pur avendo avuto la possibilità di lavorare, era rimasta per molti anni inattiva e aveva omesso di comunicare il possesso di un immobile ereditato in Argentina.

Nel giudizio di appello si costituiva la donna che insisteva invece per riavere l‘affido condiviso dei figli, il loro collocamento, l’aumento del contributo di mantenimento a € 3.000,00 e innalzamento dell’assegno divorzile a € 2.000,00 mensili; si costituiva anche il curatore speciale dei minori opponendosi alla richiesta di revoca dell’assegnazione della casa familiare in quanto rispondente all’interesse dei figli per il tempo che gli stessi trascorrevano con la madre. 

La Corte d’Appello, valutate le richieste e ascoltati i minori con l’ausilio di un esperto, aveva confermato l’assegnazione della casa familiare alla madre e aveva confermato l’affido esclusivo al padre, motivando con l’elevata conflittualità tra i genitori che rendeva impossibile la gestione condivisa. La CTU infatti, aveva evidenziato ricadute sui minori di tale conflittualità e la figlia minore, in particolare, aveva mostrato segni di forte disagio psicologico, e la corte aveva quindi rimodulato anche il percorso terapeutico. L’assegnazione della casa alla madre era stata mantenuta proprio per garantire ai figli un ambiente familiare stabile nei periodi di permanenza con lei.

La Corte aveva tuttavia modificato gli importi economici decisi dal primo giudice. Il contributo di mantenimento era stato ridotto a € 400,00 totali (€ 200,00 per ciascun figlio), considerando il fatto che il padre disponeva di un reddito significativo e vari immobili, mentre la madre, pur avendo trovato lavoro come insegnante supplente, non sosteneva oneri abitativi. Inoltre, era stata stabilita una ripartizione delle spese straordinarie nella misura del 70% a carico del padre e del 30% a carico della madre.

La Corte d’Appello aveva infine revocato l’assegno divorzile in favore della donna, ritenendo che non vi fossero i presupposti per alcuna delle tre funzioni previste dalla giurisprudenza dell’assegno divorzile: né quella perequativa, in quanto la donna non aveva subito un apprezzabile danno professionale legato al matrimonio era infatti avvocato e assistente universitaria di diritto di famiglia in Argentina, né quella compensativa, poiché non era dimostrato che avesse rinunciato a carriere per dedicarsi alla famiglia in quanto la famiglia beneficiava dell’aiuto di una collaboratrice domestica per cinque ore dal lunedì al venerdì, né infine quella assistenziale, visto che aveva comunque iniziato un’attività lavorativa, con una retribuzione mensile di €800,00. Inoltre, dal curriculum la stessa risultava iscritta dal 2009 come traduttrice ed interprete presso il Tribunale di Milano e nel registro della Camera di commercio di Milano.

Contro questa sentenza, la ex moglie proponeva ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi:

1. Errata applicazione delle norme sull’affidamento esclusivo, ritenuto dalla ricorrente non giustificato.

2. Violazione dei criteri di determinazione dell’assegno divorzile.

3. Omesso esame del presupposto assistenziale per il riconoscimento dell’assegno.

4. Illegittima riduzione del mantenimento dei figli.

La Corte esaminava ciascun motivo di ricorso e in relazione al primo motivo la Corte riteneva che l’affidamento esclusivo fosse adeguatamente motivato dalla Corte d’Appello in base alla persistente conflittualità tra i genitori, che comprometteva l’interesse dei minori. Tale valutazione era stata fatta sulla base di CTU, ascolto dei minori e relazione dei servizi sociali. Infatti, nei procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., il giudice è chiamato ad adottare provvedimenti riguardo ai figli seguendo il criterio costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, ai sensi dell’art. 337-ter c.c., è quello di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. 

Anche il secondo motivo veniva respinto: la Corte aveva ben applicato i principi di legge:  il riconoscimento dell’assegno richiede di valutare il contributo fornito dal coniuge alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale, tenendo conto della durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto al fine di compensare i sacrifici professionali e personali compiuti dal coniuge richiedente durante la vita matrimoniale. Deve essere anche fornita la prova del contributo offerto e delle rinunce ad occasioni lavorative e nel caso concreto, la donna non aveva fornito prova sufficiente di sacrifici o rinunce tali da giustificare l’assegno, né risultava in condizioni di effettiva incapacità reddituale. 

Veniva invece accolto il terzo motivo poiché la decisione di escludere il diritto all’assegno divorzile si era fondata in parte su presunzioni non dimostrate circa l’effettiva capacità economica della ex moglie. In particolare, la donna percepiva solo € 800,00 mensili e doveva anche contribuire al 30% delle spese straordinarie per i figli, senza che il giudice d’appello avesse approfondito l’eventuale bisogno assistenziale. Il quarto motivo è stato dichiarato assorbito nell’accoglimento del terzo, poiché il tema del mantenimento dei figli è logicamente connesso alla valutazione della reale capacità reddituale della madre. 

In conclusione, la Corte di Cassazione cassava la sentenza della Corte d’Appello di Milano che a breve sarà quindi chiamata a riprendere in mano la situazione e rivalutarla in punto assegno divorzile e contributo al mantenimento dei figli a carico della madre.

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