
Violenza assistita: quando la presenza del minore aggrava il reato di maltrattamenti.
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
La tutela dei minori esposti a contesti familiari disfunzionali e violenti è da tempo oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità.
Due recenti sentenze della Corte di Cassazione – la n. 17857/2025 e la n. 18985/2025 – appaiono piuttosto rilevanti con riguardo all’aggravante prevista dal secondo comma dell’art. 572 c.p. , ossia la cd violenza assistita.
La ratio della norma è chiara: proteggere il minore anche quando non è destinatario diretto delle violenze, ma vi assiste, assorbendone gli effetti, spesso molto pesanti e duraturi.
In entrambe le citate pronunce, la Cassazione sottolinea come non sia sufficiente un singolo episodio di violenza per configurare l’aggravante della violenza assistita. Al contrario è necessario che il minore sia stato esposto a una pluralità di episodi, tali da rendere verosimile e concreto il rischio di compromissione del suo sviluppo psico-fisico.
La Suprema Corte (con la sentenza n. 17857/2025) ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per maltrattamenti nei confronti della convivente e della figlia. Il ricorrente aveva contestato l’applicazione dell’aggravante, sostenendo che non fosse stata accertata l’effettiva compromissione dello sviluppo della minore e che mancasse una consulenza psicologica a conferma del danno subito.
La Cassazione ha chiarito che non serve una “prova clinica” del danno, essendo sufficiente la prova di una reiterazione delle condotte maltrattanti in presenza del minore.
Il compendio probatorio era tale da non lasciare alcun dubbio sulla sussistenza del fatto e dell’aggravante: le credibili dichiarazioni della parte offesa corroborate da quelle di testimoni sia all’interno, che all’estraneo della cerchia familiare, oltre a fotografie scattate subito dopo una delle tante aggressioni fisiche, rendevano il quadro molto chiaro.
Un ulteriore spunto interessante in questa sentenza è la distinzione tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), generalmente invocata quando la convivenza è cessata: gli Ermellini hanno sottolineato che il reato di maltrattamenti presuppone una relazione affettiva stabile, anche se la coabitazione non è continuativa. Quando questa relazione è ancora in essere (es. separazione solo di fatto, figli in comune, contatti frequenti), è corretto contestare la violenza domestica. Solo in caso di rottura definitiva (con il divorzio) e/o assenza di legami affettivi o abitativi può configurarsi il diverso reato di atti persecutori.
Successivamente (sentenza n. 18985/2025) e in modo coerente con la precedente pronuncia, la Cassazione non ha ritenuto correttamente applicata l’aggravante in un caso in cui un padre aveva aggredito fisicamente e verbalmente la moglie alla presenza dei figli, poiché era stata provata un’unica aggressione alla quale aveva assistito la figlia.
L’imputato aveva assunto vari comportamenti aggressivi in danno della persona offesa denigrandola, insultandola, spintonandola fino a costringerla a chiudersi in bagno e a chiedere l’aiuto del proprio fratello, nonché l’intervento dei Carabinieri. Pertanto il reato contestato deve ritenersi sussistente.
Con riferimento all’aggravante la Cassazione precisa che occorre effettuare un’interpretazione letterale dell’art. 572, comma 2, cod. pen., che richiede che “il fatto” sia commesso in presenza o in danno di una persona minore. E per “fatto” deve intendersi il fatto di reato, che è necessariamente abituale ossia richiede più fatti commissivi e omissivi, come percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni, atti di disprezzo e di offesa alla dignità. Inoltre ove si ritenesse sufficiente la realizzazione di un singolo episodio alla presenza o in danno di un minore, il notevole incremento
sanzionatorio correlato all’aggravante potrebbe far percepire la pena come ingiusta.
La sentenza impugnata è stata annullata con rinvio per un nuovo giudizio sul punto: la Corte di appello dovrà verificare quali siano, e se esistano, “le fonti di prova da cui desumere la sussistenza dell’aggravante; dovrà, in particolare, essere accertato se le minori, o la minore, siano stati presenti a una serie di condotte “maltrattanti”, in quanto idonee a inserirsi nella serie di reiterate condotte lesive dell’integrità fisica, morale o della sfera della personalità della vittima, necessarie ai fini della configurazione del vincolo di abitualità idoneo alla loro sussunzione nel reato di cui all’art. 572 cod. pen.”.
Con queste sentenze la Cassazione dimostra il suo approccio, sempre più rigoroso, nel riconoscere la centralità del minore nei contesti familiari violenti.
Vengono valorizzati alcuni elementi – come la reiterazione delle condotte e la loro natura – senza subordinare la tutela del minore a perizie mediche rivolte a provare un danno. L’assenza di segni visibili diventa irrilevante rispetto all’analisi del contesto in cui il minore cresce, poiché potenzialmente distruttivo, anche quando la violenza non lo colpisce direttamente.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.