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Violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia: possono concorrere?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

Il rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e quello di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) è da tempo oggetto di riflessione giurisprudenziale. 

I due reati, pur tutelando beni giuridici distinti – l’incolumità fisica e psichica in ambito familiare l’uno, la libertà sessuale l’altro – possono, in determinate circostanze, intrecciarsi al punto tale da domandarsi se essi concorrano o se la violenza sessuale “assorba” i maltrattamenti.

La Cassazione ha recentemente chiarito i confini tra le due fattispecie, con un’importante pronuncia (n. 15867/25)che fornisce un preciso principio di diritto: “Va ritenuto il delitto di maltrattamenti assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre vi è concorso tra i due reati in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza”.

Per comprendere le motivazioni sottostanti a tale principio, occorre ricordare come in primo e in secondo grado l’imputato fosse stato condannato alla pena di anni 6 di reclusione per il reato di violenza sessuale, perché, abusando delle condizioni di inferiorità psichica della coniuge, consequenziali a condotte di maltrattamenti (in relazione alle quali si era proceduto separatamente) e allo stato di sottomissione della stessa, la costringeva ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, ordinandole, quando si rifiutava, di dormire nella vasca da bagno.

La difesa del condannato aveva presentato ricorso, sostenendo che le condotte maltrattanti erano del tutto assorbite in quelle sessuali. 

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. 

Gli Ermellini premettono come la Corte di merito – in totale continuità con il Giudice di primo grado – abbia delineato con chiarezza il clima di vessazioni in cui viveva la famiglia all’epoca dei fatti, con lo scopo di contestualizzare il quadro fattuale circa l’avvenuta sussistenza o meno delle violenze sessuali “necessariamente collegate, ma non coincidenti, al contesto di sopraffazione consequenziale ai maltrattamenti”.

Precisano poi che “I maltrattamenti lamentati dalla vittima non erano strumentali esclusivamente alla violenza sessuale, ma assumevano contorni indipendenti sfociati in ripetute umiliazioni e violenze, quali, ad esempio, l’episodio […] in occasione del quale l’imputato aveva cagionato alla persona offesa una frattura costale per motivi di gelosia.”

È evidente, dunque, come il discrimine non sia meramente formale e occorre svolgere un’attenta analisi qualitativa e funzionale delle condotte. In buona sostanza, se gli atti lesivi si esauriscono nell’atto sessuale, la violenza sessuale assorbe i maltrattamenti; qualora, invece, vi siano altri atti come minacce, percosse, umiliazioni, i due reati concorrono.

Il contesto familiare non rappresenta certamente solo un semplice sfondo, ma diviene elemento determinante per qualificare giuridicamente le condotte. 

La Cassazione prende in considerazione anche le dichiarazioni della persona offesa, ritenuta attendibile, con specifico riferimento all’aspetto del consenso. In particolare afferma: “Dal narrato appare evidente come il consenso apparentemente manifestato alle richieste di rapporti sessuali del coniuge risultasse viziato in radice e frutto della necessità di allentare le continue tensioni coniugali.”

L’esistenza di clima familiare di sopraffazione è per la Suprema Corte un elemento essenziale per riconoscere il dissenso della vittima ai rapporti sessuali: era venuta meno la libera autodeterminazione della donna e vi era solo un’apparente acquiescenza.

Sul punto la Cassazione considera la testimonianza dei figli della coppia, che – sebbene non potessero riferire in merito ai rapporti intimi tra i genitori – avevano raccontato che la madre non dormiva con il padre. Inoltre –  ed è ciò che maggiormente conta – avevano confermato la sussistenza di un clima di intimidazione per le frequenti minacce ricevute dalla donna.

In base ai rilievi svolti, è possibile desumere che esclusivamente la perfetta sovrapposizione funzionale e finalistica tra i maltrattamenti e l’abuso sessuale può giustificare l’assorbimento mentre negli altri casi entrambe le condotte vanno contestate e, se ritenute sussistenti, punite.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.