Va revocato l’assegno di divorzio se la moglie sostiene “spese voluttuarie”
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara )
Perde l’assegno divorzile l’ex coniuge che, al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all’attività lavorativa e, come risulta del suo conto corrente e dalle spese sostenute, anche voluttuarie, disponeva di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell’abitazione presa in locazione (Corte di Cassazione ordinanza n. 1482/2023.)
Il caso trae origine dalla Sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in accoglimento dell’appello incidentale promosso dall’ex marito, aveva revocato l’obbligo dello stesso dal versamento dell’assegno divorzile per la ex moglie.
A sostegno della propria decisione, la Corte d’Appello aveva osservato che la ex moglie disponeva di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese sostenute, anche voluttuarie, nonché dalla capacità lavorativa dimostrata dal fatto che la stessa aveva letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi ad una intensa e costante attività di body building.
Avverso tale sentenza la ex moglie proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che il giudizio di una sua indipendenza economica fosse frutto di una errata lettura delle risultanze del conto corrente e che il Tribunale non avesse tenuto conto del contributo dato dalla stessa alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale, al pagamento del mutuo, delle spese sostenute per il contratto di locazione, delle condizioni di salute in cui la stessa versava e della situazione reddituale dell’ex marito.
Gli Ermellini hanno ritenuto tale motivo inammissibile.
Nelle motivazioni, infatti, la Suprema Corte ha ribadito l’ormai consolidato principio sancito dalla Sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 circa la funzione assistenziale compensativa e perequativa dell’assegno divorzile.
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, infatti, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma articolo 5 c. 6, L. 898/1970, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno; in particolare alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, della considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi e in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
La natura perequativo-compensativa conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (cfr. S.U 18287/2018,18287/2019 e 5603/2020).
Ciò che praticamente occorre verificare è in primo luogo, se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell’esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità.
Solo ove tale disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha affermato non solo che la moglie, al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all’attività lavorativa, ma che la stessa, come si evince dalle risultanze del suo conto corrente e dalle spese sostenute anche voluttuarie, disponesse di redditi idonei a renderla economicamente autonoma ed in grado di sostenere i costi dell’abitazione presa in locazione. Alla luce di tali motivazioni il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.