Una presenza costante della suocera nella vita di una coppia è causa di addebito?
(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
Ci si lascia per i motivi più disparati ma nelle statistiche delle separazioni, subito dopo il tradimento e la presenza di un nuovo amore, uno dei motivi che sempre più spesso portano a tale decisione è l’ingerenza e invadenza dei suoceri nella vita familiare e di coppia, nell’educazione dei figli e nella gestione della casa familiare.
Per questo motivo, accade molto più frequentemente di quanto si possa pensare, che i Giudici siano chiamati ad occuparsi e a valutare quanta incidenza possa avere nella crisi di una coppia, la presenza invadente della famiglia di origine ai fini di addebitare la separazione al coniuge “mammone”.
Con la sentenza n. 7112/21 la Corte d’appello di Roma ha ancora una volta chiarito che uno stretto rapporto tra un coniuge e la propria madre è causa di addebito della separazione solo se si dimostra che l’imposizione della presenza e delle decisioni della suocera nella vita coniugale è stata causa diretta della intollerabilità della convivenza matrimoniale.
Un cinquantatreenne, accusato dalla moglie di essere responsabile del mancato concepimento di figli naturali, si era difeso accusando a sua volta la moglie di essere causa della fine del matrimonio poiché la stessa gli avrebbe imposto la presenza e le decisioni della propria madre durante tutta la vita matrimoniale.
In particolare, il ricorrente raccontava di pranzi e di cene abituali presso la suocera, di contrasti e di discussioni con quest’ultima per questioni quotidiane legate al rapporto coniugale e genitoriale, sempre assecondate dalla moglie la quale non avrebbe mai preso le difese dello stesso.
Il problema è abbastanza diffuso, anche perché, quando si da vita a un nuovo nucleo, è impensabile e inverosimile “eliminare” i rapporti con le famiglie d’origine: ogni partner, infatti, “porta con sé” tutta la complessità della propria storia ma anche quella della relazione con la famiglia d’origine; famiglia che a volte si compone di figure molto vicine tra loro che si supportano e sono in contatto, a volte anche quotidianamente, con la coppia. Basti pensare al ruolo attivo che sempre più spesso sono chiamati ad avere i nonni nella gestione della vita dei nipoti, alle coppie che abitano nello stesso stabile dei nonni ovvero che per questioni economiche o di esigenze di salute sono costrette a convivere con un genitore del coniuge.
Ecco allora che se ciascun coniuge non è in grado di proteggere la coppia dall’invasione delle famiglie d’origine, si può innescare una dinamica relazionale fatta di distanza, squalifiche e tensioni che porta ad una conflittualità coniugale al punto grave da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza e da essere causa di addebito della separazione al coniuge immaturo.
La giurisprudenza, d’altra parte, non lascia dubbi: l’eccessiva oppressione da parte dei suoceri può essere causa di responsabilità, ma solo nei casi più gravi.
In una sentenza di qualche anno fa, la Cassazione ha ritenuto legittimo l’allontanamento dalla casa familiare per il coniuge vittima delle oppressioni della suocera, convivente con la coppia nello stesso immobile. Tale situazione infatti è stata ritenuta integrare un’ipotesi di “giusta causa” tale da giustificare l’allontanamento dal tetto domestico senza perciò vedersi addebitata la responsabilità della separazione
Nel caso qui in commento, invece, la Corte d’Appello di Roma, che ha respinto la domanda di addebito di entrambi i coniugi, ha ritenuto irrilevante la pretesa imposizione della presenza e delle decisioni della suocera nella vita coniugale: “il fatto che la famiglia abitualmente consumasse i pasti presso la casa della suocera è una circostanza del tutto neutra” che, anzi, denota l’aiuto dato al nucleo familiare; i riferiti litigi del marito con la suocera nei quali la moglie prendeva le parti della madre, sarebbero irrilevanti perché “riferiti indistintamente ad ogni scelta della vita coniugale e genitoriale, a prescindere dal loro rilievo e dalla loro importanza” e, pertanto, circostanza al punto generica che “non consente di apprezzare se e di quale peso fosse la pretesa ingerenza della suocera, assecondata dalla moglie, nella vita coniugale dei coniugi.”
Ricordiamo, infatti, che, per costante giurisprudenza di legittimità, in tema di separazione personale dei coniugi la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’articolo 143 c.c. pone a carico dei coniugi ma è necessario accertare se tale violazione ha avuto efficacia causale della determinazione della crisi coniugale.
Compito del giudice, quindi, è di accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto che le risultanze in atti portate dal marito non consentivano di affermare che la separazione potesse essere addebitata alla moglie “mammona”.
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