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TRANSESSUALITA’: SE LA TRANSIZIONE E’ COMPIUTA, L’INTERVENTO CHIRURGICO NON NECESSITA DI AUTORIZZAZIONE DA PARTE DEL TRIBUNALE.

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

La Legge n. 164 del 1982 emanata per affrontare la problematica della transessualità, vale a dire il disallineamento e la ricomposizione tra il sesso biologico, attribuito alla nascita su base morfologico-genotipica, e l’identità sessuale, percepita dall’individuo nello sviluppo della sua personalità, violano gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione laddove prevedono che “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”

Cosi si è espressa la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 164 pubblicata il 23 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del Tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso Tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso.

LE RAGIONI DELLA RIMESSIONE ALLA CORTE

Con ordinanza del 12 gennaio 2024 il Tribunale di Bolzano – adito da una persona di sesso anagrafico femminile, la quale non si riconosceva tuttavia in tale genere, né propriamente in quello maschile, bensì in un genere non binario, seppure incline al polo maschile – rimetteva la questione alla Corte riferendo che la persona aveva assunto durante la frequenza degli studi universitari un prenome maschile dal quale ormai si sentiva definita rispetto agli altri e che si era rivolta alle strutture sanitarie pubbliche, presso le quali aveva ricevuto una diagnosi di disforia o incongruenza di genere, per identificazione non binaria, con propensione alla componente maschile.

Da qui la sua domanda giudiziale per ottenere la rettificazione del sesso da “femminile” ad “altro” e il cambiamento del prenome da L. a I., nonché per vedersi riconosciuto il diritto di sottoporsi a ogni intervento medico-chirurgico in senso gino-androide (innanzitutto, la mastectomia).

Il Tribunale di Bolzano censurava le norme in materia di rettificazione del sesso sotto due diversi profili: innanzitutto l’art. 1 della legge n. 164 del 1982, per la violazione degli artt. 2, 3, 32 e 117 primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, nella parte in cui non prevede che quello assegnato con la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso possa essere un «altro sesso», diverso dal maschile e dal femminile;  in seconda battuta, l’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, che violerebbe gli artt. 2, 3 e 32 Cost., nella parte in cui subordina all’autorizzazione del Tribunale la realizzazione del trattamento medico-chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali, eventualmente necessario ai fini della rettificazione.

Se in merito al “terzo genere” ovvero al genere “altro” Il Tribunale di Bolzano avanzava perplessità, in merito all’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011 il Tribunale di Bolzano dubitava «della ragionevolezza del regime autorizzatorio previsto dalla normativa censurata, la quale impone un apprezzamento di natura giudiziale sulla necessità dell’intervento chirurgico che dovrebbe per contro essere demandato in via esclusiva ad una valutazione di natura medica e psicologica».

Sulla base delle argomentazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009 sul carattere non necessario dell’intervento chirurgico ai fini della rettificazione di attribuzione del sesso, il Tribunale di Bolzano richiamava i limiti che la discrezionalità legislativa incontra nella materia della pratica terapeutica, nella quale la regola di fondo dovrebbe essere l’autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali.

L’opzione legislativa di condizionare gli interventi chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali all’autorizzazione del Tribunale non risponderebbe a necessità e proporzionalità, giacché tempi e costi della procedura giudiziale ostacolerebbero l’affermazione del diritto del paziente che pure abbia ottenuto un’indicazione medica favorevole, dalla quale peraltro difficilmente il giudice potrebbe discostarsi.

Sarebbero dunque violati gli artt. 2, 3 e 32 Cost., per l’ingiustificata compressione dell’autodeterminazione individuale e del diritto alla salute.

Apparirebbe d’altronde irragionevole la disparità di trattamento fra chi debba sottoporsi a un intervento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali per una disforia di genere e chi debba sottoporsi a un intervento chirurgico di altra natura, ma ugualmente irreversibile, per il primo soltanto esigendosi – oltre alla valutazione sanitaria – l’autorizzazione del Tribunale.

La violazione più macroscopica sarebbe tuttavia inferta all’art. 32 Cost., in quanto il ritardo o il diniego dell’autorizzazione giudiziale impedirebbero al medico di eseguire e al paziente di ricevere un trattamento che essi reputano necessario.

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Valutata attentamente la situazione, alla luce delle argomentazioni svolte la Corte Costituzione in punto “terzo genere” ritiene che le problematiche non possano essere superate in via interpretativa, poiché l’ordinamento vigente è informato implicitamente sulla bipartizione di genere “femminile” e “maschile” e pertanto non è configurabile una rettificazione anagrafica con attribuzione di un genere terzo se non a seguito di un intervento del legislatore.

L’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe, infatti, un impatto generale, che richiede necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria: il binarismo di genere informa il diritto di famiglia (così per il matrimonio e l’unione civile, negozi riservati a persone di sesso diverso e, rispettivamente, dello stesso sesso), il diritto del lavoro (per le azioni positive in favore della lavoratrice), il diritto dello sport (per la distinzione degli ambiti competitivi), il diritto della riservatezza (i “luoghi di contatto”, quali carceri, ospedali e simili, sono normalmente strutturati per genere maschile e femminile).

Per i motivi sopra delineati, le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Tribunale di Bolzano in punto “terzo genere” vengono dichiarate inammissibili.

Diverso invece in relazione alla censura dell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011 che appare fondata

La previsione dell’autorizzazione giudiziale per i trattamenti medico-chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali ha rappresentato una cautela adottata dalla legge n. 164 del 1982 nel momento in cui l’ordinamento italiano si apriva alla rettificazione dell’attribuzione di sesso ma oggi il regime autorizzatorio è divenuto irrazionale, nella sua rigidità posto che non si coordina con l’evoluzione giurisprudenziale che da tempo è pervenuta ad escludere che le modificazioni dei caratteri sessuali richieste agli effetti della rettificazione anagrafica debbano necessariamente includere un trattamento chirurgico di adeguamento, quest’ultimo essendo soltanto un «possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico» (sentenza n. 221 del 2015).

Potendo questo percorso compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico, la prescrizione indistinta dell’autorizzazione giudiziale mostra di aver perduto ogni ragion d’essere al cospetto di un percorso di transizione già sufficientemente avanzato.

Nella fattispecie concreta dal quale nasce la rimessione alla Corte l’attore ha «sufficientemente dimostrato – attraverso il deposito di idonea documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici effettuati – di aver completato un percorso individuale irreversibile di transizione».

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).