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La sottrazione di minori alla luce di una recente pronuncia della Cassazione

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione ha recentemente pronunciato un’interessante sentenza (n.  26185/24) sul reato di sottrazione di minore, previsto dall’art. 574 c.p. secondo il quale “Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni”.

Si tratta di un reato rivolto a tutelare la responsabilità genitoriale e il diritto del minore  a vivere nel proprio ambiente. Per quanto riguarda il soggetto attivo, il reato è comune, poiché può essere commesso da chiunque. E’ permanente, perché l’azione criminale deve perdurare nel tempo e, precisamente secondo giurisprudenza costante, per un periodo “significativo”.

Per l’integrazione del reato sotto il profilo soggettivo, va ricordato come sia sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di sottrarre (o trattenere) il minore senza il consenso o contro la volontà del genitore, a cui viene impedito l’esercizio di diritti e doveri.

Nel caso analizzato dalla Cassazione all’imputato, padre separato di una bambina minore degli anni 14, venivano contestai due episodi di sottrazione: uno commesso il 21 dicembre 2015 e il secondo il 14 marzo 2016.

La difesa nel ricorso per cassazione contestava una contraddizione tra l’assoluzione per il primo episodio e la condanna per il secondo, da parte della Corte di Appello. I giudici di appello non avrebbero considerato che nel breve periodo di lontananza della minore dalla madre, a quest’ultima non sarebbe stato precluso l’esercizio della funzione genitoriale, in quanto aveva sentito telefonicamente la minore anche due volte al giorno; il ricorrente l’aveva invitata a raggiungere lui e la bambina in Calabria per le festività pasquali; non avrebbero poi considerato che anche l’imputato era titolare della responsabilità genitoriale nei confronti della minore, non essendovi un provvedimento di affidamento alla madre, né si sarebbe tenuto conto della limitata durata della condotta, che non avrebbe determinato alcuna significativa limitazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale. Non sussisterebbe nemmeno l’elemento soggettivo del reato, poiché la condotta non era ispirata dalla volontà di sottrarre la minore alla madre, ma dal desiderio di esercitare la funzione genitoriale, impedita dalla ex moglie per motivi economici.

La Cassazione giudica il ricorso su questo motivo inammissibile, perché proposto per ragioni non consentite: solo formalmente denuncia vizi deducibili in Cassazione, mirando, in realtà, a proporre una lettura alternativa della vicenda e della condotta dell’imputato.

Secondo la Suprema Corte i Giudici di appello hanno correttamente giustificato la differente valutazione dei due episodi, ritenendo dirimente, ai fini dell’esclusione di responsabilità per l’episodio del dicembre 2015, il breve lasso di tempo in cui il padre aveva tenuto con sé la bambina: quest’ultima, infatti, era stata presa al mattino dall’asilo, dopo averne richiesto la consegna alle maestre, che, avvisata la madre e nonostante il suo dissenso, gliela avevano , in assenza di provvedimenti dell’autorità giudiziaria che regolassero le visite; la bambina era stata riconsegnata la sera dello stesso giorno e, quindi, il trattenimento della minore contro la volontà della madre era durato solo poche ore.

Del tutto differente è, invece, il secondo episodio: il padre, arbitrariamente e senza avvisare preventivamente la madre, prelevava nuovamente la bambina dall’asilo e la portava con sé in un luogo lontano, senza comunicarlo immediatamente alla madre della minore; interrompeva i contatti telefonici, ripristinandoli solo una volta giunto a destinazione, e tratteneva la bambina per svariati giorni sino all’intervento dell’autorità giudiziaria, sollecitato dalla madre della minore, allarmata dalla reiterazione della condotta e preoccupata per l’assenza di informazioni sulla destinazione della figlia, temendo persino che il padre l’avesse portata all’estero.

Secondo la Cassazione non rilevano, ai fini dell’esclusione di responsabilità, tutti gli elementi proposti dal ricorrente, come il fatto che egli avesse condotto la figlia presso i nonni paterni o che fossero stati consentiti i contatti quotidiani con la madre o, anche, la possibilità di raggiungerli e recarsi nel luogo in cui si trovava la bambina. Inoltre nessuna valenza viene attribuita al fatto che egli non intendesse pregiudicare i diritti della moglie, ma solo esercitare il suo diritto di genitore di vedere e trascorrere tempo con la figlia, compromesso dall’atteggiamento ostruzionistico e oppositivo della moglie, come indicato nel ricorso. Ed infatti secondo la Suprema Corte si tratta esclusivamente di una prospettiva unilaterale e di una lettura parziale della ratio della norma incriminatrice.

Gli Ermellini sottolineano come il ricorrente abbia avuto riguardo unicamente alla sua posizione di titolare della responsabilità genitoriale e all’esercizio di un proprio diritto, dimenticando che, “in assenza di regolamentazione dei rapporti e di provvedimenti giudiziali di affidamento, l’esercizio del diritto non può risolversi nel contrastare in modo duraturo l’uguale diritto dell’altro genitore e nell’accordare prevalenza all’uno piuttosto che all’altro”.

A tal punto la Cassazione ricorda che l’art. 574 c.p. non è diretto a tutelare esclusivamente l’interesse del titolare del diritto, ma anche e, soprattutto, l’interesse del minore: il reato non ha natura istantanea, ma permanente ed è configurabile ogni qualvolta l’impedimento all’esercizio dell’altrui responsabilità genitoriale si protragga per un periodo di tempo rilevante, in quanto la sottrazione o il trattenimento del minore non possono ritenersi immediatamente lesive dell’interesse del minore; vi è, da un lato, l’impedimento durevole dell’esercizio del diritto dell’altro genitore, dall’altro, l’impedimento al minore di mantenere le consuetudini e comunanza di vita con l’altro genitore, per “un periodo di tempo significativo”.  

I giudici di merito hanno avuto cura sia di descrivere la modalità anomala di prelevamento della bambina dall’asilo, senza avvertire la madre e interrompendo i contatti nell’immediatezza, così da lasciarla nell’angoscia e nel timore che potesse portare la bambina all’estero – dove il ricorrente vive, ma in luogo ignoto alla moglie -per portarla in Calabria a trascorrere le festività pasquali con i nonni paterni e trattenerla con sé sino all’intervento dell’autorità giudiziaria e dei CC.

La consumazione del reato si è, pertanto, protratta sino a tale momento pregiudicando il rapporto di cura, vigilanza e assistenza della madre, nonché il rapporto di consuetudine affettiva tra la madre e la minore, con la quale non aveva rapporti frequenti. Tuttavia, per averli, avrebbe potuto rivolgendosi all’autorità giudiziaria.

La Corte d’Appello, prima, e la Cassazione, poi, hanno perfettamente descritto gli elementi del reato di sottrazione di minore, arrivando a tutelare nel concreto gli interessi dello stesso.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.