La revoca del contributo al mantenimento di un figlio non comporta l’aumento automatico del mantenimento dovuto all’altro
(A cura della Dottoressa Elisa Cazzaniga)
L’approfondimento di oggi si concentra sull’ordinanza n. 17855/2023 con cui i Giudici della Suprema Corte decidevano in merito alla possibilità di revisionare l’assegno di mantenimento di un figlio al venire meno dell’obbligo verso l’altro che ha raggiunto la propria indipendenza economica.
Il caso origina da una sentenza del Tribunale Ordinario di Foggia con la quale, nel quadro di una domanda di revisione delle condizioni di divorzio, veniva accolta l’istanza paterna di revoca del proprio obbligo a contribuire al mantenimento della figlia ormai maggiorenne ed economicamente indipendente e contestualmente veniva rigettata l’istanza materna volta ad ottenere un incremento al mantenimento del secondo figlio.
La madre, insoddisfatta della decisione, impugnava il suddetto provvedimento avanti la Corte di Appello di Bari. Tuttavia, il Giudice di secondo grado confermava la decisione del Tribunale e rigettava l’impugnazione affermando che il solo venir meno dell’onere di contribuzione nei confronti di un figlio non comporta automaticamente la rivalutazione del contributo dovuto all’altro figlio, poiché tale circostanza non può essa stessa essere considerata come fatto nuovo.
Il giudice di secondo grado precisava infatti che “la revisione dell’assegno non è mai automatica” essendo sempre necessario che il giudice, sulla base delle prove fornite dalla parte richiedente volte ad accertare la variazione delle condizioni economiche dell’obbligato o le aumentate esigenze di vita del figlio, valuti l’incidenza di tali fatti sopravvenuti sulla necessità di modificare l’ammontare dell’assegno senza tuttavia rivalutarne i presupposti.
Avverso la decisione della Corte di Appello la donna presentava ricorso per Cassazione asserendo che il venir meno dell’obbligo di contribuzione al mantenimento di un figlio costituiva di fatto un elemento di novità in grado di alterare l’equilibrio economico del padre tale per cui veniva meno la necessità di provare le aumentate necessità del figlio o ulteriori fatti sopravvenuti.
In tale occasione, il padre eccepiva l’inammissibilità del ricorso in relazione alla natura non decisoria e non definitiva del decreto impugnato, che ne precluderebbe l’impugnazione ex art. 111 Cost. ed al carattere straordinario della predetta impugnazione con conseguente esclusione della deducibilità del vizio di motivazione. Sul punto, la Suprema Corte ribadiva il consolidato orientamento tale per cui i decreti pronunciati dalla Corte di Appello in sede di reclamo avverso i provvedimenti emessi dai Tribunali nei procedimenti di revisione delle condizioni di mantenimento della prole e affidamento della stessa hanno efficacia di giudicato e sono pertanto impugnabili con ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost.
Quanto al motivo di impugnazione materno gli Ermellini confermavano quanto già stabilito dal giudice di secondo grado: quando viene proposta domanda di revisione del contributo al mantenimento dei figli ai sensi dell’art. 9 L. 898/1970, il giudice non può effettuare una nuova valutazione dei presupposti e dell’entità dell’assegno ponderando in modo diverso da quanto precedentemente effettuato le condizioni economiche delle parti. Il Giudice deve solo verificare se e in quale misura le circostanze sopravvenute abbiano inciso sulla situazione patrimoniale dell’obbligato ed eventualmente rivedere l’ammontare del contributo al mantenimento proprio in ragione dei fatti sopravvenuti e delle mutate esigenze dei figli.
La Suprema Corte riteneva dunque corretta la valutazione operata dalla Corte di Appello di Bari tale per cui il beneficio economico tratto dal genitore esonerato dalla contribuzione al mantenimento di un figlio divenuto ormai economicamente indipendente non genera l’automatico aumento del contributo dovuto per l’altro figlio ancora non autosufficiente. Gli Ermellini precisavano infine che la modifica di tale mantenimento sarebbe stata legittima solo in presenza di comprovate ragioni di natura economica quali una modifica in melius o in peius del reddito paterno oppure ulteriori spese improvvise ovvero un mutamento nelle esigenze del figlio.
In conclusione è possibile rilevare che, in tutti e tre i gradi di giudizio, i Giudici hanno posto alla base delle rispettive decisioni il principio tale per cui la revisione dell’assegno di mantenimento non è mai automatica, bensì devono essere provati e di volta in volta valutati i nuovi fatti sopravvenuti che potrebbero comportare una modifica ovvero la revoca del contributo.
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