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La cassazione ridefinisce e attualizza il principio di bigenitorialità

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Con la sentenza n. 26697 pubblicata lo scorso 18 settembre 2023, la Cassazione ritorna ad esprimersi su di un principio fondamentale nel diritto di famiglia, ovvero il principio della bigenitorialità, da intendersi quale diritto del minore ad avere una presenza comune dei genitori nella sua vita, in modo che gli sia garantita una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, ma anche quale dovere dei genitori di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione permettendo in concreto l’effettività di tale diritto.

La bigenitorialità è, infatti, anzitutto un diritto del minore prima ancora dei genitori, e come tale deve essere necessariamente protetto attraverso decisioni concrete che siano finalizzate a realizzare il suo miglior interesse anche nel caso in cui i genitori non siano più “famiglia”, e ciò in ragione delle responsabilità genitoriali discendenti dal fatto della procreazione.

Ne consegue che il diritto del genitore a vedersi garantite relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore non può che avere carattere “recessivo” perché non può prescindere dal ricercare il miglior interesse del minore.

Sancita per la prima volta dalla Convenzione di New York del 1989 sui Diritti del Fanciullo, la bigenitorialità trova espresso riconoscimento in ambito europeo nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali (c.d Carta di Nizza 2001) e a livello nazionale con la Legge 54/2006 che ha elevato a regola principe della separazione e del divorzio, l’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori.

Ma se il regime dell’affidamento condiviso è orientato alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole, le decisioni dei Tribunale devono tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, e solo nell’interesse del minore il giudice può discostarsi da tale assetto se deve assicurare al minore una modalità di affidamento più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.  (cfr. Cass.n. 19323/2020; Cass. n. 4790/2022).

Sulla base di tale principi, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza oggi in commento ha dichiarato inammissibile il ricorso di un padre che lamentava la lesione del diritto alla bigenitorialità, ritenendo illegittima la decisione della Corte d’Appello di Trieste che da una parte disponeva l’affido condiviso di una bimba di anni sei ma dall’altra autorizzava la madre a fare rientro con la minore in Israele, sua paese di origine.

Tutto aveva inizio avanti il Tribunale di Udine allorquando una donna – finita una convivenza con un uomo italiano – chiedeva di essere autorizzata a fare rientro in Israele con la minore, riconoscendo al padre un ampio diritto di visita ed impegnandosi a farsi carico delle spese di viaggio della figlia verso l’Italia.

La donna riferiva che da oltre tre anni discuteva con l’ex compagno cercando di ottenere il di lui consenso alla partenza anche per l’assenza in Italia di una rete familiare e amicale di sostegno; che finita la relazione amorosa desiderava ricongiungersi in Israele alla sua famiglia di origine; che aveva reperito un’abitazione a Shilat, dove viveva la sorella e dove la minore avrebbe trovato la rete di supporto familiare già conosciuta ed infine che aveva ottenuto in Israele un’occupazione alle dipendenze di azienda di apicoltura, con retribuzione mensile netta pari a circa Euro 2.800,00.

Il padre della minore si costituiva nel procedimento chiedendo il collocamento della figlia presso di sé, dopo aver ribadito il diniego al trasferimento in Israele per il fatto che la minore non conosceva la lingua parlata in quello Stato, soffriva di disturbi dell’apprendimento che l’avrebbero ostacolata anche nell’apprendimento della lingua scritta, che il trasferimento in Israele avrebbe impedito i rapporti con i nonni paterni e che la proposta materna a che la minore trascorresse l’estate in Italia era di difficile realizzazione perché nel periodo estivo si concentrava la sua attività in materia di perizie delle produzioni agricole.

Svolta una CTU al fine di verificare le capacità genitoriali e di individuare le migliori modalità di affidamento della figlia minore e disposto anche un percorso di sostegno alla genitorialità avanti i Servizi Sociali, il Tribunale prendeva atto che detto percorso non aveva contribuito a sedare la conflittualità tra i genitori e – rilevato che la madre era un genitore presente, accudente, sinceramente interessata al benessere della figlia e costituiva la sua principale figura di riferimento, e che il trasferimento in Israele non era determinato da motivi arbitrari ma da motivi genuini – affidava la minore ad entrambi i genitori, in via condivisa fra loro, con collocamento presso la madre e autorizzava la madre a trasferirsi con la minore in Israele.

A garanzia del diritto della minore alla bigenitorialità, disponeva che il padre potesse godere di un ampio diritto di vista in occasione di tutte le vacanze scolastiche; prevedeva a carico del padre il versamento mensile di un importo di Euro 450,00 come mantenimento della minore e la suddivisione a metà delle spese di viaggio.

Contro tale decisione il padre svolgeva reclamo alla Corte d’Appello di Trieste che, però, rigettava l’impugnazione confermando quanto deciso dal Giudice di prime cure.

L’uomo allora ricorreva in Cassazione assumendo leso il principio di bigenitorialità. Partendo dall’assunto che l’attuazione del diritto del minore alla bigenitorialità dovrebbe essere l’affidamento alternato e che laddove non fosse possibile, il Giudice dovrebbe pur sempre adottare modalità di frequentazione che assicurino una crescita serena ed armoniosa del minore, il ricorrente accusava i Giudici di merito di aver tradito tale principio autorizzando il trasferimento della minore a migliaia di chilometri di distanza dalla di lui abitazione.

Inoltre, i Giudici non avrebbero operato una seria valutazione dell’impatto negativo del trasferimento in un Paese estero alla luce dei problemi di apprendimento e di linguaggio della bambina e degli effetti negativi derivanti dallo sradicamento dal luogo in cui aveva sempre vissuto e dalla perdita dei riferimenti parentali italiani, e sarebbe stato privilegiato il diritto della madre di autodeterminarsi, ritenuto prevalente rispetto alle conseguenze negative che l’esercizio di quel diritto avrebbe comportato per la figlia.

Il consenso al trasferimento in Israele, a detta dell’uomo avrebbe realizzato di fatto un affidamento esclusivo alla madre, perchè irrealizzabile – considerando la distanza di più di 3000 Km.- quella “stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi” .

Analizzati i motivi di ricorso, la Cassazione ne dichiarava l’inammissibilità affermando che la Corte d’Appello di Trieste aveva dato la regolamentazione dell’affido e della collocazione della minore che meglio rispondeva ai suoi preminenti interessi.

Ed infatti, la bambina aveva sempre vissuto con la madre e che la madre era stata ritenuta dai consulenti d’ufficio genitore presente, interessata alle necessità della figlia, capace di assolvere alle sue funzioni di cura, capace di fornirle guida e supporto, garantendole adeguato contenimento emotivo in relazione all’età e ai suoi bisogni. Diversamente il CTU, dopo avere dato atto che il padre era una figura presente nella vita della figlia e aveva una relazione positiva con lei, aveva anche espressamente dichiarato non essere possibile misurarne le competenze reali nel merito delle capacità di accudimento e di cura, in quanto la minore era sempre stata collocata presso la madre e gestita quasi completamente da lei, che provvede a ogni sua esigenza quotidiana.

La circostanza che il reclamante avesse lamentato la difficoltà di tenere con sè la figlia nel periodo estivo, nel quale si concentra la sua attività in materia di perizie delle produzioni agricole, e avesse sostenuto la sua disponibilità a tenere con sè la figlia per il resto dell’anno, a parere degli Ermellini faceva emergere la sua assenza di consapevolezza sulle conseguenze che avrebbe questo assetto per la bambina, la quale è sempre stata accudita in via principale dalla madre; la bambina non solo necessitava ancora della quotidiana presenza materna per la sua età, ma soprattutto vedeva nella madre il suo principale punto di riferimento, come attestato in modo indiscutibile dai consulenti d’ufficio, i quali non avevano mai posto in dubbio che la bambina debba continuare a essere collocata presso la madre.

La circostanza che il padre si fosse proposto come genitore collocatario della figlia minore solo dopo e per il fatto che la madre abbia deciso di trasferirsi all’estero e abbia chiesto la collocazione della figlia presso di sè solo nel caso in cui la madre si fosse trasferita all’estero, fava emergere che il suo interesse principale era quello di trattenere la figlia in Italia e non di ottenerne la collocazione presso di sé.

Per tutti i motivi sopra illustrati, la Cassazione escludeva che il decreto impugnato non avesse correttamente valutato il preminente interesse della minore posto che il disturbo dell’apprendimento non può giustificare la decisione di far rimanere in Italia la minore e di collocarla presso il padre. In altri termini, nel bilanciamento tra i diversi interessi della minore, sicuramente risulta prevalente quello di mantenere il legame quotidiano con la madre al quale è abituata dalla nascita, anche se ciò per lei possa comportare difficoltà di apprendimento della lingua ebraica, che non vi è ragione di ritenere insuperabili.

Anche i rapporti della minore con la rete familiare paterna potevano essere coltivati nei prolungati periodi, come specificamente individuati dal Tribunale, nei quali la figlia è con il padre il quale può curare anche i rapporti della figlia con i nonni paterni che, per età, non possono recarsi a visitarla in Israele, essendo altresì evidente che il reclamante non possa dolersi del fatto in sè che tali rapporti siano limitati ai periodi feriali.

Il diritto alla bigenitorialità è, infatti, anzitutto un diritto del minore prima ancora dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare, in primis, il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta (cfr. in motivazione, Cass. n. 9691 del 2022).

Nell’odierna vicenda, dunque, è innegabile che la Corte d’Appello di Trieste ha inteso realizzare il diritto alla bigenitorialità della minore attraverso una valutazione adeguata del migliore interesse di quest’ultima, affrontando, cioè, pure le possibili ripercussioni sull’assetto cognitivo della stessa della decisione della madre di fare ritorno nel proprio Paese d’origine, altresì escludendo che una tale condotta della madre possa ledere apprezzabilmente il rapporto tra la figlia ed il padre, oggi ricorrente. In ciò, quindi, va ravvisata – come si è già accennato trattando i motivi precedenti – la piena coerenza tra la soluzione adottata in questa sede e quella decisa da Cassazione n. 21425 del 2022, dovendo qui solo aggiungersi, quanto alle conseguenze di un avvenuto trasferimento all’estero di uno dei genitori di figli minorenni sul regime dell’affido (condiviso o esclusivo) di questi ultimi, che non può non tenersi conto delle peculiarità caratterizzante le singole vicende, dovendo i principi suddetti essere calati, di volta in volta, in ciascuna realtà effettuale.

Nè va dimenticato che, come già chiarito dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, di fronte alle scelte insindacabili compiute dai genitori, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità ad essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò incida sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario: conseguenza, questa, comunque ineluttabile, sia nel caso di collocamento presso il genitore che si trasferisce, sia nel caso di collocamento presso il genitore che resta.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).