Il mobbing familiare
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
Il concetto di mobbing, generalmente utilizzato nel campo del diritto del lavoro, viene applicato anche in ambito familiare.
La parola mobbing deriva da quella inglese “to mob” che significa accerchiare, circondare, assediare qualcuno per vessarlo e metterlo in una posizione di inferiorità.
Nel mobbing familiare accade che, quando il legame è incrinato e caratterizzato da una forte conflittualità, uno dei conviventi pone in essere, nei confronti dell’altro, ripetute condotte irriguardose, sprezzanti, dispotiche. Le vessazioni possono essere anche solo psicologiche e sono rivolte a creare una vera e propria sottomissione, svalutazione della personalità, annullamento dell’autostima e persino “distruzione” del partner.
Si pensi per esempio a minacce, offese, derisioni, critiche sulla bravura nel gestire il ménage familiare, sulla capacità genitoriale, sulla mancata o errata educazione dei figli oppure sull’aspetto fisico.
Possono sussistere anche disonestà, mancata riservatezza sulle vicende coniugali e personali o ancora comportamenti per cui si impedisce al partner di avere rapporti con la famiglia di origine. In buona sostanza, lungi dal rappresentare una successione di meri litigi, il mobbing familiare consiste in svariati comportamenti denigratori e violenti, ripetuti nel tempo, per porre il coniuge o il convivente in una posizione di assoggettamento. E ciò generalmente provoca nella vittima depressione, stress, ansia.
Talvolta il mobbing familiare si verifica nelle delicate fasi della separazione e del divorzio ed è rivolto a far apparire l’ex come incapace di prendere decisioni.
La dottrina giuridica ha riconosciuto due categorie di mobbing familiare: quello coniugale e quello genitoriale. Il primo si realizza all’interno del nucleo familiare, a danno di uno dei due coniugi. Il mobbing genitoriale si manifesta invece, spesso, nelle coppie separate o divorziate, in cui il mobber cerca in tutti i modi di screditare l’ex nel suo ruolo di padre o madre, facendolo sentire inadeguato e impedendogli di fatto di esercitare la responsabilità genitoriale. Un caso particolare di mobbing familiare è, poi, quello che si verifica nelle famiglie numerose ed è posto in essere da un fratello nei confronti degli altri, oppure da più fratelli a danno di uno, che viene isolato.
Parlò di mobbing familiare la Corte di Appello di Torino nel 2000 in una sentenza in cui venne giudicato rilevante, ai fini dell’addebito della separazione, il comportamento vessatorio di uno dei due coniugi. Ecco le parole della Corte: “Comportamento, in pubblico, del coniuge offensivo ed ingiurioso nei confronti dell’altro coniuge, sia in violazione delle regole di riservatezza e sia, soprattutto, in riferimento ai doveri di fedeltà, correttezza e rispetto derivanti dal matrimonio, condotta ancor più grave se accompagnata dalle insistenti pressioni (“mobbing”) con cui il coniuge stesso invita reiteratamente l’altro ad andarsene di casa”. La Corte, in particolare, definì “mobbing familiare” quelle azioni contrarie al principio di uguaglianza morale e giuridica dei componenti della famiglia, previsto dall’art. 3 della Costituzione.
Successivamente il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 settembre 2007, affermava: “La continua denigrazione di un coniuge da parte dell’altro, integrando il c.d. “mobbing”, può comportare l’addebito della separazione al coniuge responsabile di tali abusi”.
La Corte di Cassazione ha sostenuto come il mobbing familiare sia una valida causa di addebito della separazione, a condizione che venga provato il compimento intenzionale di atti contrari ai doveri matrimoniali, il nesso di causalità tra tali atti e l’intollerabilità della convivenza coniugale ovvero un grave pregiudizio per la prole (sent. n. 13983/2014).
Successivamente gli Ermellini hanno confermato l’addebito della separazione a carico del coniuge che aveva realizzato atti vessatori di mobbing familiare (ordinanza n. 21296/2017).
In tema di mobbing coniugale si è pronunciato più recentemente anche il Tribunale di Como: è stata ritenuta fondata la domanda di addebito della separazione, presentata dalla moglie nei confronti del marito che aveva realizzato nei suoi confronti varie aggressioni fisiche e verbali con minacce di morte. Erano anche state installate microspie nell’abitazione coniugale, nella borsa e nell’orologio della donna, per controllarla (sentenza n. 266/2021).
Con riferimento a reiterate condotte violente realizzate all’interno della famiglia, secondo la Cassazione non vi possono essere dubbi relativamente all’addebito della separazione (ordinanza n. 17892 dell’1.6. 2022).
Recentemente la Suprema Corte ha persino rilevato che gli episodi di violenza familiare devono essere considerati gravi, anche se non reiterati, e ciò determina l’intollerabilità della convivenza e le condizioni per l’addebitabilità della separazione al coniuge violento (sentenza n. 27766/22; ordinanza n. 31351/2022).
La vittima di mobbing familiare potrà, quindi, domandare la separazione con addebito. Quando i comportamenti non rientrano fra quelli previsti dagli artt. 143 e 145 c.c., potrà richiedere il risarcimento ex art. 2043 c.c., provando la sussistenza di un danno psicofisico (ad esempio la depressione) con dati certi ed oggettivi, come certificati medici e altri documenti.
Per quanto concerne la tutela della vittima, dal punto di vista penale, occorre precisare che alcuni comportamenti mobbizzanti – singolarmente valutati – possono avere un’autonoma rilevanza penale. È il caso delle aggressioni fisiche che sfociano in percosse e lesioni.
Spesso il mobber commette i reati di minaccia, violenza privata, violazione degli obblighi di assistenza familiare, molestie.
Quando le condotte vengono prese in considerazione unitamente, potrebbe scattare la responsabilità per il reato di maltrattamenti in famiglia o stalking, entrambi reati abituali che prevedono la reiterazione nel tempo di condotte aggressive.
Proprio per questo vengono criticati coloro che ritengono necessario un intervento legislativo per prevedere un’autonoma fattispecie delittuosa da inserire nell’ambito dei reati contro la persona.
Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.