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Il contratto di lavoro a tempo determinato può determinare la revoca dell’assegno di mantenimento

(A cura dell’Avv. Angela Brancati)

Fino a quando i genitori sono obbligati a mantenere i figli maggiorenni? È una tra le domande che ci viene spesso posta quando una parte prende atto della fine della relazione con l’altra e dalla relazione sono nati dei figli.

Posto che in merito al diritto dei figli maggiorenni il legislatore all’articolo 337 septies c.c. recita:“valutate le circostanze, il giudice incaricato a decidere circa il mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti, può disporre in favore di questi ultimi il pagamento di un assegno periodico”, i giudici si trovano quotidianamente nei procedimenti aventi ad oggetto la separazione, il divorzio o la regolamentazione dei rapporti con i figli nati fuori dal matrimonio, a riconoscere o meno l’erogazione di tali assegni a favore della prole che raggiunta la maggiore età non risulta ancora indipendente economicamente, necessitando dell’apporto genitoriale. 

Nel caso che oggi ci occupa, la pronuncia n. 535/2024 del Tribunale di Lamezia Terme pubblicata lo scorso 10 giugno 2024, giunge all’esito di un giudizio di modifica delle condizioni di separazione ove il padre, ricorrente, chiedeva la  revoca dinanzi il Tribunale di Lamezia Terme adducendo il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte della figlia 23enne.

In particolare, anni prima e nell’ambito del giudizio separativo lo stesso aveva posto a carico del padre il versamento dell’assegno a titolo di mantenimento per la figlia nella misura di €600,00 mensili e il 50% delle spese straordinarie a carico di ciascun genitore. Successivamente, il padre obbligato chiedeva sempre al Tribunale di Lamezia Terme la modifica delle condizioni di separazione quanto al mantenimento da versarsi a favore della figlia, essendo risultata quest’ultima vincitrice di un concorso bandito dal Ministero della Difesa, che le avrebbe garantito uno stipendio mensile di €900,00/1.000,00 oltre al vitto e all’alloggio.

Nel procedimento non si costituiva la madre e il padre allegava anche una dichiarazione di rinuncia all’assegno di mantenimento da parte della figlia.

Alla luce di ciò il Tribunale riteneva di dover chiamare a chiarimenti la ragazza, ottenuti i quali riteneva la domanda del ricorrente in parte fondata e pertanto passibile di accoglimento. 

Il Collegio, infatti, prendendo le mosse dalla giurisprudenza di legittimità e di merito che si era già trovata a tracciare i confini e le condizioni del dovere di contribuzione da parte dei genitori anche a favore dei figli maggiorenni ma non ancora autosufficienti, ne condivideva gli assunti revocando l’assegno di mantenimento in favore della figlia fin dalla data della domanda.

In particolare, il Tribunale di Lamezia richiamando la funzione educativa del mantenimento ed operando al pari della Corte di Cassazione un’interpretazione del sistema nel senso che“sussiste il diritto del figlio all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, “tenendo conto” delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, com’è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione…e che il progetto educativo deve essere compatibile con le condizioni economiche dei genitori” riteneva che nel caso di specie la revoca trovava ragion d’essere non nella dichiarazione di rinuncia al mantenimento della figlia maggiorenne, ma alla luce dei principi richiamati e degli elementi fattuali emersi nel corso dell’istruttoria che provavano una effettiva raggiunta autosufficienza della figlia, elementi confermati da quest’ultima circa il di lei raggiungimento dell’indipendenza economica.

Era, infatti, emerso che la figlia 23enne nelle more aveva percepito uno stipendio di € 1.600,00/1.800,00 euro mensili senza alcuna spesa relativa al vitto, all’ alloggio e alle utenze vivendo la stessa in caserma, sulla base di un contratto a tempo determinato. La figlia aveva dimostrato nonostante il tempo determinato del contratto le di lei capacità di procurarsi una adeguata fonte di reddito che confermavano quindi la raggiunta autosufficienza economica.

Il contratto a termine non poteva per ciò solo far permanere l’obbligo da parte dei genitori a continuare a contribuire con il versamento di un assegno periodo, potendo la scadenza del termine essere equiparata alla perdita dell’occupazione frutto di un contratto indeterminato o dal negativo andamento di un’attività autonoma.

A tutto ciò si aggiungeva la circostanza per la quale la figlia 23enne aveva altresì dichiarato che da una valutazione positiva compiuta da parte dei superiori avrebbe ottenuto la conversione del contratto di lavoro da determinato a indeterminato. 

Sulla scorta del caso concreto, pertanto, il Collegio riteneva anche la sola assunzione a tempo determinato poteva considerarsi sufficientemente stabile, avendo la ragazza ormai fatto ingresso nel mondo del lavoro con buone prospettive di proseguire nella carriera intrapresa e continuare a produrre un reddito sufficiente alla sua autonoma sussistenza anche al termine del periodo di ferma volontaria. 

Il Tribunale specificava altresì che non da ogni attività lavorativa a tempo indeterminato sarebbe potuto discendere il raggiungimento di una autosufficienza economica, dovendosi valutare per esempio l’esiguità della durata del rapporto tale da non offrire alcuna seria prospettiva di durevole emancipazione economica o dalla limitata retribuzione. 

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.