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I percorsi di recupero per i condannati per violenza domestica per ottenere la sospensione condizionale della pena.

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione è recentemente intervenuta in un caso di maltrattamenti in famiglia aggravato, con specifico riferimento alla subordinazione della concessione della sospensione condizionale della pena allo svolgimento di percorsi di recupero (Cass., n. 40888/24).

Il caso era particolare, poiché le condotte maltrattanti erano state realizzate prima e dopo l’entrata in vigore della Legge n. 69 del 2019 che ha modificato l’art. 165 c.p, quinto comma, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati.


Secondo un orientamento consolidato nell’ipotesi di condotta sviluppatasi sotto due differenti regimi normativi, la sanzione da applicare è quella vigente alla data della consumazione del reato (anche se sfavorevole rispetto a quella
precedente). Quindi nel caso analizzato, connotato dalla protrazione ininterrotta delle condotte maltrattanti sino all’aprile 2021, secondo la Cassazione è obbligatoria l’applicazione dell’art. 165, quinto comma, c.p..

La Suprema Corte ricorda come tale norma sia stata
introdotta, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione di Instambul, soprattutto in termini preventivi, per evitare recidive.

Inoltre la Direttiva del 14 maggio 2024 n. 2024/1385/Ue “Sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”, che si occupa dei programmi di intervento per gli uomini autori di violenza, ne delinea finalità e contenuti nel Considerando 62 in base al quale occorre istituire programmi di intervento per prevenire e ridurre al minimo il rischio di commettere (ripetuti) reati di violenza contro le donne o di violenza domestica o di recidiva.

Tali programmi, che dovrebbero essere condotti da professionisti formati e qualificati, dovrebbero mirare specificamente a garantire relazioni sicure e a
insegnare agli autori di reati o ai soggetti a rischio di reato come adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali e come contrastare i modelli comportamentali violenti. Stabilisce anche la necessaria individualizzazione dei percorsi, unico strumento a renderli efficaci nella logica perseguita dal
legislatore nazionale e sovranazionale, come l’art. 15 della l. n. 168 del 2023.

Gli Ermellini ricordano, poi, gli obiettivi perseguiti dall’art. 165 , quinto comma, cod. pen. in una prospettiva convenzionale ed eurounitaria: prevenire il rischio di recidiva, consentire all’imputato di manifestare la scelta libera ed autonoma di intraprendere un percorso di rivisitazione delle ragioni sottese alla commissione del delitto, nonché tutelare le vittime, incidendo sulle condotte dell’autore nella fase processuale. Ma anche vincolare il giudice, in deroga alla discrezionalità
concessa dal primo comma dell’art. 165 cod. pen., stante la prospettiva
principalmente rieducativa dell’istituto.

La Cassazione sottolinea come i percorsi, per essere efficaci, richiedano il preliminare accertamento della “libera, consapevole ed effettiva volontà di intraprenderli da parte dell’imputato, non bastando la sua “non
opposizione”.

La Cassazione prosegue rilevando come sia essenziale “rimuovere le radicate convinzioni circa la
supremazia maschile e la sudditanza femminile, ridisegnando i relativi
ruoli di genere, che fondano la natura discriminatoria di questi delitti
lesivi di diritti umani inalienabili”.

Sottolinea anche come il consenso dell’imputato (espresso formalmente o ritenuto dal giudice in base ad elementi oggettivi desumibili dagli atti), per la
gravosità del percorso, debba essere “pieno” poiché si riflette sui suoi diritti fondamentali, nonché sulla stessa eseguibilità della pena ed è, dunque, necessario che egli sia
cosciente delle sue conseguenze giuridiche.
L’imputato deve tra l’altro sostenere il costo per la partecipazione ai
percorsi (come stabilito dall’art. 6 , comma 2, l. n.
69/2019) anche con sacrifici personali e questo avvalora la valutazione positiva per l’applicazione della sospensione condizionale della pena che tiene conto anche del comportamento successivo al reato

Inoltre, se l’imputato è sottoposto a misura cautelare, il giudice deve operare una doppia prognosi per escludere il rischio di recidiva. La prima concerne il profilo cautelare che deve tenere conto del rischio proprio dei delitti di violenza contro le donne e domestica che sono abituali e si connotano ontologicamente per la reiterazione della condotta nei confronti di una vittima determinata: qualora non
risulti con certezza che è cessata l’abitualità la prognosi non può che
essere negativa. La seconda riguarda la deliberazione della sentenza nella quale deve esserci una ampia e stringente motivazione in ordine alla presunzione “che il
colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati”, avendo riguardo non solo al rischio di recidiva, ma anche “valutando la capacità dell’agente di autolimitarsi rispetto a condotte di reato di altra natura, nella più ampia prospettiva di
estinzione del reato”.

La Cassazione conclude sottolineando la natura complessa della decisione del giudice per concedere la sospensione condizionale della pena nei
delitti elencati dall’art. 165 , quinto comma, cod. pen.. Prima di tutto occorre accertare la presenza del consenso, libero ed informato, dell’imputato a seguire i
percorsi individualizzati presso un ente/associazione che non può essere individuato dall’UEPE come si desume dall’art. 165, quinto comma, cod. pen., come modificato dalla I. n. 168 del 2023 e dall’art. 18-bis disp att. coord. cod. pen. che stabilisce
che l’ufficio di esecuzione penale esterna accerti solo
l’effettiva partecipazione del condannato al percorso di recupero e ne
comunichi l’esito al pubblico ministero. Il provvedimento del giudice, inoltre, deve stabilire l’eventuale cadenza settimanale del percorso (indicata in almeno due giorni a settimana) a seconda del delitto contestato e delle modalità dello stesso; la necessità che, ai fini dell’estinzione della pena, il percorso si conclude con esito favorevole, non bastando la sola partecipazione; il termine di inizio del percorso da far decorrere dalla data di irrevocabilità della pronuncia. La durata del percorso va indicata dal giudice, nel dispositivo di sentenza, stabilendo quella massima.

La Cassazione ricorda come non valgano eventuali partecipazioni a corsi
autonomamente iniziati dall’imputato o programmi di recupero dalle
dipendenze che prescindono dal delitto commesso, dalla tutela della persona offesa e hanno una finalità di cura (valutabili, però, ai fini della revoca o sostituzione della
misura cautelare, quando ne sussistano i presupposti).

La Cassazione annulla, ma con rinvio per la complessità dell’accertamento, demandato solo al giudice di merito, sul libero e consapevole consenso dell’imputato,
con l’individuazione dell’ente più adatto al caso concreto e con la
fissazione dell’inizio e della durata del percorso.

Questa sentenza rappresenta un’importante presa di posizione sui percorsi per ottenere la sospensione condizionale della pena, ma anche per ‘recuperare’ in modo effettivo i responsabili del grave delitto di maltrattamenti in famiglia.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.