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I GENITORI SONO RESPONSABILI PER L’ABUSO DEI SOCIAL DA PARTE DEI FIGLI.

(A cura della Dott.ssa Chiara Massa)

Il Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 879 del 4 marzo 2025 ha condannato due genitori al pagamento di un risarcimento di 15mila euro (calcolato sulla scorta di parametri di Tabelle del Tribunale di Milano) per i danni causati dalla figlia, portatrice di un lieve ritardo intellettivo, che aveva creato vari profili fake per insultare, diffamare, intimidire e minacciare una compagna di classe, anch’ella all’epoca dei fatti minorenne.

In particolare, dal luglio a dicembre 2017 erano comparsi su Instagram diversi profili riconducibili a tale compagna di classe, con contenuti fortemente diffamatori. Innanzitutto erano state pubblicate sia fotografie illegittimamente prelevate dal suo account personale e modificate con l’uso di software per l’elaborazione delle immagini, inserendo contenuti pornografici, sia insulti volgari, in particolare a sfondo sessuale, oltre a commenti offensivi a lei diritti. Inoltre, qualche mese dopo, erano comparsi anche nel suo account personale diversi commenti ed epiteti diffamatori, i quali erano risultati provenire da due utenti con profilo attivo. 

A causa di tali circostanze, la vittima aveva vissuto un periodo di forte stato d’ansia e il tenore degli insulti ricevuti e delle fotografie sessualmente esplicite l’avevano al punto umiliata che decideva di sporgere denuncia-querela contro ignoti.

Nell’ambito delle indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia venivano individuati una serie di indirizzi IP riconducibili a un’utenza che aveva consultato varie volte i predetti falsi profili.

Tale utenza era risultata intestata al padre di una compagna di classe della vittima che veniva quindi individuata quale presumibile creatrice dei falsi profili ‘Instagram’.

Il fascicolo veniva quindi trasmesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia, ove veniva iscritto un procedimento penale per il delitto di Atti persecutori ex art. 612 bis c.p poi modificato in sostituzione di persona (art. 494 c.p.), diffamazione aggravata (art. 595, co. 3 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.) e detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater, co. 1 c.p.).

Nel proseguo delle investigazioni, la giovane indagata aveva negato ogni responsabilità riferendo di essere seguita da un’insegnante di sostegno e depositando ampia documentazione medica, da cui era emersa la sua presa in carico da parte del Servizio di Neuropsichiatria Infantile sin dall’agosto del 2010, con diagnosi di ritardo intellettivo di lieve entità, e che era munita di certificazione ai sensi della L. 104/1992. In ragione di tali circostanze, l’indagata riferiva di essere seguita, oltre che dall’insegnante di sostegno, anche da un assistente ad personam per le relazioni sociali e da un’educatrice domiciliare con cui aveva iniziato un percorso di responsabilizzazione e socializzazione nel proprio contesto di vita. L’esistenza di tali problematiche comportamentali e psicologiche era stata confermata dai Servizi Sociali che riferivano di aver anche attivato un servizio educativo domiciliare, nel corso del quale, tra le altre cose, un’educatrice aveva avviato con la ragazza un percorso per insegnarle come utilizzare correttamente i social network, con l’obiettivo principale di renderla più consapevole e responsabile nell’uso di tali strumenti. 

Circa i reati a lei contestati, il Servizio concludeva riferendo che “la ragazza non sembra aver consapevolezza di quanto commesso, non ha sviluppato alcun senso di colpa sull’accaduto. Non sembra percepirne la gravità”. 

Nel corso dell’udienza preliminare, l’imputata aveva ritrattato quanto in precedenza dichiarato, ammettendo di aver posto in essere le condotte a lei ascritte ma il Tribunale per i Minorenni di Brescia, considerate le condizioni psico-fisiche dell’imputata, aveva disposto “non doversi procedere nei di lei confronti per i reati a lei ascritti perché non imputabile al momento del fatto per incapacità di intendere e di volere”

Alla luce di ciò, alla giovane vittima non rimaneva che convenire in giudizio i genitori della compagna di classe chiedendone al condanna al risarcimento dei danni patiti, stante al loro responsabilità ai sensi degli artt. 2047 e 2048 c.c.

I genitori della parte convenuta si costituivano in giudizio asserendo l’assenza di loro responsabilità in quanto si erano presi cura della figlia sin dalla sua tenera età, rivolgendosi negli anni, a causa delle difficoltà di sviluppo della stessa, a vari specialisti, facendola anche seguire da insegnanti di sostegno e da un’educatrice domiciliare. 

I genitori infatti, escludevano la loro responsabilità deducendo di aver attivato tutti i canali e le strutture indispensabili al fine di fornire alla figlia il supporto necessario per uno sviluppo corretto. Gli stessi avevano anche imposto alla figlia la condivisione delle credenziali di accesso ai suoi profili social ed erano soliti effettuare controlli esterni, navigando tra i post pubblicati dalla figlia sul proprio profilo, in qualità di amici/ followers, e che le avevano costantemente ribadito di prestare attenzione ai pericoli del mondo virtuale.

Quanto ai falsi profili creati, i genitori esponevano di non averne avuto conoscenza, non possedendo “le competenze tecnico-informatiche per verificare l’eventuale esistenza di profili fake che non risultino dal profilo ufficiale.

Ma gli argomenti dei genitori non convincevano i Giudici di Bologna che li condannavano al risarcimento dei danni causati alla compagna di classe della figlia richiamando la giurisprudenza consolidata che afferma la responsabilità civile dei genitori anche in presenza di minori incapaci, qualora emerga un deficit nella vigilanza.

I convenuti infatti, erano tenuti alla sorveglianza della figlia, la cui incapacità era pacifica. L’articolo 2047 c.c. configura una forma di responsabilità diretta, fondata sull’inosservanza del dovere di vigilanza sul soggetto incapace. 

Secondo il Tribunale, per escludere la responsabilità genitoriale, non è sufficiente dimostrare di aver adottato una generica diligenza nella vigilanza. Ai sensi dell’articolo 2047 del codice civile, è necessario provare di non aver creato o lasciato permanere situazioni di pericolo che abbiano consentito il compimento di atti lesivi. Il risarcimento, infatti, è a carico di chi era tenuto alla sua sorveglianza, a meno che non provi di non aver potuto impedire il fatto. Nel caso in esame il Tribunale riteneva che i genitori non avevano dimostrato di “non aver potuto impedire il fatto”, dal momento in cui gli accorgimenti da loro predisposti con riferimento all’utilizzo dei social network da parte della figlia, non possono ritenersi sufficienti per escludere la responsabilità ex art. 2047 c.c. 

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