FINITA LA RELAZIONE AMOROSA LA EX DEVE RILASCIARE L’IMMOBILE OCCUPATO
(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
In caso di contratto di comodato senza termine (c.d. comodato precario) in applicazione dell’art. 1810 c.c. il comodatario è tenuto a restituire l’immobile oggetto del comodato non appena il comodante lo richiede.
Irrilevante per sottrarsi a tale restituzione la circostanza che tra comodante e comodatario fosse intervenuta una relazione sentimentale in mancanza di una prova scritta come il contratto di convivenza ovvero in mancanza di una specifica nel contratto, che l’immobile viene concesso in uso per finalità di convivenza familiare.
La ex convivente dovrà pertanto rilasciare l’immobile e riconoscere le spese di lite.
Questo quanto deciso dal Tribunale di Venezia con una sentenza pubblicata il 16 ottobre 2024 all’esito di un procedimento ex art. 447 bis c.p.c che ha visto accolto il ricorso proposto dal proprietario di un appartamento e delle relative pertinenze che ne aveva chiesto il rilascio, contestando anche l’uso non consentito come laboratorio di attività artigianale del garage e del magazzino annessi all’abitazione oggetto di comodato.
L’uomo, infatti, in forza del contratto che non prevedeva un termine di durata, anche tenuto conto che la comodataria utilizzava i locali per un uso non consentito, aveva inviato lettera raccomandata dando termine alla donna di liberare l’immobile entro e non oltre sei mesi.
L’uomo cercava di far ragionare la donna e attendeva due anni dalla prima comunicazione di intimazione, ma la donna non ottemperava alla richiesta di rilascio costringendo l’uomo a chiamarla in mediazione per dare avvio alla procedura giudiziale.
A fronte dell’esito negativo della mediazione l’uomo depositava ricorso ex art 447 bis c.p.c. esponendo di essere proprietario dell’immobile in provincia di Venezia concesso in comodato in data 8.3.2006 con garage e magazzino e che, avvalendosi della facoltà di recesso ad nutum dal contratto, egli in data 24.3.2020 aveva contestato alla comodataria un uso non consentito del garage e del magazzino a laboratorio per attività artigianale e l’aveva invitata a rilasciare il bene entro il termine di sei mesi dal ricevimento della richiesta.
Vista l’inerzia della donna, esperiti tutti i tentativi di accordo, chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare la detenzione senza titolo dell’immobile e per l’effetto, condannarla all’immediato rilascio.
La donna si costituiva in giudizio contestando il diritto del ricorrente e deduceva che l’immobile fosse stato, in origine, di proprietà della sua famiglia e che, nell’anno 2004, in seguito ad un fallimento il bene era andato al pubblico incanto e acquistato dal comodante con denaro della stessa.
La resistente, infatti, asseriva di aver intrattenuto una relazione sentimentale con il ricorrente e, per evitare la perdita dell’immobile di famiglia, avrebbe stipulato con lui un accordo fiduciario; a fronte del pagamento da parte della resistente del prezzo di incanto, a mezzo di assegni circolari tratti sul conto corrente intestato a lei ed a sua madre, all’ordine della curatela del fallimento, il ricorrente avrebbe acquistato all’asta il bene, in nome proprio, ma per conto della resistente, con l’impegno di ritrasferirne al proprietà alla stessa, appena possibile.
Nel frattempo, le parti avrebbero stipulato un contratto di comodato relativo al medesimo immobile, in base al quale il bene avrebbe dovuto essere ritenuto abitazione ad uso familiare, poiché le parti vi avrebbero convissuto more uxorio.
La resistente, pertanto, contestava, da una parte, la natura precaria del contratto di comodato, per essere stato finalizzato ad uso convivenza more uxorio, e concludeva asserendo la nullità o comunque l’inefficacia della clausola di recesso ad nutum di cui al punto n. 2 del contratto.
Dall’altra parte, sulla base del preteso patto fiduciario tra le parti, chiedeva che il ricorrente fosse condannato al trasferimento dell’immobile.
Naturalmente l’uomo contestata la veridicità delle affermazioni in merito al patto fiduciario e negava che l’abitazione fosse stata concessa in comodato con finalità di convivenza familiare rilevando l’inesistenza di alcuna prova scritta su tale punto e l’inammissibilità della prova per testimoni in punto relazione sentimentale.
Rigettate perché inammissibili ed irrilevanti, le istanze istruttorie con testimoni, la causa veniva trattenuta in decisione e il Tribunale concludeva che il ricorso dell’uomo era fondato e andava accolto.
Il contratto di comodato infatti non conteneva alcuna clausola di durata né, tantomeno, alcuna indicazione di destinazione d’uso specifica, tale da portare a ritenere che il comodato avesse avuto termine con l’esercizio del diritto di recesso esercitato dall’uomo con la prima raccomandata.
A maggior ragione tale recesso andava ritenuto legittimo, nella misura in cui il comodante aveva lamentato un uso non consentito dell’immobile, in violazione della norma di cui all’art. 1804 c.c., circostanza questa non contestata specificamente dalla resistente. Pertanto, dalla scadenza dei sei mesi indicati, la donna avrebbe dovuto lasciare l’immobile anche tenuto conto del fatto che la relazione amorosa era in ogni caso terminata prima dell’inizio del procedimento per il rilascio.
Irrilevanti le richieste probatorie della resistente in merito alla asserita convivenza in tale immobile con il comodante. Per esplicita ammissione della donna, inoltre, il rapporto sentimentale era cessato nel giugno 2021: la condizione che ella invoca a sostegno della destinazione d’uso familiare del bene era comunque venuta meno.
Del pari veniva rigettata la domanda riconvenzionale, fondata su di un asserito patto fiduciario stipulato in forma orale, poiché si tratterebbe di accordo, antecedente o contestuale all’acquisto del bene immobile, volto a modificare tale contratto scritto e, pertanto, è applicabilità il limite alla prova testimoniale di cui agli art. 2722 e 2724 c.
In mancanza di una dichiarazione ricognitiva del presunto fiduciario, le richieste di prova testimoniale avanzate dalla resistente in ordine al preteso contratto sono inammissibili ed irrilevanti, per difetto di alcun documento costituente quanto meno un principio di prova scritta, idoneo a far a ritenere plausibile al prospettazione fattuale fornita. Anche gli assegni non sono sufficienti a provare la riconducibilità del denaro alla resistente, la quale ha omesso di produrre documentazione bancaria, valevole a dimostrare al provenienza del rapporto da cui hanno tratto origine i predetti titoli. Parimenti, per le medesime ragioni in diritto, va ritenuta inammissibile al prova costituente il file audio dal quale si evincerebbe il dedotto accordo tra le parti.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.
È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).