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PRIMA E SECONDA MOGLIE: COME SI RIPARTISCE LA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ?

Con la decisione n. 5839/2025 la Corte di Cassazione interviene in tema di ripartizione della pensione di reversibilità per il caso in cui sia l’ex coniuge che il coniuge superstite del defunto abbiano i requisiti per beneficiarne. In particolare gli Ermellini, nel cassare la decisione della Corte di Appello di Brescia, enunciano il seguente nuovo principio di diritto precisando quali siano gli aspetti da comparare con particolare riferimento all’assegno divorzile: “in tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all’ex coniuge divorziato ai sensi dell’art. 9, comma 3, l. n. 898 del 1970, la quota spettante a quest’ultimo non deve necessariamente corrispondere all’importo dell’assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l’entità dell’assegno divorzile, in modo tale che l’attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell’istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto”.
Per comprendere al meglio l’importanza della decisione è opportuno ricostruire la vicenda giudiziaria dai suoi albori.
Nel 2022 l’ex coniuge conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Bergamo la seconda moglie del proprio ex marito e l’INPS al fine di vedersi riconosciuta la quota del 80% della pensione di reversibilità del defunto ex marito e, comunque, una somma non inferiore all’assegno divorzile di €315,00. In particolare, la donna deduceva di aver diritto ad una quota di pensione superiore a quella spettante alla moglie superstite in quanto il primo matrimonio era durato quasi quarant’anni, mentre il secondo solo cinque.
L’INPS si costituiva esponendo che il defunto uomo era titolare di un trattamento pensionistico di vecchiaia, che l’importo mensile della pensione di reversibilità ammontava a circa €1.900,00 e che entrambe le donne avevano presentato domanda di pensione di reversibilità.
La seconda moglie si costituiva chiedendo di accertarsi e dichiararsi il proprio diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità del defunto marito in misura non inferiore all’80% del totale. La convenuta precisava di aver avuto una relazione prematrimoniale di tre anni, di essere stata sposata sei e di versare in uno stato di indigenza economica tale da aver richiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza.
Il Tribunale di Bergamo attribuiva all’ex coniuge il 70% della pensione di reversibilità erogata dall’INPS e alla coniuge superstite il restante 30%. Quest’ultima proponeva appello avanti la Corte territoriale di Brescia che, tuttavia, respingeva l’impugnazione. Avverso questa pronuncia la seconda moglie ricorreva per cassazione con un solo motivo di censura.
La donna lamentava che la Corte di Appello non aveva tenuto conto del fatto che la coniuge superstite aveva conseguito una quota inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l’ex moglie aveva ricevuto una quota sproporzionata rispetto all’assegno di divorzio in precedenza goduto. La ricorrente affermava che i giudici di secondo grado non si erano ispirati ai principi di equità che regolano l’istituto.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo.
Premesso che, ai sensi dell’art. 9 l. 898/1970, è pacifico che qualora esistano tanto un ex coniuge quanto un coniuge superstite aventi i requisiti per la pensione di reversibilità, il Tribunale deve attribuire una quota della pensione anche all’ex coniuge titolare di un assegno divorzile.
Più difficile risulta, invece, la quantificazione dell’importo spettante all’uno e all’altro beneficiario. La Corte Costituzionale nel 1999 interveniva sul punto affermando la legittimità costituzionale della previsione normativa secondo cui il giudice deve certamente tenere conto della durata temporale dei due matrimoni, attribuendo a questo elemento anche valore preponderante, purché tale criterio non sia l’unico adottato. La Corte Costituzionale riteneva che dal tenore letterale dell’art. 9 emergeva la necessità di una ponderazione del giudice tra diversi aspetti, senza che la valutazione si riducesse ad un mero calcolo aritmetico.
Gli Ermellini, nel motivare la propria decisione, evidenziano che, conseguentemente alla decisione della Corte Costituzionale, la Cassazione aveva già affermato in molteplici occasioni che la ripartizione della pensione di reversibilità, così come quella dell’indennità di fine rapporto, deve essere effettuata ponderando il criterio della durata del matrimonio con due ulteriori elementi esplicativi della finalità solidaristica dell’istituto: l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche di entrambi beneficiari.
Entrambi questi aspetti sono da valutare in considerazione della natura solidaristica della pensione di reversibilità correlata alla perdita del sostengo economico apportato in vita dal defunto in favore degli aventi diritti. In quest’ottica è bene evidenziare che, nonostante tale funzione, l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità all’ex coniuge non è una mera continuazione post mortem dell’assegno divorzile nonostante le ragioni giustificatrici dei due istituti siano da ricercare nel principio della solidarietà familiare. Essendo dunque somme corrisposte a titolo differente, la Corte di Cassazione precisa che l’importo dell’assegno divorzile deve essere certamente considerato, ma la relativa entità non deve costituire un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità spettante.
Nel caso di specie, gli Ermellini rilevano che la Corte di Appello di Brescia, pur non avendo considerato l’entità dell’assegno divorzile come limite, ha utilizzato come unico e preponderante criterio di valutazione quello della durata del matrimonio. Inoltre, in violazione del principio solidaristico, la Corte territoriale non ha neppure tenuto in debita considerazione la condizione di indigenza in cui versava la seconda moglie.
Per tali ragioni, dunque, la Corte di Cassazione cassa la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Brescia al fine di veder rideterminate le quote di pensione di reversibilità spettanti alle due donne in applicazione dei principi enunciati.

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