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L’EX CONIUGE HA DIRITTO ALL’ASSEGNO PER I FIGLI FUORI SEDE SE ANCORA PROVVEDE MATERIALMENTE ALLE LORO ESIGENZE

Cosa accade se il figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente vive fuori sede? La Corte di Cassazione torna a rispondere a questa domanda con la decisione n. 30179 del 22 novembre 2024 confermando che l’ex coniuge ha diritto all’assegno anche per i figli fuori sede se la casa familiare resta un punto di riferimento stabile per loro.

Non è necessaria, secondo la Corte, la costante dimora presso l’abitazione del genitore essendo sufficiente che il beneficiario sia la figura che provvede materialmente alle loro esigenze e al loro sostentamento.

La vicenda trae origine da un procedimento per la modifica delle condizioni di divorzio introdotto avanti il Tribunale di Napoli da un padre che chiedeva di essere esonerato dal versare l’assegno di € 5.000,00 per il mantenimento delle figlie direttamente all’ex coniuge poiché le ragazze erano ormai maggiorenni e non convivevano più con la madre. In via subordinata, l’uomo chiedeva che l’importo venisse ridotto ad € 1.000,00 in caso di accertamento della coabitazione madre-figlie.

In primo grado venivano rigettate le istanze paterne in quanto il solo conseguimento della laurea non aveva trasformato la temporaneità della permanenza fuori sede delle ragazze e non era stata provata la riduzione reddituale dedotta dal ricorrente.  

Impugnata la decisione, la Corte di Appello napoletana ricordava, invece, che l’assenza di convivenza con la madre avrebbe determinato il venir meno della di lei legittimazione a chiedere e ottenere in proprio il contributo per il mantenimento delle figlie. Quanto alle ragazze, veniva motivato che le stesse avevano intrapreso percorsi post-laurea coerenti con gli studi svolti e che ben avrebbero potuto accedere ad esperienze lavorative qualificanti ed in linea con le prospettive del contesto familiare e socioeconomico in cui erano inserite. Da ciò derivava che la residenza nella nuova città non poteva più essere considerata temporanea. In accoglimento, dunque, del reclamo paterno, la Corte territoriale statuiva che nulla più fosse dovuto dall’uomo all’ex coniuge per il mantenimento delle figlie stante la mancata coabitazione con le ragazze e che al più queste ultime avrebbero dovuto formulare apposita ed autonoma richiesta al padre.

La donna impugnava tale decisione con ricorso per Cassazione prospettando due motivi di doglianza: il primo relativo al raggiungimento dell’indipendenza economica delle ragazze e ritenuto infondato; il secondo concernente il tema della coabitazione madre – figlie.

Sul punto la donna lamentava che la Corte di Appello di Napoli non aveva attentamente vagliato la decisiva documentazione dalla stessa prodotta circa la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’assegno di mantenimento alla madre in ragione dello stabile e periodico rientro delle figlie presso la casa familiare stante la di loro precarietà lavorativa e non autosufficienza economica.

Una delle ragazze, infatti, dopo la laurea in giurisprudenza aveva iniziato il periodo di pratica forense senza avere ancora conseguito il titolo e faceva periodicamente ritorno presso la casa materna; l’altra, invece, aveva un contratto di stage finalizzato alla costruzione della formazione lavorativa che non garantiva alcuna autonomia economica e rientrava presso la madre ogniqualvolta le risultasse possibile e necessario.

La donna evidenziava la non rilevanza del solo dato temporale di permanenza presso la casa familiare poiché, pur in assenza di coabitazione prevalente, è da verificare se il genitore beneficiario dell’assegno continui o meno a provvedere materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario al di lui sostentamento presso la sede di studio.

La Corte di Cassazione riteneva fondato tale motivo ed affermava l’incoerenza della tesi della Corte di Appello di Napoli, che rinveniva nella stabile convivenza madre-figlie il presupposto della legittimazione materna a percepire l’assegno per le ragazze, con la più recente giurisprudenza di legittimità. Gli Ermellini ritenevano, infatti, che “la legittimazione iure proprio del genitore a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand’anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio”.

I Giudici di legittimità affermavano, dunque, che nel caso di specie non era da valutare la prevalenza temporale dell’effettiva presenza delle figlie presso la casa della madre, bensì se tale abitazione costituisse il punto di riferimento stabile a cui fare sistematico ritorno in considerazione del fatto che la madre era la figura che si occupava del loro sostentamento e che provvedeva materialmente alle loro esigenze primarie. In considerazione dell’omessa valutazione da parte del giudice della documentazione lavorativa delle ragazze che dimostrava gli aspetti di cui sopra sia dal punto di vista abitativo, dato che entrambe le figlie vi facevano periodicamente ritorno, sia dal punto di vista della non raggiunta indipendenza economica e della necessità, quindi, di un sostegno periodico da parte dei genitori, la Suprema Corte cassava la decisione impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per il riesame della sentenza nel rispetto degli enunciati principi.

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