Assegno divorzile e nuove convivenze: l’ultima pronuncia della Cassazione.
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3761/2024 di recente pubblicazione è tornata a pronunciarsi sui presupposti che determinano la revisione dell’assegno divorzile anche in presenza di una nuova e radicata convivenza more uxorio.
Il procedimento portato all’attenzione dei giudici di legittimità prendeva le mosse da un ricorso depositato dinanzi il Tribunale di Genova da parte di un ex marito che obbligato alla corresponsione di un assegno divorzile a favore della ex moglie, ne chiedeva la revoca adducendone il venir meno dei presupposti che ai tempi della sentenza di divorzio ne avevano determinato il riconoscimento.
La donna, infatti, dopo anni dal divorzio intraprendeva una stabile e duratura relazione che si trasformava poi in convivenza, che alterava gli equilibri economici riconosciuti con la pronuncia divorzile.
L’Autorità Giudiziaria, ritenendo fondata la pretesa, accoglieva il ricorso e revocava così il diritto in capo alla donna, la quale tempestivamente avverso tale pronuncia proponeva reclamo dinanzi la Corte d’Appello di Genova.
I giudici di seconde cure accoglievano solo parzialmente l’impugnazione e riconoscevano in capo alla donna la permanenza del diritto a vedersi sebbene in misura ridotta corrisposto da parte dell’ex marito l’assegno divorzile, essendo venuta meno unicamente la componente assistenziale, per intervenuta convivenza more uxorio e non anche quella compensativo-perequativa.
Proponeva ricorso per Cassazione l’ex marito affidandosi a 4 differenti motivi per non avere la Corte di merito valutato il venir meno del pre-requisito della mancanza dei mezzi adeguati in capo alla richiedente e per non aver analizzato compiutamente la permanenza degli elementi che avevano fondato l’accoglimento della richiesta ai tempi dello scioglimento del matrimonio.
In particolare, il ricorrente lamentava che la mancata valutazione da parte del giudice di merito delle circostanze sopravvenute anche con riferimento alla componente compensativo-perequativa dell’assegno divorzile avrebbero dato di fatto vita ad una cristallizzazione che mai avrebbe permesso una revisione dello stesso assegno con tendenziale effetto abrogativo dell’art. 9 della legge 898/1970.
L’uomo deduceva, invero, che la sopravvenienza di circostanze a cui conseguiva un migliore assetto patrimoniale e reddituale della donna, avrebbe giustificato la richiesta di revoca e/o revisione dell’assegno, aggiungendo altresì che l’onere della prova nel nuovo giudizio sarebbe gravato esclusivamente sulla richiedente, la quale avrebbe dovuto dimostrare che la permanenza della disparità reddituale continuava ad essere dovuta al ruolo endo-familiare che la stessa aveva ricoperto in costanza di matrimonio e che aveva favorito la crescita professionale dell’obbligato.
Il ricorrente, inoltre, a sostegno della propria difesa adduceva che il riequilibrio della disparità reddituale venutasi a creare in costanza di matrimonio era stato assolto ab origine con la scelta della comunione legale tra i coniugi.
La Corte di Cassazione nell’esaminare tutti i motivi congiuntamente, premetteva che nel caso di specie poteva dirsi superata la diatriba sorta in merito alla componente assistenziale dell’assegno divorzile, dal momento che tale componente veniva già esclusa dai giudici di merito e pacificamente accettata dalla richiedente stante l’intervenuta e non contestata convivenza more uxorio.
Il Giudice di merito, attenendosi a quanto statuito dalle SU della Cassazione con la pronuncia n. 18287/2018, aveva correttamente valutato la sopravvenienza di quelle circostanze idonee ex art. 9 della legge 898/1970 a modificare e/o revocare l’assegno divorzile e che avevano alterato gli equilibri sanciti dall’assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio, senza tuttavia mettere in discussione in sede di revisione gli stessi presupposti che avevano dato vita al riconoscimento.
I presupposti che avevano determinato il riconoscimento dell’assegno divorzile nel corso di apposito giudizio non potevano essere di fatto rivalutati in un successivo giudizio di revisione. Sostenevano gli Ermellini che a tal proposito non poteva operarsi nel procedimento una diversa e nuova valutazione degli elementi in fatto e in diritto che ne avevano giustificato nel passato l’attribuzione alla donna né tantomeno rivalutarsi il ruolo endo-familiare che la stessa aveva avuto in costanza di matrimonio.
In quest’ottica l’ambito di cognizione e i poteri riconosciuti in capo al giudice di merito in sede di revisione dell’assegno divorzile dovevano basarsi esclusivamente sul se e in che misura le circostanze sopravvenute e provate dalle parti erano state tali da alterare gli equilibri sanciti dalla sentenza di divorzio e sulla verifica della permanenza del presupposto indefettibile della mancanza dei mezzi adeguati sempre in relazione al fatto sopravvenuto in capo alla richiedente.
Sarebbe stato altresì necessario sempre secondo quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione verificare l’esistenza di un nesso causale tra i fatti sopravvenuti e la nuova situazione economica verificatasi all’indomani della pronuncia divorzile.
Nel caso di specie, gli Ermellini dichiarando solo il primo motivo del ricorso ammissibile relativamente al requisito dei mezzi adeguati, ritenevano che la Corte d’Appello avesse meramente proceduto ad un dimezzamento dell’assegno divorzile escludendo sulla base della intervenuta convivenza more uxorio della donna la sola componente assistenziale, senza tuttavia verificare se unitamente al venir meno della componente assistenziale fosse anche venuto meno il presupposto cardine e imprescindibile consistente nell’adeguatezza dei mezzi della beneficiaria.
Nel giudizio di revisione poi sarebbe stato onere dell’obbligato dimostrare il positivo mutamento delle condizioni condizioni economiche in capo alla x moglie sulla base delle cui prove la Corte avrebbe dovuto valutare se e in che termini la sopravvenuta convivenza more uxorio avrebbe determinato una più ampia disponibilità di mezzi adeguati in capo alla richiedente l’assegno.
Poichè tali valutazioni non venivano compiute in maniera effettiva ed opportuna, essendosi la Corte d’Appello di Genova limitata all’effettuazione di un ragionamento matematico, gli Ermellini cassavano la sentenza con rinvio della causa al giudice di seconde cure in diversa composizione.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.