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Un fratello può accettare l’eredità anche per conto degli altri?

(A cura dell’Avv. Cecilia Gaudenzi)

L’accettazione dell’eredità non costituisce un atto personalissimo e può quindi essere validamente compiuta dal rappresentante, producendo effetti direttamente imputabili al rappresentato, ai sensi dell’art. 1388 c.c., a condizione che il potere sia stato espressamente conferito. Pertanto, se l’accettazione tacita — ad esempio attraverso la vendita di un bene facente parte del patrimonio ereditario — è stata realizzata dal rappresentante, qualsiasi successiva rinuncia risulta priva di efficacia, in base al principio “semel heres, semper heres”.

Questo è il principio affermato nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 15301/2025, pubblicata il 9 giugno 2025.

Il caso trae origine da una controversia insorta tra due fratelli in merito alla gestione di una procura generale rilasciata dal fratello alla sorella per curare gli affari successori comuni. Il giudizio prendeva avvio a seguito della richiesta da parte del fratello di restituzione di una somma, trattenuta secondo lo stesso ricorrente, indebitamente dalla sorella a seguito della vendita di un immobile caduto in successione a cui era susseguita la rinuncia all’eredità da parte dell’uomo. Stante la rinuncia formalizzata dal fratello il giorno successivo alla vendita dell’immobile la donna sosteneva di non dovergli riconoscere nulla, al contrario il fratello affermava che l’atto di compravendita rappresentava un’accettazione tacita dell’eredità rendendo inefficace la rinuncia dallo stesso effettuata il giorno dopo.

Il Tribunale di Palermo rigettava la domanda, ritenendo che il fratello avesse rinunciato all’eredità e che la procura non fosse idonea a integrare un’accettazione tacita della stessa in quanto non conteneva un apposito mandato sul punto. L’uomo ricorreva pertanto, avanti la Corte d’Appello di Palermo che tuttavia, dichiarava il ricorso inammissibile per violazione dell’art. 342 c.p.c., ossia della forma e del contenuto dell’atto di appello. Il fratello ricorreva quindi avanti la Corte di Cassazione che, cassando la sentenza di secondo grado, rinviata la causa nuovamente alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.

In sede di rinvio, la Corte d’appello respingeva nuovamente il ricorso presentato dall’uomo, confermando quanto già statuito dal giudice di primo grado.

Insoddisfatto della seconda pronuncia negativa di appello, il fratello proponeva nuovo ricorso avanti la Corte di Cassazione, articolato in quattro motivi.

Il fulcro della vicenda era rappresentato dalla questione dell’accettazione tacita dell’eredità da parte del fratello, realizzata — secondo il ricorrente — tramite la sorella, quale sua procuratrice generale. Il ricorrente fondava le proprie pretese sulla basa della vendita immobiliare avvenuta il 15 novembre 1978, eseguita dalla sorella in nome e per conto del fratello, riguardante un bene incluso nell’asse ereditario del padre. Il giorno seguente tuttavia, il fratello formalizzava la rinuncia all’eredità.

La Corte d’Appello riteneva che l’atto di disposizione compiuto dalla rappresentante non fosse sufficiente a configurare una volontà di accettazione, né potesse valere come revoca della rinuncia successivamente resa, anche in assenza di un riferimento esplicito all’eredità paterna nella procura.

La Suprema Corte accoglieva il secondo e il terzo motivo di ricorso, rilevando l’apparenza della motivazione e l’erronea applicazione delle norme in materia di rappresentanza e accettazione dell’eredità.

In particolare, la Cassazione censurava la motivazione di secondo grado per non aver esaminato in modo coerente la rilevanza dell’atto di vendita del 15 novembre 1978. La Corte d’Appello infatti, aveva escluso che tale atto potesse costituire revoca della rinuncia, ma, secondo la Suprema Corte, tale ragionamento era logicamente errato, poiché la revoca presuppone l’esistenza di un atto da revocare, e la rinuncia avveniva solo il giorno successivo la vendita dell’immobile. La questione, pertanto, non era se vi fosse stata una revoca, ma se l’atto di vendita costituisse già un’accettazione tacita dell’eredità, rendendo inefficace la rinuncia successiva. La motivazione, non cogliendo tale distinzione, veniva ritenuta meramente apparente, con conseguente nullità ex art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. e art. 111 Cost.

La Cassazione altresì, rilevava un errore giuridico nella sentenza impugnata che aveva escluso la possibilità di accettazione dell’eredità per mezzo di un rappresentante volontario. La procura rilasciata alla sorella conteneva espressamente il potere di accettare l’eredità, di conseguenza, l’atto di vendita di un bene ereditario, compiuto dalla rappresentante prima della rinuncia del rappresentato, costituiva una forma di accettazione tacita ai sensi dell’art. 477 c.c., con effetti che si producevano direttamente nella sfera del rappresentato, ai sensi dell’art. 1388 c.c.

La Corte richiamava poi, un principio consolidato in giurisprudenza secondo cui l’accettazione dell’eredità non è un atto strettamente personale e può essere effettuata da un rappresentante volontario, anche sulla base di una procura generale, purché questa contenga espressamente il potere di accettare. Inoltre, l’accettazione può avvenire in forma tacita, anche tramite atti dispositivi, come la vendita di beni ereditari, che esprimano inequivocabilmente la volontà di accettare, poiché implicano l’esercizio di diritti propri dell’erede.

Una volta accertata la validità dell’accettazione tacita, la Corte ribadiva poi, che l’accettazione, una volta effettuata, è irrevocabile. In applicazione del brocardo semel heres, semper heres, chi ha accettato, anche tacitamente, non può successivamente rinunciare all’eredità. Come già stabilito dalla giurisprudenza ormai granitica, la rinuncia effettuata il giorno successivo alla vendita non poteva quindi che dirsi inefficace, essendo stata preceduta da un atto che valeva a tutti gli effetti come accettazione tacita.

In conclusione, sulla base delle argomentazioni sopra esposte, la Corte di Cassazione accoglieva il secondo e il terzo motivo di ricorso, annullando la sentenza impugnata e disponendo il rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.

Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.