
La povertà dei genitori non giustifica la dichiarazione dello stato di adottabilità dei figli minori
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
Ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore è necessaria un’indagine accurata e, soprattutto, completa sulla reale sussistenza di abbandono morale e materiale da parte dei genitori biologici.
È quanto emerso dalla recente Ordinanza n. 6077/2025 della Suprema Corte di Cassazione pubblicata in data 6 marzo 2025.
Il caso di specie trae origine dalla pronuncia del Tribunale per i minorenni di Catania che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di due minori con divieto assoluto di visita e consegna ai genitori e ai parenti.
Il procedimento nasceva da una segnalazione dei servizi Sociali, risalente a diversi anni prima, i quali avevano rilevato che minori vivevano in stato di degrado, sporcizia e scarsa alimentazione, che il padre pur avendoli riconosciuti viveva con un altro nucleo familiare (composto dalla moglie e i figli) e non provvedeva al loro mantenimento e la madre non era in grado di accudirli e provvedere alle loro esigenze sotto il profilo educativo e psicologico.
Avverso il suddetto provvedimento i genitori dei minori proponevano appello, che veniva respinto dalla Corte d’Appello di Catania, ritenendo sussistente ed irreversibile lo stato di abbandono materiale e morale dei due minori.
I genitori dei minori, pertanto, proponevano ricorso per Cassazione.
I motivi del ricorso, in larga parte ripetitivi, sostenevano che le valutazioni dei giudici di primo e secondo grado si erano basate esclusivamente sull’indisponibilità economica della famiglia. Nessun supporto era stato offerto dai servizi sociali alla famiglia, anzi, il Servizio sociale si era reso colpevole di ingiustificati ritardi nel relazionare e le visite ai minori erano state consentite solo per poco tempo e in condizioni non congrue, limitandole a due ore da trascorrere in un parcheggio commerciale. Infine, la decisione era stata adottata senza ascoltare e senza valutare la possibilità di una adozione mite.
La Suprema Corte ritiene i motivi fondati nei seguenti termini.
Gli Ermellini evidenziano come la motivazione della Corte distrettuale sui motivi d’appello si era limitata ad alcune considerazioni generiche, confermando la validità dell’istruttoria condotta in primo grado, senza rilevarne gli evidenti limiti e la avvenuta palese violazione da parte del Tribunale minorile dell’art. 1 della legge n. 183/1984 e del diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia.
Dalla sentenza impugnata, infatti, emergeva che il Tribunale per i minorenni aveva allontanato i minori dalla famiglia d’origine essenzialmente per carenze di tipo materiale senza preoccuparsi di porvi rimedio e che, aveva inserito i minori in una famiglia affidataria, ove godevano di un evidente benessere che li aveva portati nel tempo a preferire questo ambiente domestico piuttosto che il loro ambiente di provenienza, senza adottare alcun intervento per migliorare la condizione dei genitori. Emergeva, altresì, che il Tribunale minorile aveva lasciato trascorrere del tempo senza vigilare adeguatamente sull’operato dei servizi sociali, che rendeva relazioni di mero monitoraggio passivo anche a distanza di anni, lasciando che si consolidasse il distacco dei minori dai genitori biologici.
Su questi punti critici, adeguatamente evidenziati dalla difesa dei genitori, la Corte d’appello non aveva dato alcuna risposta, dal momento che la motivazione del giudice di secondo grado si incentrava essenzialmente sui rilevati limiti personologici e caratteriali dei genitori, senza però tenere conto: a) che la dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto;
b) che a tal fine non sono sufficienti i rilevi sulle carenze culturali o caratteriali o intellettive dei genitori, né una semplice povertà del tenore di vita, né tanto meno il confronto con le migliori condizioni di vita che il minore potrebbe trovare in un’eventuale famiglia adottiva; c) che si doveva prioritariamente tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare; d) che la dichiarazione dello stato di abbandono morale e materiale richiede un accertamento in concreto e nell’attualità dei suoi presupposti, riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori;
Infine, non era stata per nulla valutata o sperimentata la possibilità di una adozione mite, a maggior ragione a fronte dei fatti sopravvenuti evidenziati dalle parti e del legame affettivo tra la madre e i figli di cui i servizi davano atto.
Nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è infatti necessario che l’indagine sulla condizione di abbandono morale e materiale sia completa e non trascuri alcun rilevante profilo inerente i diritti del minore, verificando, in particolare, se l’interesse di quest’ultimo a non recidere il legame con i genitori naturali debba prevalere o recedere rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali, che potrebbe essere integrato, almeno in via temporanea, da un regime di affidamento extrafamiliare potenzialmente reversibile o sostituibile da un’adozione “mite” ex art. 44, n. 184 del 1983.
Alla luce delle suddette motivazioni, pertanto, il ricorso è stato accolto, la sentenza cassata e rinviata alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.