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Relazioni intermittenti, altalenanti e stalking: il confine tra instabilità sentimentale e condotte persecutorie.

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione, con la sentenza n. 2128/2024 recentemente depositata, ha analizzato un caso particolare di stalking, realizzato da un uomo nei confronti della ex fidanzata, con la quale interrompeva e riprendeva la relazione. In altre parole, si veniva a creare una situazione relazionale di instabilità con varie separazioni e riconciliazioni.

All’uomo venivano contestate varie condotte nei confronti della ex, tra cui quella di averla minacciata, ingiuriata e oppressa ossessivamente, nel corso del loro rapporto, per gelosia, nonché per averla molestata e gravemente minacciata di morte, una volta che la donna lo aveva lasciato, con l’obiettivo di convincerla a tornare con lui.

In particolare, aveva realizzato appostamenti sul luogo di lavoro e dell’abitazione della vittima; le aveva inviato numerosi messaggi, lettere, fatto svariate telefonate; aveva agito violenza in più occasioni e aveva inoltrato ai familiari della donna foto intime della stessa.

L’uomo veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di mesi nove di reclusione e, avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso l’imputato. Ha sostenuto la violazione di legge e del diritto di difesa, riguardo all’inosservanza delle norme processuali sulla prova ed all’omessa valutazione dell’esame dell’imputato, nonché al rigetto della richiesta di confronto tra questi e la persona offesa.

Secondo il ricorrente vi sarebbe inconciliabilità tra il suo racconto e la versione dei fatti dell’ex fidanzata: tale discrepanza doveva essere superata con un confronto processuale tra loro ex art. 211 c.p.p. che, invece, era stato ingiustificatamente rigettato in appello.

Inoltre, sostiene la violazione di legge riferita alla configurabilità del reato di stalking dinanzi ad una petulante richiesta di recuperare il rapporto sentimentale avanzata dal ricorrente alla sua ex fidanzata; si sottolinea come il rapporto fosse caratterizzato da “alti e bassi” e che la vittima, nonostante le liti e le presunte condotte persecutorie, avesse deciso liberamente di tornare a convivere con l’imputato.

La Cassazione giudica i motivi inammissibili perché generici, privi di confronto con gli argomenti della sentenza impugnata e volti soltanto a prospettare una diversa valutazione dei fatti, che i giudici di merito, invece, hanno ricostruito coerentemente e in modo logico. Ed invero sono precluse alla Cassazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione della vicenda.

Inoltre, secondo la Cassazione nessun dubbio può sorgere sulla coerenza e credibilità della vittima, in particolare sulla genuinità e sincerità nel descrivere le conseguenze sulla sua vita dei comportamenti del ricorrente.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte precisa come si tratti di un tentativo di riscrivere la vicenda accertata dai giudici di merito, in modo più favorevole all’imputato.

Secondo la difesa del medesimo la condotta si iscrive in una dimensione di “conflittualità di coppia, con alterne fortune del rapporto e mera petulanza da parte dell’imputato, che pretendeva soltanto di continuare nella relazione sentimentale con la vittima, anche una volta che ella aveva deciso per la definitiva rottura”.

La sentenza d’appello ha adempiuto all’onere motivazionale in modo più che adeguato con riferimento alla sussistenza del reato di stalking.

Le prove acquisite portano a ritenere – al di là di ogni ragionevole dubbio – che l’imputato “abbia attuato una vera e propria campagna persecutoria nei confronti della vittima, mettendo in atto una serie di comportamenti progressivi, che, nella loro reiterazione, hanno dato luogo al reato abituale di evento “per accumulo” in cui il delitto ex art. 612-bis cod. pen. si risolve”.

Ed invero tale delitto si perfeziona al momento della realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa.

Inoltre, secondo gli Ermellini è fondamentale il richiamo da parte della Corte di Appello alla giurisprudenza secondo cui il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompe l’abitualità del reato di stalking, né inficia la continuità delle condotte, quando le stesse siano oggettivamente idonee a generare nella vittima un disagio che poi degenera in uno stato di prostrazione psicologica.

Nessun valore può attribuirsi alla circostanza che all’interno del periodo di vessazione, la persona offesa abbia vissuto “momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore”.

Sul punto la vittima ha riferito la sua speranza di ritrovare – mediante il temporaneo riavvicinamento – una serenità di rapporti, nonostante le vessazioni subite; tuttavia, proprio il riavvicinamento e la coabitazione avevano rappresentato l’occasione per il peggioramento dei rapporti con il compagno, che aveva ripreso le condotte moleste.

Pertanto, nessuna importanza assume il riavvicinamento tra due fidanzati se persistono le condotte persecutorie, parametro essenziale – unitamente all’evento – per valutare la sussistenza del reato.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.