Madre e figlio vittime di violenza domestica: perché allontanare il minore anche dalla madre?
(A cura dell’Avv. Alice Di Lallo)
Non è infrequente che, nei casi di violenza domestica, si arrivi ad un paradosso inaccettabile: alla donna che denuncia i maltrattamenti del partner vengono sottratti i figli. Insieme ai timori legati alla certezza della pena e all’esecuzione delle sentenze penali, questa è la paura principale delle madri vittime di violenza.
Tanti i temi affrontati dalla Procuratrice Generale della Corte di Cassazione nel caso in commento relativamente ad un procedimento in cui, a seguito delle dichiarazioni di un minore in merito alle violenze subite dal proprio padre e conseguente apertura di un fascicolo al Tribunale per i Minorenni per la limitazione della responsabilità genitoriale del padre stesso, il minore veniva allontanato anche dalla propria madre e collocato in comunità. Tutta la decisione del Tribunale per i Minorenni, impugnata dalla madre, si basa sull’assunto che il figlio minore fosse totalmente soggiogato dalla madre – e, pertanto, inattendibile nelle proprie dichiarazioni – che lo ha indotto a rifiutare il padre.
Degno di nota, quindi, il ricorso in commento che offre spunti interessanti sul diritto alla bigenitorialità, sulla c.d. alienazione genitoriale o parentale, sull’ascolto del minore, e da ultimo, quale filo conduttore di tutto il pensiero logico-giuridico, sullo strumento giuridicamente vincolante offerto dalla Convenzione di Istanbul, tornata alla ribalta proprio in questi giorni a causa dell’uscita della Turchia.
Ma perché limitare la responsabilità genitoriale anche della madre? Il Tribunale per i Minorenni, nel limitare la responsabilità anche materna e nel collocare il minore in comunità, non indica alcun fatto, circostanza o comportamento pregiudizievole della madre ma richiama concetti astratti e inesistenti quali “l’eccessivo invischiamento”, “il rapporto fusionale” rispetto ai quali – secondo la Procuratrice – è “impossibile difendersi non avendo essi base oggettiva o scientifica”.
Seguendo già un precedente della Corte di Cassazione ove veniva affermato che, quando un genitore denunci comportamenti di allontanamento morale e materiale del figlio da sé a causa dell’altro genitore, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità di tali comportamenti accertando altresì “le ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia” (Cass. 6919/2016), la Procuratrice denuncia l’omissione di tale accertamento, posto che i giudici di merito non hanno tenuto in debita considerazione le violenze che il minore aveva denunciato ai Carabinieri.
La decisione del Tribunale per i Minorenni viola il diritto del minore a mantenere la continuità affettiva e di cura con la madre oltre che a conservare il proprio ambiente domestico, non tanto il diritto alla bigenitorialità che, nel caso di violenze del padre ai danni del figlio, arretra a fronte del diritto fondamentale del bambino alla sua integrità fisica e sicurezza.
E ancora, la pronuncia impugnata viola la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con legge n. 77/2013, in particolare l’art. 31 che impone non solo di escludere l’affidamento condiviso ma anche qualunque contatto autore-vittima nel caso di violenza sulle donne, così come definita dalla Convenzione stessa.
Tanto il legislatore quanto i giudici nell’applicazione ed interpretazione della legge devono conformarsi alla Convenzione di Istanbul, normativa sovrannazionale ma di rango costituzionale: male hanno fatto i giudici civili, quindi, a ritenere separati gli aspetti civili di affidamento e collocamento del minore da quelli penali (due i procedimenti a carico del padre), omettendo totalmente di approfondire e accertare gli episodi di percosse riferiti dal figlio.
E, infine, la decisione impugnata viola il diritto del minore ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano, in conformità tanto della normativa interna quanto della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo: il giudice avrebbe dovuto compiutamente motivare la decisione di discostarsi dalla volontà espressa del minore. Invece, ritenendo il minore “alienato” e soggiogato dalla madre, lo ha ritenuto del tutto inattendibile nelle dichiarazioni rese al Giudice.
La Procuratrice conclude il proprio ricorso affermando che l’alienazione parentale o genitoriale non esiste: “solo condizionamenti accertabili su un piano scientifico a partire da comportamenti concreti posti in essere possono costituire la ragione per confinare nell’irrilevante giuridico la volontà chiaramente e consapevolmente espressa dal minore”.
E ora, la parola alla Cassazione!
Da sempre interessata alla tematica dei diritti umani e delle persone, dopo un’esperienza presso la Prefettura di Milano – Sportello Unico dell’Immigrazione, ha iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell’ottobre 2014, è diventata Avvocato, del Foro di Milano. Si occupa di diritto civile, in prevalenza di diritto di famiglia, italiano e transnazionale, delle persone e dei minori, e di diritto dell’immigrazione.
Dal 2011 collabora con la rivista giuridica on line Diritto&Giustizia, Editore Giuffrè, su cui pubblica note a sentenza in tema di diritto di famiglia e successioni e dal 2018 pubblica note a sentenza anche sul portale online ilfamiliarista.it, Editore Giuffrè.
È socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori). Svolge docenze nei corsi di formazione e approfondimento per ordini e associazioni professionali ed enti privati, partecipando anche a progetti scolastici su temi sociali e civili.