Il periodo di convivenza assume rilievo al fine della determinazione dell’assegno divorzile?
(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
La Cassazione, con l’ordinanza datata 18 ottobre 2022 n. 30671, ha chiesto l’intervento delle Sezioni Unite in merito alla possibilità di tener conto anche del periodo di convivenza prematrimoniale, cui sia seguito il matrimonio, nella determinazione dell’assegno divorzile.
La questione non è di poco conto poiché, ai sensi dell’art. 5 della Legge sul divorzio, l’assegno divorzile deve essere determinato non solo in base alle disponibilità patrimoniali ed economiche del soggetto obbligato, ma anche alla durata del matrimonio. Insieme all’età di chi ne ha diritto, la durata del matrimonio è uno degli indici di cui il Giudice deve tener conto per stabilire la misura dell’assegno da riconoscere all’ex coniuge privo di mezzi economici propri, e impossibilitato a procurarseli. Ne consegue che quanto più lunga è stata la durata del matrimonio, maggiore dovrà essere l’importo da riconoscere, soprattutto quando occorre compensare eventuali rinunce affrontate dall’ex coniuge per dedicarsi alla famiglia, sacrificando la propria realizzazione personale e la conseguente autonomia economica.
Ma cosa succede quando la coppia che scoppia era giunta alla decisione di convolare a nozze dopo una lunga convivenza, nel corso della quale era nati figli e uno dei due conviventi aveva sacrificato le proprie aspirazioni professionali per crescerli? Se la crisi matrimoniale giunge dopo pochi anni, è giusto che al coniuge debole sia riconosciuto un importo ridotto per il solo fatto che il matrimonio è stato di breve durata?
Il giudizio arrivato alle aule di Cassazione prendeva le mosse dal ricorso presentato da una donna – priva di occupazione lavorativa e madre di un ragazzo maggiorenne non autosufficiente – contro la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, che le aveva ridotto l’assegno divorzile riconosciutole dal Tribunale di Bologna.
La donna lamentava che i Giudici d’Appello – ai fini della determinazione dell’importo dell’assegno – avessero tenuto conto della durata relativamente breve del matrimonio (sette anni), escludendo dal computo il lungo periodo di convivenza more uxorio vissuto dalla coppia prima di legalizzare l’unione.
In effetti, come si legge nell’ordinanza, “il giudice del merito si è attenuto al dato letterale della prescrizione normativa (durata del matrimonio) senza dare rilievo alcuno al periodo antecedente al formale coniugio (…) caratterizzato da una stabilità affettiva oltre che dall’assunzione spontanea di reciproci obblighi di assistenza.”
Ma una tale interpretazione letterale della norma è legittimaancora oggi ?
Gli ultimi dati ISTAT pubblicati a febbraio 2022 parlano chiaro: dal periodo 1999-2000 al 2019-2020 le convivenze more uxorio sono quasi quadruplicate (da circa 380mila a poco meno di 1 milione 400mila), e le prime nozze sempre più rinviate. A causa dell’aumento della scolarizzazione e dell’allungamento dei tempi formativi, delle difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e della condizione di precarietà del lavoro stesso, nonché a causa della difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, nel 2020 in media gli uomini sono arrivati al primo matrimonio a 34 anni e le donne a 32.
Dati che fanno riflettere e che ben avrebbero potuto fare da guida anche ai Giudici della Corte d’Appello di Bologna chiamati a decidere da un marito che lamentava l’importo di un assegno a suo dire troppo elevato per soli sette anni di matrimonio. L’assegno divorzile riconosciuto dal Tribunale era in effetti stato ridotto.
Tuttavia, e fortunatamente, la donna non si è data per vinta, ha presentato ricorso in Cassazione e qui è stato finalmente compreso come sia questione “di massimaimportanza” (a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2). A occuparsene saranno, quindi, addirittura le Sezioni Unite.
Dopo aver affermato che la convivenza prematrimoniale è un “fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”, gli Ermellini arrivano a riconoscere “una certa sostanziale identità, dal punto di vista della dignità sociale, tra i due fenomeni di aggregazione affettiva, sotto alcuni punti di vista (non certo per tutti) che rende meno coerente il mantenimento di una distinzione fra la durata legale del matrimonio e quella della convivenza”.
Dopo tutto, continuano, “la stessa evoluzione giurisprudenziale si è fatta interprete di questo cambio di costume con la sentenza delle SU nr 32198/2021 che, sia pure nell’ottica limitata della conservazione dell’assegno divorzile, ha riconosciuto la componente compensativa dell’assegno (divorzile) in presenza dei relativi presupposti anche in favore di chi aveva proceduto a instaurare una convivenza di fatto”.
Ora quindi non ci resta che attendere la decisione del Primo Presidente della Corte di Cassazione con la speranza che le Sezioni Unite, investite della questione, siano lungimiranti e sappiano leggere la realtà in cui viviamo, facendo buon uso dei dati Istat!
È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).