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Conflitti con la suocera che abita nello stesso palazzo? Negata assegnazione della casa familiare alla madre collocataria della minore.

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)

Con la recente Ordinanza n.14460/2025 la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema dell’assegnazione della casa coniugale nei procedimenti di separazione.

Il caso di specie prende le mosse dalla sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva respinto il gravame proposto dalla madre di una minore avverso la Sentenza del Tribunale di Frosinone che nel pronunciare la separazione personale tra i coniugi aveva affidato in via condivisa la figlia minore collocandola presso la madre, regolato la frequentazione paterna, posto a carico del padre un contributo al mantenimento della figlia oltre al 50% delle spese straordinarie, disposto un contributo al mantenimento per la moglie e aveva rigettato la domanda di assegnazione della casa coniugale formulata dalla madre, in quanto la stessa aveva dichiarato di vivere dal 2018 a Frosinone a casa della propria madre (essendo stata allontanata a forza dalla casa coniugale dalla suocera con il consenso e la collaborazione del marito) e che l’assegnazione richiesta non rispondeva all’interesse della figlia che viveva altrove dal 2018 ed alla quale il ritorno nella casa coniugale avrebbe fatto rivivere quei contrasti che avevano indotto l’allontanamento, con conseguente pregiudizio per il benessere psico-fisico della minore.

La Corte d’appello aveva respinto il gravame osservando che secondo la giurisprudenza di legittimità l’attribuzione del godimento della casa familiare deve essere orientata prioritariamente all’interesse dei figli, da intendersi come esigenza di garantire la conservazione dell’habitat domestico quale centro degli affetti, delle relazioni e delle consuetudini. Tuttavia, la Corte aveva ritenuto tale principio non applicabile nel caso concreto, poiché nel caso di specie non si trattava di un allontanamento della sola madre, bensì anche della minore, che aveva lasciato insieme alla madre l’abitazione familiare in tenera età.

La decisione si fondava, dunque, sul rilievo che la casa familiare non costituiva più, per la minore, il centro della propria vita affettiva e relazionale: la bambina, nata nel 2013, viveva ininterrottamente dal marzo 2018 con la madre nella casa della nonna materna a Frosinone, frequentando lì la scuola materna e successivamente quella primaria, e sviluppando un radicato tessuto di relazioni sociali e familiari, ivi inclusa una significativa relazione affettiva con la nonna. Secondo la Corte, un eventuale ritorno nella casa coniugale, ormai estranea alla quotidianità della minore da oltre sei anni, avrebbe comportato uno sconvolgimento delle sue abitudini di vita e un possibile riemergere di conflitti legati all’ambiente da cui ella era stata allontanata.

Infine, la Corte aveva ritenuto ininfluente la doglianza dell’appellante secondo cui il tempo trascorso dall’allontanamento, determinato dalla durata del processo, non poteva pregiudicare l’interesse della figlia: tale argomento era stato ritenuto superato dal concreto radicamento della minore nel nuovo contesto abitativo.

Avverso la pronuncia la madre della minore proponeva ricorso per Cassazione.

La madre lamentava la violazione dell’art. 337-sexies c.c., sostenendo che l’assegnazione della casa coniugale doveva seguire la regola generale per cui doveva essere attribuita al genitore collocatario, al fine di garantire al minore la continuità dell’habitat domestico. Secondo la ricorrente, tale principio non sarebbe stato rispettato, dal momento che la figlia era stata collocata stabilmente presso di lei, mentre l’immobile era rimasto nella disponibilità del padre. A sostegno della propria tesi, richiamava giurisprudenza di legittimità consolidata, che riconosceva la casa familiare come centro degli affetti e delle abitudini del minore, da preservare quanto più possibile rispetto agli effetti della crisi coniugale.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il motivo infondato.

I giudici, pur confermando il principio giuridico generale richiamato dalla ricorrente – secondo cui la casa familiare dovrebbe essere assegnata al genitore collocatario, salvo che non emergano diverse soluzioni più aderenti all’interesse del minore – hanno evidenziato come, nel caso di specie, il giudice di merito avesse correttamente verificato che tale presupposto non sussisteva più.

Secondo gli Ermellini, il trasferimento della minore, avvenuto nel 2018, aveva dato luogo alla creazione di un nuovo contesto di vita stabile e strutturato, nel quale la bambina aveva frequentato la scuola, intessuto relazioni affettive e sociali, e sviluppato un forte legame con la nonna materna. L’immobile che la madre chiedeva di vedersi assegnato, dunque, non rappresentava più per la minore il centro della sua vita quotidiana. In questo senso, la Corte d’appello aveva rilevato che un eventuale ritorno nella casa familiare non solo avrebbe comportato un brusco mutamento delle abitudini di vita, ma avrebbe anche esposto la minore al rischio di rivivere il clima di tensione familiare che aveva provocato l’allontanamento, conflitto mai del tutto risolto, anche alla luce della presenza in quella casa della nonna paterna.

Non solo ma la ricorrente lamentava che il lungo tempo trascorso dall’allontanamento era dipeso dalla durata del processo e non poteva costituire un elemento decisivo ai fini della decisione. Sul punto la Corte ha ribadito che se è vero che il decorso del tempo non deve pregiudicare chi agisce in giudizio, è altrettanto vero che l’interesse del minore è per sua natura mutevole e deve essere valutato al momento della decisione, tenendo conto del contesto concreto in cui il minore si è sviluppato e radicato. In altri termini, anche se l’allontanamento originario non era stato voluto o programmato, e anche se il giudizio di separazione era stato introdotto poco dopo, ciò non toglie che nel frattempo la situazione fattuale si fosse evoluta in una direzione tale da rendere non più attuale l’interesse a far rientrare la madre e la figlia nella casa familiare originaria.

Alla luce delle suddette motivazioni il ricorso è stato rigettato.

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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.