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Collocamento paritario anche per il figlio di tre anni, se è nel suo interesse

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Il figlio di tre anni non deve essere collocato in via prevalente presso la madre sulla base dell’astratto criterio della maternal preference, dando per scontato che il padre non possa occuparsene tanto quanto lei. Questo il principio dell’ordinanza della Cassazione n. 1486 del 21/1/2025 che chiarisce come nei procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., aventi ad oggetto la miglior modalità di affidamento, collocamento e frequentazione dei figli, il giudice sia sempre chiamato ad adottare provvedimenti seguendo il criterio costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, che è quello di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

Per questo motivo, le statuizioni sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli devono rispondere ad una valutazione in concreto finalizzata al perseguimento di tale finalità, non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio in applicazione di valutazioni astratte non misurate con la specifica realtà familiare.

All’esito della prima udienza di comparizione dei genitori all’interno di un giudizio di separazione proposto cumulativamente alla domanda di scioglimento del matrimonio, il

Tribunale di Padova autorizzava i coniugi a vivere separati; l’affidamento condiviso della figlia di tre anni con collocamento paritario; assegnava la casa coniugale alla madre ma non prevedeva alcun contributo al mantenimento della bimba ma solo una maggiore partecipazione del padre alle spese straordinarie nella misura del 70%.

Vista la tenera età della bimba e alcune preoccupazioni avanzate dal padre, il Tribunale disponeva che il Servizi sociali competenti relazionassero sulle condizioni di vita e di salute della minore, sulle condotte di entrambi i genitori rispetto ai loro obblighi di cura e assistenza, chiedendo anche informazioni ai soggetti di riferimento (medico di base, pediatra, maestre d’asilo,…), nonché vigilassero sul corretto adempimento dei genitori al regime di frequentazione qui fissato.

Vero che la bimba aveva tre anni ma il padre si era trasferito ad abitare insieme alla propria madre e al fratello al piano di sotto rispetto all’appartamento adibito a casa familiare e la bambina era già svezzata. 

Per questi motivi il Tribunale prevedeva che la minore frequentasse in misura paritetica il padre e la madre su base settimanale, con spostamento dall’una casa all’altra alla domenica sera, prima di cena.

A fronte di tale decisione la madre – che riteneva che la bimba di tre anni fosse troppo piccola per vivere su due case – reclamava l’ordinanza e si vedeva accolte le sue richieste.

La Corte d’Appello di Venezia, infatti, in accoglimento del reclamo materno, prevedeva il collocamento prevalente della piccola dalla madre, riduceva notevolmente la frequentazione del padre e liquidava un contributo mensile al mantenimento della piccola di €300,00.

Secondo la Corte d’Appello di Venezia, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non poteva essere effettuata sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma doveva essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo. Se è vero che frequentazione paritetica dei genitori è la regola tendenziale da perseguire, salvo gravi ragioni ostative, occorre anche assicurare l’interesse del minore ad una crescita armoniosa e serena che nel caso di figlio minore in età prescolare o consimile, si sostanzia in una rilevanza della posizione materna, in quanto maggiormente rispondente agli interessi della prole in tenera età. 

Nel caso concreto, dunque, secondo i Giudici del reclamo, la tenera età della minore (poco più di tre anni compiuti nel novembre del 2023) avrebbe dovuto indurre il primo giudice, nell’interesse preminente della stessa e nella considerazione del particolare rapporto con la madre, oltre che nella considerazione del maggior tempo disponibile della medesima, a limitare il ricorso al principio del collocamento paritetico.

Ad opinione della Corte, la contiguità degli appartamenti e l’orario di lavoro non preclusivo del padre erano stati valutati dal Tribunale, ma il tutto non si attagliava al caso concreto, ove trattandosi di una minore di poco più di tre anni, in età prescolare, era richiesto un particolare e maggiore accudimento da parte della madre, il cui orario di lavoro era compatibile.

La Corte d’Appello di Venezia riformava, quindi, l’ordinanza, disponendo il collocamento prevalente della minore presso la madre e riduceva il diritto di visita del padre a due pomeriggi la settimana (martedì e giovedì) dall’uscita da scuola fino ad ore 20,30 (cena compresa), oltre ad un fine settimana alternato, da sabato mattina a domenica sera con il pernottamento compreso.

A fronte di un tale sostanziale cambiamento del collocamento della minore e del ridotto calendario di visita, il marito depositava ricorso straordinario per Cassazione contro i provvedimenti assunti in sede di reclamo assumendo che erano intervenuti in modo incisivo e invasivo sulla sua relazione con la figlia trasformandola in senso altamente peggiorativo. 

L’uomo adduceva quindi la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c., anche in combinato disposto con gli articoli 30 Cost., 24 Carta di Nizza, 9 della Convenzione di New York, 24 Carta dei diritti dell’Unione Europea e 8 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché con l’art. 115 c.p.c., oltre al difetto assoluto di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 2, n. 3), c.p.c.

La Corte d’Appello, infatti, per il solo fatto che si verteva di figlio minore in età prescolare o consimile, aveva considerato la rilevanza della posizione materna, in quanto maggiormente rispondente agli interessi della prole, in modo automatico (cd. maternal preference) valorizzando unicamente il sesso del genitore in ragione dell’età della bambina senza tenere conto delle problematiche materne per le quali il Tribunale aveva infatti previsto un monitoraggio dei Servizi Sociali.

Inoltre, l’uomo accusava i Giudici della Corte di non aver dedicato alcuno spazio al giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere e educare la bimba: con la limitatissima regolamentazione prevista, avevano deliberatamente escluso il valore del relazione padre – figlia, riducendo il padre a mera comparsa nella vita della figlia e non tenendo in minima considerazione che era stato lo stesso a rendersi disponibile ad accudirla direttamente.

La Cassazione dava ragione all’uomo: dopo aver confermato l’ ammissibilità del ricorso straordinario contro provvedimenti assunti in sede di reclamo su questioni inerenti il collocamento dei minori e la frequentazione dei genitori, cassava con rinvio la decisione di Venezia.

Secondo gli Ermellini, infatti, la Corte d’Appello aveva operato un giudizio in astratto, incentrato sulla sola età della minore, senza prestare attenzione alle modalità di relazione della bambina con i genitori e senza valutare in concreto le condizioni di vita familiare e la migliore soluzione da adottare, alla luce del criterio posto dall’art. 337-ter c.c., in relazione alle capacità e attitudini di entrambi i genitori nella cura e nell’educazione della minore.

La scelta sui tempi e modi di frequentazione tra padre e figlia era risultata del tutto sganciata da una valutazione in concreto della relazione della bambina con ciascuno dei genitori, in pregiudizio della conservazione del rapporto tra padre e figlia.

La determinazione dei tempi di presenza dei minori presso i genitori che non vivono più insieme connota, infatti, il modo concreto con cui la relazione tra genitore e figlio e, con essa, la responsabilità genitoriale può continuare ad esercitarsi, attribuendo al genitore uno spazio e un tempo nell’ambito del quale egli può continuare a svolgere la funzione parentale, con le connesse responsabilità, e assolvere così alle funzioni di cura, educazione ed istruzione, stabilite dalla legge. 

Si tratta, quindi, di un tempo più o meno esteso ma comunque qualificato, perché deve ricomprendere momenti di vita del minore in cui si possano effettivamente svolgere le funzioni genitoriali sotto ogni aspetto, segnatamente l’accudimento e l’educazione, condividendone la vita quotidiana e non solo il tempo della “visita” o dello svago ad essa eventualmente connesso (v. in motivazione Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9442 del 09/04/2024).

La suddivisione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore deve quindi essere frutto di una valutazione ponderata del giudice del merito, che partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo

benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, deve tener conto anche del suo diritto ad una significativa relazione con entrambi i genitori e il diritto di questi ultimi di esplicare, nella relazione con i figli, il proprio ruolo educativo (v. in motivazione Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9442 del 09/04/2024).

L’esigenza del minore di avere una stabile organizzazione di vita, di mantenere le sue abitudini e l’ambiente domestico che gli è consueto può comportare una suddivisione dei tempi non paritaria, ma lo spazio temporale della frequentazione con il genitore non convivente — salvo che quest’ultimo non sia totalmente inadeguato alla funzione — non può essere eccessivamente e ingiustificatamente compresso e privato del tutto di momenti significativi (i pasti comuni, i pernottamenti) poiché la relazione familiare ne potrebbe risultare compromessa ( Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9442 del 09/04/2024).

Ove non vi siano ragioni che nell’interesse del minore impongano una diversa soluzione, dunque, in conformità al disposto dell’art. 337- ter c.c., il compito del giudice è quello di provvedere in modo tale che venga “conservato” un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, avendo il minore diritto a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi.

La conservazione del rapporto tra genitore e figlio è descritto come un diritto prima di tutto del minore, che il giudice è chiamato a salvaguardare, ma è anche un diritto del genitore, che deve essere messo in condizioni di esercitare la propria responsabilità genitoriale.

Nell’adozione dei provvedimenti relativi alla prole, dunque il giudice è chiamato a scegliere, tra le diverse soluzioni astrattamente possibili, quelle che in concreto consentono di realizzare le finalità sopra indicate operando una valutazione ponderata della vicenda familiare.

Vero che i provvedimenti sui minori sono suscettibili di essere modificati nel corso del procedimento, in presenza di determinati presupposti, ovvero a definizione del grado di giudizio, all’esito della complessiva valutazione delle risultanze processuali, tuttavia, in relazione alla particolarità del rapporto in cui vengono ad incidere, rischiano di interferire in modo irreversibile sul rapporto tra genitore e figlio, fosse soltanto per il fatto che i bambini, con il passare del tempo, crescono e la condivisione di vita persa non è più recuperabile in alcun modo.

Nel caso giunto in Cassazione, il padre aveva visto sostituire ad una continuativa e ininterrotta permanenza della bambina presso di lui, giorno e notte, per una settimana intera, sia pure a settimane alterne, la previsione di due giorni di visita infrasettimanali, per poche ore e senza neppure il pernottamento, uniti ad un soggiorno a fine settimana alternati con la permanenza presso il padre per una sola notte.

È evidente che questo era un totale cambiamento del modo in cui veniva a strutturarsi il rapporto del padre con la figlia, passando da una totale condivisione del quotidiano, in ogni suo momento, giorno e notte, sia pure a settimane alterne, a visite e frequentazioni con cadenza predeterminate e tempi ristretti.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).