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ANCHE L’INFEDELTÀ TRA CONVIVENTI PUÒ PORTARE ALLA REVOCA DELLE DONAZIONI 

L’ordinanza n. 32682/2024 del 16 dicembre 2024 della Corte di Cassazione tratta l’interessante tema della revoca donazione per ingratitudine tra conviventi affermando che “può essere revocata la donazione della casa fatta al partner che accetta nonostante sia infedele. L’interruzione della convivenza a pochi giorni dal rogito è senz’altro rilevante e denota l’ingiuria della relazione extraconiugale”.

Preliminare rispetto all’analisi della decisione è l’inquadramento giuridico della questione. 

Ai sensi dell’art. 801 c.c., il legislatore ha infatti previsto la possibilità per il donante di proporre domanda di revocazione della donazione per ingratitudine quando il beneficiario della donazione si è reso responsabile di uno dei gravi fatti previsti dai numeri 1,2 e 3 dell’art. 463 c.c. (ndr si tratta di alcune di alcune delle ipotesi che rendono il soggetto anche indegno a succedere), ovvero si è reso colpevole di ingiuria verso il donante, ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al di lui patrimonio oppure ha indebitamente rifiutato di versare gli alimenti al donante nei casi in cui ciò era previsto per legge. 

Nel caso di specie, i giudici dei tre gradi di giudizio si sono trovati a dover valutare se le modalità con cui la beneficiaria della donazione aveva accettato la donazione – nonostante da tempo avesse instaurato una relazione con un altro uomo, avesse già deciso di interrompere la relazione con il donante e avesse già in animo di rivedere l’immobile contattando il Notaio poco prima dell’atto di donazione – e dopo solo due giorni dalla donazione aveva chiesto al compagno di lasciare l’immobile appalesando la propria infedeltà rispetto al convivente-donante,  configurino o meno ingiuria grave. 

Il ricorrente deduceva in atti che, dopo otto anni di relazione sentimentale al fine di rassicurare la propria donna  della serietà dei sentimenti ed intenzioni future, le aveva donato l’appartamento nel quale da anni convivevano. Tuttavia, pochi giorni dopo la donazione, l’uomo aveva scoperto che la compagna aveva da tempo una relazione sentimentale con un altro uomo e dopo un acceso confronto era stato invitato a lasciare la casa donata senza neppur poter portare via i propri beni e mobili presenti nella casa. 

Il ricorrente spiegava, inoltre, che dopo il di lui allontanamento, la nuova relazione della signora non solo era divenuta di dominio pubblico, ma soprattutto era iniziata la loro convivenza all’interno dell’immobile donato. 

In primo grado la richiesta dell’uomo di revocazione della donazione non veniva accolta: il Tribunale di Imperia rigettava il ricorso e lo condannava alle spese costringendolo quindi a ricorrere alla Corte d’Appello che invece accoglieva l’istanza di revocazione della donazione per ingratitudine avanzata dall’uomo e revocava la donazione immobiliare affermando che anche l’arredo dell’appartamento doveva essere restituito. 

La donna proponeva dunque ricorso per Cassazione denunciando la falsa applicazione dell’art. 1 comma 36 Legge Cirinnà ai sensi del quale i conviventi, per essere qualificati tali dal punto di vista giuridico, devono essere entrambi liberi da precedenti vincoli matrimoniali. Tale circostanza non si verificata nel caso di specie poiché l’uomo era solo separato dalla propria moglie. Secondo la ricostruzione della donna l’assenza di una valida convivenza non consentiva di attribuire il valore di ingiuria grave alla nuova relazione della stessa. 

Tale motivo di impugnazione veniva ritenuto privo di fondamento per le seguenti ragioni. 

La relazione sentimentale tra le parti cessava, pochi giorni dopo la donazione, nel mese di marzo 2016 e per questo la Corte di Cassazione confermava l’inapplicabilità della Legge Cirinnà, al tempo non in vigore, con la conseguenza che la valutazione della relazione paraconiugale tra le parti doveva prescindere dai requisiti successivamente richiesti dalla L. 76/2016 e guardare, invece, alla sola situazione di fatto delineatasi nel corso dellapluriennale relazione sentimentale.

Rispetto a questo gli Ermellini evidenziavano che la Corte di Appello di Genova aveva accertato e motivato in modo logico e coerente che anche la convivenza, seppur non corredata dai doveri tipici del vincolo matrimoniale, pone obblighi morali e sociali, la cui violazione, se intervenuta con modalità tali da ledere gravemente la dignità del convivente, può configurare l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 cc per la revoca della donazione per ingratitudine. 

Mutuando i principi espressi dalla Corte di Cassazione in una precedente decisione in ambito matrimoniale, la Corte di Appello genovese precisava che, pur in assenza di vincolo coniugale e del relativo dovere di fedeltà, la liceità della scelta della donna di intraprendere una nuova relazione non esimeva dalla necessità di valutare i comportamenti agiti poco prima e poco dopo la donazione. 

La Corte territoriale prima e la Corte di Cassazione poi affermavano infatti che, nel caso di specie, la grave ingiuria ai danni del donante scaturiva non dalla nuova relazione in sé, bensì dalle modalità irriguardose con cui questa era stata manifestata. 

La nuova relazione, infatti, seppur anteriore alla donazione, era stata taciuta nonostante la consapevolezza da parte della beneficiaria che il motivo della donazione era quello di rassicurarla circa la solidità del rapporto affettivo tra i conviventi. Il comportamento della donna veniva, inoltre, aggravato dalla decisione della stessa di chiudere il rapporto con il donante e dall’invito a questi di lasciare l’abitazione solo qualche giorno dopo la donazione. A ciò si aggiungeva anche che la beneficiaria, a distanza di poco più di un mese, rendeva manifesta la nuova relazione, coabitando con il nuovo compagno proprio in quella casa che, nell’idea del donante doveva essere adibita a casa familiare e luogo ove coltivare un progetto di vita comune. 

La circostanza che la casa fosse stata ab origine acquistata per ospitare un progetto di vita condiviso faceva poi si che la presenza nell’appartamento del nuovo compagno della dopo appena un mese dall’interruzione della relazione, costituisse un’offesa al decoro del donante.

Se, come sembrava sostenere la convenuta, la relazione non era consolidata e seria, allora non si giustificherebbe la pretesa di configurare la donazione quale atto di assolvimento di un dovere morale, e ciò anche alla luce del mutato costume sociale che non consente di ritenere che a seguito di una consapevole relazione intrapresa da una donna adulta debba ravvisarsi a carico del compagno un dovere di riconoscenza.

Ma anche in relazione all’arredo la signora perdeva! Sul punto la Corte di Cassazione, oltre a precisare che la ricorrente chiedeva un’inammissibile rivalutazione nel merito delle statuizioni della Corte di Appello, evidenziava anche che la sola destinazione degli arredi all’abitazione non era da considerarsi come una donazione a favore della convivente. 

Per tali ragioni dunque, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso della donna, la condannava alla rifusione delle spese e confermava la decisione della Corte di Appello di Genova di revocazione della donazione per ingratitudine. 

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