A SEGUITO DI PRONUNCIA GIUDIZIALE DI PATERNITA’ E’ IL GIUDICE CHE DECIDE IL COGNOME DA ATTRIBUIRE AL MINORE
(A cura dell’Avv. Cecilia Gaudenzi)
A seguito della dichiarazione giudiziale di paternità il giudice deve valutare il cognome da attribuire al minore e, se non lesivo del di lui supremo interesse, può disporre l’annotazione del doppio cognome, comprensivo pertanto sia di quello paterno che di quello materno.
Questo il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza n. 1492/2025 pubblicata in data 21 gennaio 2025.
Il caso oggi in esame trae origine nel 2021 quando una piccola veniva riconosciuta alla nascita dalla sola madre. Il padre della minore, a fronte del rifiuto materno al di lui riconoscimento, dopo qualche mese dalla notizia della nascita della figlia depositava ricorso ex art. 250, quarto comma cc, ed evidenziando l’interesse della bambina ad essere riconosciuta anche da lui, chiedeva che venisse emessa sentenza di dichiarazione di paternità e chiedeva l’attribuzione del proprio cognome in sostituzione di quello materno. Costituendosi nel procedimento, la signora invece, si opponeva al riconoscimento e in merito all’attribuzione del cognome paterno, ne chiedeva solo l’aggiunta al proprio.
Letto il ricorso, il Tribunale di Castrovillari, accoglieva le domande del padre e con sentenza, non definitiva, disponeva l’annotazione della paternità sull’atto di nascita della bambina e che quest’ultima acquistasse il cognome paterno sostituendolo a quello materno.
Preso atto della sentenza di cui sopra, la madre proponeva immediatamente appello chiedendo, in parziale riforma del provvedimento di primo grado, che alla minore venisse attribuito anche il cognome materno. La Corte d’Appello di Catanzaro, accoglieva il gravame materno e, riformando parzialmente la decisione di primo grado, attribuiva alla minore il doppio cognome, aggiungendo quello della madre a seguito di quello paterno.
L’uomo però, letta la decisione di secondo grado, proponeva ricorso in Cassazione lamentando l’inammissibilità del ricorso in appello della signora, in quanto la stessa aveva formulato una domanda diversa rispetto a quella avanzata in primo grado. La Corte d’Appello infatti, nonostante avesse rilevato la difformità delle due domande materne, aveva comunque ritenuto l’appello della donna ammissibile.
Gli Ermellini, preso contezza del contenuto del ricorso dell’uomo, ne dichiaravano l’infondatezza e affermavano che la questione non avrebbe potuto essere risolta nel senso preteso dal ricorrente.
Secondo infatti, i giudici della Corte di Cassazione la decisione di secondo grado era conforme al diritto e che al caso in esame andasse applicato l’articolo 262 cc il quale deve essere interpretato nel senso che a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Tale interpretazione della disposizione prospetta quindi, come mera eventualità l’assunzione del cognome paterno in caso di dichiarazione giudiziale di paternità, demandando al giudice la decisione relativa all’assunzione del cognome del genitore, trattandosi di un potere la cui attribuzione trova la sua giustificazione nel difetto d capacità del minore.
In riferimento poi, al motivo di gravame sollevato dall’uomo, gli Ermellini ne dichiaravano l’infondatezza in quanto, una volta proposta in via giudiziale una fattispecie rientrante nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 262 cc e pertanto riferita al cognome da attribuire ad un minore, rientrano in questo ambito tutte le questioni attinenti all’individuazione del/dei cognomi e la decisione è interamente rimessa al giudice, senza che la specifica formulazione della domanda proposta possa ostacolare una statuizione anche diversa rispetto alla domanda, sempre che questa sia nell’interesse del minore e sempre che sia congruamente motivata.
La questione relativa alla novità della domanda formulata dalla donna in appello, rispetto a quanto richiesto in primo grado, pertanto, è infondata, avendo la madre svolto domande relative all’attribuzione del cognome alla minore sin dal primo momento.
Sulla scorta di tali principi pertanto, la Corte d’Appello ha nel concreto espressamente valutato l’interesse della minore al doppio cognome e ne ha motivato in maniera puntuale e argomentata le ragioni, anche con riferimento all’ordine da attribuire ai due cognomi.
Tenuto pertanto, conto che la decisione di secondo grado aveva fatto corretta applicazione delle norme, come interpretate anche dalla Corte di Cassazione, gli Ermellini rigettavano il ricorso e condannavano il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.
Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.