La finta separazione è reato? Cosa rischiano i coniugi?
(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella e della Dott.ssa Camilla Rigoni)
In questo periodo di incertezza e crisi economica causata dalla pandemia e dalla chiusura forzata di molte attività, sempre più coppie ricorrono alla “separazione simulata”, vale a dire ad accordi di separazione fittizi ove il vero interesse non è porre fine all’unione coniugale, bensì ottenere dei vantaggi economici e fiscali.
Attraverso gli accordi di separazione consensuale, infatti, si possono effettuare degli atti traslativi di diritti su beni mobili ed immobili, o crediti, a condizioni fiscali particolarmente favorevoli.
Attraverso quella che tecnicamente si chiama “separazione simulata”, si possono infatti realizzare trasferimenti immobiliari, esenti peraltro da imposizione fiscale, non solo per estrometterli dall’eredità e dalla relativa tassazione, ma soprattutto per sottrarre i beni alla garanzia dei creditori (banche, fornitori, erario).
Ma queste separazioni raggiungono veramente il risultato per cui vengono progettate? Vale a dire…i trasferimenti di beni effettuati in esecuzioni di tali accordi sono veramente efficaci anche nei confronti dei creditori? Non sempre.
A tali trasferimenti, infatti, si applica la disciplina prevista per la simulazione contrattuale (artt. 1414 ss. c.c.), che prevede espressamente la possibilità per i terzi pregiudicati dall’atto di rendere inefficace il trasferimento suddetto. Infatti la Suprema Corte (Cass. civ. 26-07-2005 n. 15603) ha specificato che sono soggetti ad azione revocatoria anche “gli atti con un profondo valore etico e morale”: pensiamo al caso del coniuge, sommerso dai debiti, che decida di trasferire all’altro coniuge, attraverso l’accordo di separazione, la proprietà di un bene quale adempimento dell’obbligo di mantenimento nei confronti dei figli.
A seconda, però, che tali atti dispositivi del patrimonio siano da intendersi come atti a titolo gratuito ovvero oneroso, cambia lo scenario giudiziale poiché se sono da considerarsi “onerosi” l’onere della prova a carico del creditore è più gravoso: questi dovrà provare che il coniuge debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto gli arrecava ovvero che l’atto di disposizione fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento ed inoltre che il terzo fosse consapevole del pregiudizio ovvero fosse partecipe alla dolosa preordinazione (art. 2901 c.c.)
Se l’atto di trasferimento è riconducibile ai pregressi rapporti patrimoniali tra i coniugi, da sistemare al momento della separazione, allora sicuramente rientriamo nell’alveo dell’onerosità; infatti la Corte di Cassazione ha ritenuto che i negozi traslativi in seno alla separazione non siano qualificabili né come donazione né come vendita, poiché trovano la loro causa tipica nell’esigenza di riequilibrare la situazione patrimoniale delle parti ristorando una delle due per il contributo dalla stessa apportato durante il matrimonio e non adeguatamente riconosciuto se non al momento della separazione.
Diverso invece il caso del marito che si spoglia completamente di tutto il suo patrimonio trasferendolo alla moglie, rendendosi nulla tenente, con il solo scopo di pregiudicare i creditori. Con sentenza n. 17908 del 4 luglio 2019, la Cassazione ha infatti ritenuto non sussistente una situazione di fatto atta a giustificare la qualificazione di tale trasferimento quale atto a titolo oneroso poiché nel caso di specie non vi era un intento riequilibratore, anzi dai fatti provati in causa emergeva la volontà di pregiudicare i creditori, tanto che la Suprema Corte ha ritenuto che il trasferimento fosse qualificabile come “atto a titolo gratuito” perché mancante di quella causa tipica di “sistemazione” dei rapporti patrimoniali tra le parti con funzione equilibratrice: in questo caso, infatti, i trasferimenti in favore della moglie avevano realizzato un vero e proprio squilibrio.
La Cassazione ha dunque ritenuto in tale circostanza ammissibile la revocatoria esercitata dai creditori, diversamente da un caso di poco precedente (sent. 10443 del 15 aprile 2019) in cui riconoscendo la natura onerosa del trasferimento, ha escluso l’esperibilità dell’azione revocatoria poiché era stata provata la volontà dei coniugi di dare, mediante i trasferimenti, un equilibrio all’assetto patrimoniale; inoltre, la crisi coniugale aveva preceduto la situazione di debito del marito, della quale la moglie era ignara, come era emerso dall’istruttoria (mancava dunque il requisito n. 2 di cui all’art. 2901 c.c.).
Ma la “separazione simulata” può anche integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, se i trasferimenti di patrimonio sono realizzati al fine di eludere la normativa tributaria. La Suprema Corte afferma che “per atto fraudolento deve intendersi qualsiasi atto che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario”. La Corte precisa inoltre che “nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Sez. III n. 19595 del 9/02/2011)”. Dunque quando uno dei coniugi si sottrae fraudolentemente al pagamento ponendo in essere una separazione simulata al fine di occultare i propri beni, impedisce in questo modo all’Erario di recuperare le somme dovute. Insomma, se l’accordo di separazione, nel quale si prevedono trasferimenti patrimoniali, ha natura fraudolenta, ci troviamo di fronte a un vero e proprio reato, giacchè “è proprio l’evidente dissociazione tra la realtà documentata dall’atto (l’inesistenza della comunione di vita materiale e spirituale che è causa dell’accordo di separazione), opponibile ai terzi, e quella effettiva (l’esistenza di tale comunione), che può integrare gli estremi della fraudolenza richiesta dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, ai fini della sussistenza del reato”.
Il Fisco avrà allora la possibilità di agire in giudizio attraverso la cosiddetta azione simulatoria, per poi procedere all’esecuzione sui beni trasferiti fittiziamente, chiedendo il pignoramento degli stessi.
Insomma.. dice un antico detto popolare..” il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” !
È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).