L’assegno di divorzio non costituisce una rendita a tempo indeterminato.
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
“L’assegno di divorzio non costituisce una rendita a tempo indeterminato indifferente al sopravvenire di nuove circostanze, né autorizza l’avente diritto a tenere un atteggiamento passivo confidando sulla possibilità di gravare, vita natural durante, sul soggetto obbligato. Il beneficiario dell’assegno divorzile deve attivarsi per rendersi economicamente indipendente.”
Questo il principio espresso dall’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 25523, pubblicata in data 17 settembre 2025.
Il caso di specie prende le mosse dalla decisione del Tribunale di Ancona nell’ambito di un procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, all’esito del quale veniva revocato l’assegno divorzile di €48.000,00 annui originariamente concordato. Tale decisione veniva poi parzialmente riformata dalla Corte d’Appello che riduceva l’assegno divorzile originario ma escludeva che fosse stata data prova di una convivenza stabile della ex moglie e riteneva irrilevante l’offerta di lavoro e di una polizza assicurativa proveniente da una società collegata all’ex marito.
Avverso la suddetta pronuncia l’ex marito proponeva ricorso per Cassazione, che veniva accolto nella parte in cui la Corte d’Appello non aveva ammesso la prova testimoniale e aveva trascurato di vagliare l’offerta di lavoro.
Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Ancona, sul rilievo della congruità dell’offerta di lavoro corredata da una polizza assicurativa a fini pensionistici, revocava l’assegno divorzile, e respingeva altresì la domanda di restituzione delle somme pagate dall’ex marito nelle more del giudizio.
Avverso il suddetto provvedimento la ex moglie ricorreva nuovamente in Cassazione con cinque motivi, cui l’ex marito replicava con controricorso e ricorso incidentale. Il Procuratore generale chiedeva il rigetto di entrambi.
La Corte affronta quindi i motivi della decisione partendo dal ricorso principale.
Con il primo motivo veniva contesta la valutazione di “congrua” dell’offerta di lavoro, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe eluso i dettami della Cassazione non tenendo conto dei profili indicati. La ex moglie sosteneva che l’offerta non fosse mai stata “seria”, né “stabile”, né “confacente”, e che non avrebbe garantito autosufficienza economica.
Con il secondo motivo veniva lamentato che la Corte non aveva approfondito gli elementi probatori in ordine all’inesistenza della convivenza di fatto.
Con il terzo motivo veniva lamentato che la Corte avrebbe dovuto valutare la reale utilità della polizza, paragonare correttamente i valori reddituali e considerare la portata compensativa dell’assegno.
Con il quarto motivo veniva lamentato un giudizio di “parità” tra redditi non supportato da ragioni giuridiche.
Con il quinto motivo veniva lamentato il rigetto delle ulteriori domande senza motivazione.
La Corte esamina congiuntamente il primo, terzo e quarto motivo dichiarandoli infondati.
Viene sottolineato che il Giudice non è tenuto a esaminare tutte le argomentazioni difensive, purché sia comprensibile il ragionamento. È richiamato il principio secondo cui la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice e che l’attribuzione di maggior forza di convincimento a una prova rispetto ad un’altra rientra nell’art. 116 c.p.c. La Corte evidenzia come la Corte d’Appello abbia operato valutazioni di merito sulla “serietà” e “congruità” dell’offerta, rilevando che il reddito annuo era pressoché pari a quello assicurato dall’assegno e che vi era una polizza assicurativa a fini pensionistici, elementi idonei a garantire stabilità economica.
L’Ordinanza ribadisce il presupposto dell’assegno divorzile: l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e l’impossibilità di procurarseli.
Richiamando la giurisprudenza, viene chiarito che l’assegno non è una rendita indifferente al sopravvenire di nuove circostanze e che il principio di autoresponsabilità impone al beneficiario di attivarsi, accettando una proposta di lavoro seria e adeguata anche se inferiore all’assegno. In questo contesto, la Corte osserva che la ricorrente avrebbe dovuto accettare l’offerta.
Nel prosieguo, la Suprema Corte rileva che la Corte d’Appello, pur non richiamando espressamente la componente compensativa, ha ritenuto che l’offerta intervenuta dopo anni di percezione dell’assegno fosse sufficiente a far venir meno la debenza. Viene richiamato il principio secondo cui la componente compensativa presuppone comunque l’insussistenza di mezzi adeguati. Accertata la congruità dell’offerta, la Corte territoriale ha dunque ritenuto che l’ex moglie non fosse più priva di mezzi adeguati.
La censura sulla mancata valutazione della congruità rispetto alla formazione professionale è respinta, mettendo in luce che la Corte d’Appello ha riconosciuto che si trattava di un’offerta “rara” e benevola, resa possibile dall’influenza dell’ex marito, e presumibilmente più vantaggiosa di ciò cui la formazione della ricorrente avrebbe consentito di aspirare. Viene sottolineato che la ricorrente non ha indicato concreti profili di incompatibilità con le mansioni, richiamando solo un generico riferimento allo stress fisico ed emotivo. La Corte ribadisce che l’ex marito aveva interesse a garantirle indipendenza economica.
Gli Ermellini valorizzano, altresì, il principio di lealtà e correttezza nei rapporti tra ex coniugi, affermando che la ex moglie avrebbe dovuto adoperarsi per mantenere il posto di lavoro.
La Suprema Corte dichiara inammissibile il secondo motivo, perché la questione della convivenza resta assorbita dal rifiuto dell’offerta congrua. Il quinto motivo è dichiarato inammissibile perché generico e precluso dal giudicato formatosi.
Quanto alla doglianza dell’ex marito, la Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse correttamente negato la corresponsione di quanto pagato sino al momento della pubblicazione del decreto, trattandosi di revoca dell’assegno divorzile con effetto ex nunc, e cioè dal momento della decisione.
A fronte delle suddette motivazioni entrambi i ricorsi sono stati rigettati e le spese compensate.
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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.









