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Le convivenze - diffuso fenomeno sociale - sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell`altro.
Tali doveri possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso.
Tali atti di contribuzione hanno natura di adempimento di un`obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., sempre che le dazioni in denaro abbiano i requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza.

Questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 28 del 3.1.2025.

In particolare, un fratello unilaterale conveniva in giudizio il fratello maggiore (figlio dello stesso padre ma di madre diversa), chiedendo il rimborso delle spese sostenute dalla propria madre per il mantenimento del loro comune padre, dopo la fine della convivenza tra i genitori. Secondo l’attore, la propria madre aveva contribuito economicamente al sostentamento e alle necessità di assistenza del padre, consentendogli anche l’uso della propria casa di campagna.
L`attore chiedeva inoltre che fosse accertato l’obbligo di entrambi i figli di contribuire al mantenimento del genitore per il periodo successivo alla morte della donna.

Il Tribunale di Milano riconosceva l’obbligo del fratello maggiore di contribuire al 50% alle spese di ricovero del padre respingeva la domanda di rimborso delle somme spese dalla madre.

La donna aveva agito adempiendo a un obbligo morale nei confronti dell’ex convivente, senza possibilità di configurare un diritto alla restituzione.

Le Unioni di fatto, riconosciute dall’art. 2 della Costituzione, costituiscono una forma di famiglia tutelata, caratterizzata da doveri morali e sociali tra i conviventi che permangono anche dopo la fine del rapporto.

Pertanto, secondo la Corte, i contributi economici prestati dalla donna non erano ripetibili perché adempimento di un obbligo morale e sociale.
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Anche se interviene la separazione, lui non può chiedere il rimborso delle spese sostenute per i bisogni della famiglia durante la convivenza matrimoniale a meno che non ci fosse un accordo ben preciso su come dividere le varie spese e lei - ad un certo punto - sia venuta meno a tale accordo!

Con l’ordinanza n. 29880 del 20.11.2025 la Corte di Cassazione ribadisce che non è legittimo richiedere all’altro coniuge il rimborso di metà di quanto speso negli anni per la famiglia solo perché la famiglia è venuta meno!

Nel caso oggi in commento un marito accusava la moglie di non aver contribuito in costanza di matrimonio alle spese del nucleo composto da tre figli, e le chiedeva la restituzione di €80.000,00.

In realtà la moglie aveva sempre lavorato e aveva versato il suo stipendio sul conto cointestato con il marito dal quale venivano affrontate tutte le spese.

Appurato quanto sopra, sia il Tribunale sia la Corte d’Appello di Palermo sia la Cassazione respingevano la domanda dell’uomo ribadendo che:

- in costanza di matrimonio, operano tra i coniugi una serie di obblighi reciproci e nei confronti dei figli, tra cui il dovere di contribuire ai bisogni materiali e spirituali del nucleo con i mezzi derivanti dalle capacità e dalle sostanze di ognuno di essi;
- i coniugi contribuiscono ai bisogni della famiglia non solo con i redditi rispettivi dei coniugi "ma anche di ogni altra risorsa economica e personale dei due obbligati e delle rispettive capacità lavorative professionali o domestico-casalinghe";
-se si afferma di contribuire in via esclusiva al mantenimento della famiglia, occorre dare prova del fatto che l’altro non ha mai contribuito al ménage familiare, non solo in riferimento all`impiego di denaro proprio, ma anche attraverso la propria attività domestica e di cura dei familiari conviventi.
- non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell`altro per le spese sostenute in modo indifferenziato, salvo diverso accordo contrattuale tra le stesse.

L’uomo dovrà farsene una ragione! Nessun diritto al rimborso

Avv Maria Grazia Di Nella
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👉Con una delle prime sentenze pubblicate nel 2025 la n. 35 la Corte di Cassazione conferma il diritto al mantenimento del figlio 24enne che turbato dai maltrattamenti del padre ai danni della madre, aveva sviluppato depressione, disturbo post traumatico da stress e insonnia reattiva e per tale motivo non riusciva trovare un lavoro.
👉In sede di separazione il Tribunale di Sassari aveva riconosciuto al figlio appena 19enne un mantenimento da parte del padre pari ad €250,00.
👉Decorsi i termini, la madre chiedeva il divorzio e conferma del contributo al mantenimento da parte del padre nei confronti del figlio e dell’assegnazione della casa familiare, evidenziando come lo stato di salute del ragazzo non fosse nel frattempo mutato.
👉Il Tribunale di Sassari revocava il mantenimento al ragazzo 21enne ma la Corte d’Appello di Cagliari lo riconfermava sempre nell’importo mensile di €250,00.
👉 Il padre convinto della mancanza dei presupporti per il mantenimento, proponeva ricorso per Cassazione accusando la Corte di non aver valutato l’effettivo carattere invalidante delle patologie e di non aver considerato l’atteggiamento di inerzia nel reperimento di un’attività lavorativa.
👉Ma la Cassazione rigettava il ricorso: la Corte d’Appello di Cagliari analizzando dettagliatamente le condizioni individuali e involontarie di salute del figlio, era correttamente giunta alla conclusione che l’incapacità dell’ultramaggiorenne di reperire un’attività lavorativa era dettata dal di lui stato di infermità conseguenza diretta delle condotte maltrattanti che il padre aveva posto in essere negli anni ai danni della madre e che avevano di fatto turbato il figlio.
👉Per l’approfondimento a cura dell’Avv. Angela Brancati link in bio.
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Morto il proprietario di casa, la convivente ha diritto a restare nell’immobile in cui abitava insieme al de cuius per un periodo da due a cinque anni a seconda della durata della partire dal decesso, grazie alla legge Cirinnà.

E ciò benché sia l’uno sia l’altra all’epoca della convivenza fossero solo separati e non ancora divorziati dai rispettivi coniugi e quindi benché la coppia di fatto non sia registrata in Comune visto la mancanza della libertà di stato dei due conviventi.

Questo quanto chiarito dalla Corte d’Appello di Bologna che con la sentenza pubblicata il 16 dicembre 2024 ha specificato come sia Vero che la legge Cirrinà preveda il venire meno del diritto di restare ad abitare nella casa di comune residenza con il partner «in caso di matrimonio» ma tale norma deve essere interpretata nel senso che soltanto un nuovo matrimonio, così come una nuova unione civile o convivenza di fatto, risultano motivi per il venire meno del diritto a resta nella casa familiare.

Questo perché intraprendere consapevolmente un nuovo progetto di vita, è incompatibile con l’esigenza di tutela connessa al precedente rapporto sentimentale.

Al contrario, il vincolo matrimoniale ancora in essere durante la convivenza non è rilevante e il convivente superstite ha diritto a restare nella casa per un periodo minimo di due anni e massimo di cinque.

Il figlio e la sorella di un uomo morto 2016 dovranno risarcire la convivente da oltre vent’anni che con arroganza avevano buttato fuori casa a seguito dell’evento funesto.
#convivenze #successione #law
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➡️ Il genitore non è legittimato attivamente a richiedere il mantenimento del figlio maggiorenne se questi vive ormai stabilmente all’estero, anche se per motivi di studio.

➡️ Lo ha chiarito una recente sentenza del Tribunale di Rimini (Sentenza n. 999/2024) ha affrontato la questione all’interno di un procedimento avviato da un uomo per ottenere il divorzio dalla moglie che non era d’accordo nel riconfermare le stesse condizioni economiche della separazione. La donna, infatti, pretendeva un aumento del mantenimento per il figlio.

➡️ L’uomo, pero, si opponeva alla richiesta eccependo l’inammissibilità della domanda per difetto di legittimazione attiva della moglie. Solo il figlio poteva chiedere tale aumento! .. ma il figlio voleva starne fuori e non si costituiva in giudizio.

➡️ Il Tribunale di Rimini, dopo 3 anni di valutazioni, chiariva che in tema di mantenimento del figlio maggiorenne che si trovi all’estero per motivi di studio, legittimato a chiedere il mantenimento o il suo aumento è ancora il genitore quando, pur non coabitando con il figlio, continui a provvedere materialmente alle sue esigenze anticipando le spese necessarie per il suo sostentamento.

➡️ Nel caso di specie, però, il Tribunale ha rilevato che il ragazzo risiedeva stabilmente all’estero, in quanto lo stesso oltre a studiare aveva trovato un lavoro part-time, i ritorni a casa non erano regolari e la casa familiare non era più considerata un “punto di riferimento stabile”.

➡️ Il Tribunale di Rimini ha, pertanto, dichiarato inammissibile la domanda della madre di aumento del contributo al mantenimento, rilevando il difetto di legittimazione attiva e ribadiva che l’unico legittimato alla domanda era il ragazzo. Inoltre, ha accolto la domanda del padre e ha stabilito anche a carico della madre l’obbligo di bonificare al figlio la stessa somma come contributo al di lui mantenimento.

Approfondimento nel Blog scritto da @maria zaccara

#legittimazioneattiva #mantenimento #figlimaggiorenni
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La Cassazione è recentemente intervenuta in un caso di maltrattamenti in famiglia aggravato con riguardo ai percorsi che il condannato deve fare per ottenere la sospensione condizionale della pena ai sensi del nuovo art 165 cp (Cass., n. 40888/24).
Infatti, per ottenere la sospensione condizionale della pena i condannati devono partecipare a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti violenti.
Ciò è essenziale per prevenire e ridurre il rischio di commettere reati di violenza contro le donne o di violenza domestica. Tali programmi dovrebbero mirare a garantire relazioni sicure, a insegnare come adottare comportamenti non violenti e come contrastare la violenza. Inoltre i percorsi devono essere individualizzati.
L’imputato deve manifestare un vero e pieno consenso (non basta quindi una mera ‘non opposizione’) per intraprendere un percorso di rivisitazione delle ragioni sottese alla commissione del delitto. L’imputato deve tra l’altro sostenere il costo per la partecipazione ai medesimi.
Quindi i percorsi sono rivolti sia a ottenere la sospensione condizionale, sia a
prevenire la recidiva.
Voi pensate che questi percorsi siano davvero efficaci per la prevenzione?

Post scritto da @avvcrespi
Se volete leggere l’articolo completo, un click sul link in bio e poi su blog.

#violenzadomestica #violenzasulledonne
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La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32682/2024 del 16 dicembre 2024 ha affermato che “può essere revocata la donazione della casa fatta al partner che accetta nonostante sia infedele. L`interruzione della convivenza a pochi giorni dal rogito è senz`altro rilevante e denota l`ingiuria della relazione extraconiugale”.

Nel mese di marzo 2016, dopo diversi anni di convivenza, un uomo donava alla propria compagna l’abitazione che i due avevano adibito a casa comune con l’intento di confermarle la stabilità della relazione, nonostante lui fosse ancora solo separato e non divorziato dalla propria moglie.

Solo pochi giorni dopo la donazione, l’uomo scopriva che la donna aveva da tempo una relazione con un altro, e dopo un acceso confronto la donna “invitava” il convivente a lasciare l’abitazione ormai sua (!) e gli impediva di portarsi via anche l’arredo.

La nuova relazione veniva esibiti a tutti e dopo circa un mese la donna iniziava la convivenza con il nuovo compagno proprio nella casa donatale dall’ex !

Il Tribunale di Imperia, cui l’uomo si rivolgeva per tentare di riprendersi la casa, rigettava il ricorso. La Corte di Appello di Genova, invece, revocava la donazione immobiliare per ingratitudine affermando anche che l’arredo dell’appartamento era di proprietà dell’appellante e doveva essere restituiti.

Avverso tale decisione la donna proponeva ricorso per Cassazione.

Gli Ermellini, tuttavia, confermavano la revocazione della donazione ritenendo che il comportamento della donna integrava ingiuria grave ai danni del donante non tanto per la relazione celata in sé, bensì per le modalità irriguardose della donna sia prima che dopo la donazione.

#AVVDINELLA #studiolegale
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È stato un anno che ci ha insegnato molto.

Ci ha insegnato che serietà e impegno non sono garanzia di vittoria né di riconoscimenti ma un modo di essere che ci identifica.
Che non possiamo pianificare, controllare e decidere ogni cosa ma dobbiamo affidarci e accettare l’incognita.

Che la fatica mentale come quella fisica può farci sentire “perse” e quindi dobbiamo saperci fermare.
Che ci sono giorni in cui la stanchezza sembra l’unica cosa che siamo in grado di sentire, e quindi dobbiamo porci dei limiti.
Che le persone possono essere ingiuste e a volte anche cattive ma sono di più quelle oneste e generose che fanno della loro sensibilità e gentilezza una bandiera.
Che le persone belle, prima o poi brillano mentre tutte le altre spariscono facendosi del male da sole.

Che il nostro cammino è più leggero e felice se ci state accanto!

Buon anno da tutte noi ♥️
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Il Giudice per quantificare l`assegno di mantenimento spettante al coniuge, quale non sia addebitabile la separazione, e ai figli minori o non autonomi economicamente deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza! Il tenore di vita, infatti, è determinante per identificare la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente.

Successivamente dovrà accertare le disponibilità patrimoniali dell`onerato considerando non soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso, a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute dalla coppia, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco!

Il Giudice a tal fine dispone di strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l`emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria espressamente oggi previsti anche dalla Riforma Cartabia.

È quanto affermato dalla Corte di cassazione che ha respinto il ricorso di un uomo nei cui confronti sia Tribunale di Vasto sia la Corte d’Apello dell’Aquila aveva addebitato la separazione (a causa dei molteplici tradimenti e di un’ultima relazione extraconiugale stabile e continuativa poi esitata in convivenza) e posto a carico il mantenimento della moglie nonostante le dichiarazioni fiscali riportassero redditi minimi, sulla scorta della presenza di un divario economico tra le capacità reddituali delle parti.

Ritenendo ingiuste le decisioni, l’uomo arrivava in Cassazione ma anche in questa sede si vede ribadito che il tenore di vita decisamente alto e la circostanza che fosse amministratore unico di una SRL, titolare di un bar, ristorante e sala da ballo nonché commerciante di prodotti alimentari all`estero e percettore di rendite immobiliari faceva presumere la presenza di redditi non dichiarati e quindi da indagare con la polizia tributaria.
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Ha diritto all’assegno divorzile la donna che si è sposata giovanissima (23 anni) si è separata in giovane età (36 anni) e non ha mai lavorato nei 20 anni da separata? Con l’ordinanza n. 32354 del 13.12.2024 la Cassazione ha detto si! Il lungo matrimonio, la dedizione alla famiglia e la contribuzione all’acquisto della casa familiare legittimano la previsione dell’assegno.



Vero che la previsione dell’assegno divorzile costituisce una deroga al principio di autoresponsabilità ma è anche lo strumento che consente di riparare agli squilibri patrimoniali ingenerati dalla vita di coppia, che avevano giustificazione nell’organizzazione della vita familiare e cha tale giustificazione hanno perso per effetto del divorzio.



➡️ La vicenda inizia avanti il Tribunale di Cagliari e continua alla Corte d’Appello di Cagliari che respingono la richiesta di assegno da parte di una donna che per 20 anni godeva di un mantenimento dell’ex marito. I giudici di merito, infatti, evidenziavano che le violenze subite dalla donna erano state causa di addebito della separazione al marito ma non incidevano sul diritto all’assegno divorzile; che la donna non aveva un impedimento fisico al lavoro e che la disparità reddituale tra gli ex non era a causa di scelte condivise durante il matrimonio.



➡️ La Corte di Cassazione tuttavia, ritenendo incomprensibile nel caso di specie il richiamo della Corte d’Appello al principio di autoresponsabilità ed evidenziando il vizio della decisione in ordine alla non rilevanza del contributo della donna all’acquisto della casa familiare assegnata per 20 anni al marito, l’asserita non riconducibilità della situazione economica della donna alle scelte effettuate in costanza di matrimonio nonostante l’addebito per violenze subite, cassava la sentenza di secondo grado e rinviava la causa avanti la Corte d’Appello di Cagliari.

🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell’Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.

❓E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?

#divorzio #assegno #moglie
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#famiglia Fateci un regalo! Quest’anno a Natale oltre ai dolci state attenti alle provocazioni e ai commenti sarcastici, scacciate i ricordi che fanno male e silenziate i rancori, i rimpianti, la vecchia zia con le sue domande.. e respirate!
Ci sarà tempo per tornare a lottare ma non oggi!! La tua testa ha bisogno di qualche ora di pace ed i tuoi avvocati pure!!
Buon Natale a tutti ♥️

#avvdinella #famiglia
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L’attesa del Natale ogni anno ci fa battere il cuore e sentire che qualcosa di nuovo sta per nascere.. Ecco la meraviglia del Natale..✨🎄🎅🎁
Lo Studio chiude per qualche giorno ma vi portiamo nei nostri cuori! ♥️
#avvdinella #natale
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Un recente fatto di cronaca accaduto a Roma ha riacceso i riflettori su una tematica importante: i video fatti a scuola e loro pubblicazione.
 
Una ragazza ha infatti realizzato dei video in una scuola romana e poi li ha pubblicati su TIKTOK. La scuola voleva intervenire disciplinarmente e i genitori hannoinveito contro i professori, anche aggredendoli.
 
Va poi ricordato che recentemente è stato vietato l’utilizzo dei cellulari nelle scuole primarie e secondarie di primo grado; moltissimi licei ne stanno vietando l’uso con i Regolamenti di Istituto.
 
Ora, a scuola non è possibile realizzare riprese multimediali a scopo personale, né tanto meno divulgarli. Per scopo didattico si possono registrare le lezioni MA occorre che il professore lo consenta e che tale possibilità sia prevista dal Regolamento d’Istituto. Va precisato che non è comunque consentita la diffusione online.
 
Le conseguenze delle violazioni dei divieti sono varie, come le sanzioni disciplinari previste dai Regolamenti scolastici. Inoltre si violerebbe la privacy (Regolamento GDPR).
 
Da tempo la Cassazione sostiene che sia legittimo il divieto del dirigente scolastico di utilizzare registratori in classe per tutelare la “riservatezza” degli alunni: in caso di registrazione occorre informare preventivamente gli interessati e acquisire il loro consenso informato.
 
Va valutata anche l’applicabilità dell’art. 617 septies cpsecondo il quale va punito chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonda riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione.
 
Siete d’accordo con il divieto di utilizzare i cellulari a scuola?
Post scritto da @avvcrespi
 
#studenti #scuola #cellulari #social
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Le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione, ma anche la sua addebitabilità all’autore di esse.

Inoltre - a differenza di quanto avviene per le altre cause di addebito che richiedono una valutazione globale e una comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi - l’accertamento delle condotte violente esonera il giudice da tale dovere di comparazione; i comportamenti del coniuge vittima di violenze anche se provocatori o aggressivi verbalmente - non assumono rilevanza dirimente, trattandosi di atti sostanzialmente non comparabili con quelli di violenza fisica.

La violenza fisica, infatti, è al punto grave, inaccettabile e devastante in modo definitivo dell’equilibrio di una coppia da fondare di per sé sola - anche quando la condotta violenta si è concretizzata in un unico episodio - la pronuncia dell’addebito anche se rispetto al deposito del ricorso per separazione è trascorso un grande lasso di tempo.

Questi i principi chiariti dalla Cassazione con le ordinanze n. 11208/2024 e n. 30721/2024 nelle quali è stato affrontato il tema dell’addebito della separazione in caso di maltrattamenti.

Nel caso in commento il Tribunale di Pescara con sentenza n. 1240/2020 aveva pronunciato sentenza di separazione personale dei coniugi con addebito alla moglie che per anni aveva agito condotte violente nei confronti del marito e aveva respinto la di lei richiesta di addebito formulata contro il marito.

Contestando a carico del marito condotte di prevaricazione psicologica che l’avevano al punto sfinita dall’indurla a episodi di rabbia e violenza fisica, la donna ricorreva in Appello ma la Corte rigettava il ricorso della donna ritenendo provate le violenze della donna sia dalle di lei dichiarazioni, sia dai testi indicati dal marito sia dai certificati del PS che attestano le lesioni, sia dalle foto in atti e irrilevante il comportamento seppur esasperante del marito e la cassazione confermava la legittimità della decisione.

#avvdinella
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Il corretto e puntuale adempimento degli obblighi di mantenimento non legittima la richiesta di iscrizione di ipoteca perché non vi è alcun pericolo su cui intervenire a tutela.

Ne consegue il diritto dell’ex ad ottenere dal giudice l`emanazione di un ordine di cancellazione e la condanna della donna per responsabilità aggravata.

Vero che sia i provvedimenti provvisori ai sensi dell’art. 473 bis 36 cpc, sia la sentenza definitiva di separazione o divorzio, laddove prevedono a carico di una delle parti l`obbligo di corrispondere un assegno periodico a favore dell`altra, costituiscono titolo per richiedere l`iscrizione dell`ipoteca giudiziale, ma la Cassazione mette in guardia sulle iscrizioni di ipoteche fatte senza alcun valido motivo!

Il coniuge, in favore del quale è previsto un contributo di mantenimento per sè e/o per i figli, deve valutare con prudenza la sussistenza del pericolo di inadempimento dell’obbligato prima di agire in pregiudizio del debitore.

La sua valutazione è infatti sindacabile nel merito e potrà essere sottoposta alla verifica in concreto della esistenza di un pericolo di inadempimento e, in caso di apprezzamento negativo, il Giudice disporrà la cancellazione dell`ipoteca fatta iscrivere dal coniuge titolare dell`assegno su un immobile di proprietà esclusiva dell`obbligato.

Nel caso giunto in Cassazione un uomo, che aveva pagato con puntualità per 16 anni il mantenimento, aveva chiesto al Tribunale di Roma di ordinare la cancellazione dell’’ipoteca iscritta dalla ex moglie sul proprio immobile.

Il Tribunale aveva respinto la sua richiesta ma l’uomo presentava Appello e questa volta vinceva! La Corte d’Appello ordinava la cancellazione dell’ipoteca alla Conservatoria e condannava la donna per responsabilità aggravata.

La ex non si arrendeva e ricorreva in Cassazione ma si vedeva condannare anche qui alle spese! Gli Ermellini confermavano la decisione della Corte!
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➡ Tra i criteri per il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore del coniuge più debole economicamente vi è la durata del matrimonio.
➡ E se il matrimonio è di breve durata ma è preceduto da una lunga convivenza?
➡ Nel caso di specie, il matrimonio durato 7 anni era preceduto da una convivenza more uxorio di 8 anni.
➡ Lei ha diritto all’assegno divorzile nonostante il matrimonio breve se la convivenza, prima delle nozze, è stata lunga.
➡ Lo ha affermato la Prima Sezione della Corte di Cassazione, ordinanza n. 30602 del 28 novembre 2024, con cui sono stati ribaditi i criteri consolidati per il riconoscimento dell’assegno divorzile: sperequazione delle condizioni economiche delle parti, apporto del coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, durata del matrimonio, ragioni della decisione, età del richiedente.
Trovate l`approfondimento sul nostro Blog a cura dell`Avv Alice di Lallo
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La moglie è obbligata a restituire il 50% al marito che dopo la separazione continua a pagare per intero il mutuo cointestato
➡ La vicenda trae origine dalla richiesta di restituzione da parte dell’ex marito del 50% nei confronti della ex moglie delle rate del mutuo cointestato che aveva continuato a pagare dopo la separazione.
➡ L’uomo riferiva che in costanza di matrimonio in comunione legale acquistava con la moglie quella che sarebbe divenuta la loro casa familiare, accendendo un mutuo cointestato nella misura del 50% ciascuno. Il marito da subito si accollava per intero il pagamento delle rate che insistevano su un proprio conto corrente, così continuando a fare anche dopo la separazione e fino all’instaurazione del giudizio di restituzione, convintosi solo a quel punto di non dovervi più provvedere per l’intero.
➡ La donna però si costituiva in giudizio opponendosi alla richiesta adducendo di aver già corrisposto fin dalla intervenuta separazione la propria quota parte di mutuo. La ex moglie sosteneva che la sentenza di separazione giudiziale ricomprendesse nella somma a titolo di mantenimento sia per sé che per i due figli anche la propria quota parte di mutuo.
➡ Ma il Tribunale di Taranto riteneva l’interpretazione della sentenza di separazione della donna del tutto arbitraria: il Tribunale nulla aveva statuito in ordine al mutuo cointestato, avendo solo previsto un contributo al mantenimento per moglie e figli, e pertanto la donna dopo la separazione avrebbe dovuto iniziare a pagare la propria parte, senza tuttavia nulla dover corrispondere in ordine alle rate che il marito aveva versato in costanza di matrimonio.
➡ Adeguandosi all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Taranto escludeva la restituzione di tutte le rate che il marito aveva versato in costanza di matrimonio in ragione di un obbligo familiare solidaristico, ma al contempo stabiliva che intervenuta la separazione e con lo scioglimento della comunione, gli obblighi solidaristici erano venuti meno e pertanto il marito avrebbe avuto diritto a vedersi rimborsate le somme.
L’approfondimento sul nostro blog a cura dell’Avv. Angela Brancati
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La sentenza di separazione - in mancanza di figli minori o maggiorenni non autonomi - è titolo per pretendere che il coniuge non proprietario lasci la casa familiare.

Se però la coppia per qualsivoglia motivo continua a convivere per mesi anche dopo la separazione, il proprietario non può cambiare le chiavi dell’abitazione come reazione ad un litigio, impedendo all’ex di accedervi.
Tale comportamento integra spoglio violento - sussistendone tanto l`elemento materiale (la privazione del compossesso) quanto quello soggettivo (la consapevolezza di agire contro l`altrui volontà) e pertanto l’ex deve essere integrato nel compossesso dell’abitazione.

Nel caso oggi in commento, benché intervenuta la separazione, una coppia decideva di continuare a vivere da separati in casa: la donna dormiva nella camera matrimoniale mentre l’uomo trascorreva le notti in una camera in origine dei figli rifiutandosi di trasferirsi in un altro appartamento in comproprieto.

Dopo l’ennesimo litigio, però, la donna decideva di cambiare la serratura della casa familiare, con l’intento proprio di impedire all’ex di fare rientro a casa e si giustificava ribadendo che quella era solo casa sua, che l’ex si trasferito nella casa al primo piano e che solo in occasione dei ritorni a casa del figlio studente, la coppia tornava a convivere nella casa familiare non volendo che il figlio sapesse della separazione.

Ma i testimoni dell’uomo confutavano questa versione dei fatti confermando che la convivenza non era sporadica, che sorretta dall`animus possidendi e che era rimasta tale non certo per mera tolleranza della resistente.

La donna d’altra parte aveva ammesso che l’ex entrava ed usciva dall`abitazione a suo piacimento e si sentiva talmente tanto compossessore di detto appartamento, e non già mero ospite, che la resistente era costretta a chiudersi a chiave in camera per non ricevere “visite poco gradite” e perfino a trascorrere la notte fuori casa quando i litigi tra loro erano troppo accesi.

Confermata la convivenza post separazione, il Tribunale non ha dubbi: la donna deve “riaprire” casa all’ex, deve rimborsarli le spese legali e convenire un congruo termine perché se ne vada
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