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Un recente fatto di cronaca accaduto a Roma ha riacceso i riflettori su una tematica importante: i video fatti a scuola e loro pubblicazione.
 
Una ragazza ha infatti realizzato dei video in una scuola romana e poi li ha pubblicati su TIKTOK. La scuola voleva intervenire disciplinarmente e i genitori hannoinveito contro i professori, anche aggredendoli.
 
Va poi ricordato che recentemente è stato vietato l’utilizzo dei cellulari nelle scuole primarie e secondarie di primo grado; moltissimi licei ne stanno vietando l’uso con i Regolamenti di Istituto.
 
Ora, a scuola non è possibile realizzare riprese multimediali a scopo personale, né tanto meno divulgarli. Per scopo didattico si possono registrare le lezioni MA occorre che il professore lo consenta e che tale possibilità sia prevista dal Regolamento d’Istituto. Va precisato che non è comunque consentita la diffusione online.
 
Le conseguenze delle violazioni dei divieti sono varie, come le sanzioni disciplinari previste dai Regolamenti scolastici. Inoltre si violerebbe la privacy (Regolamento GDPR).
 
Da tempo la Cassazione sostiene che sia legittimo il divieto del dirigente scolastico di utilizzare registratori in classe per tutelare la “riservatezza” degli alunni: in caso di registrazione occorre informare preventivamente gli interessati e acquisire il loro consenso informato.
 
Va valutata anche l’applicabilità dell’art. 617 septies cpsecondo il quale va punito chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonda riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione.
 
Siete d’accordo con il divieto di utilizzare i cellulari a scuola?
Post scritto da @avvcrespi
 
#studenti #scuola #cellulari #social
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Le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione, ma anche la sua addebitabilità all’autore di esse.

Inoltre - a differenza di quanto avviene per le altre cause di addebito che richiedono una valutazione globale e una comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi - l’accertamento delle condotte violente esonera il giudice da tale dovere di comparazione; i comportamenti del coniuge vittima di violenze anche se provocatori o aggressivi verbalmente - non assumono rilevanza dirimente, trattandosi di atti sostanzialmente non comparabili con quelli di violenza fisica.

La violenza fisica, infatti, è al punto grave, inaccettabile e devastante in modo definitivo dell’equilibrio di una coppia da fondare di per sé sola - anche quando la condotta violenta si è concretizzata in un unico episodio - la pronuncia dell’addebito anche se rispetto al deposito del ricorso per separazione è trascorso un grande lasso di tempo.

Questi i principi chiariti dalla Cassazione con le ordinanze n. 11208/2024 e n. 30721/2024 nelle quali è stato affrontato il tema dell’addebito della separazione in caso di maltrattamenti.

Nel caso in commento il Tribunale di Pescara con sentenza n. 1240/2020 aveva pronunciato sentenza di separazione personale dei coniugi con addebito alla moglie che per anni aveva agito condotte violente nei confronti del marito e aveva respinto la di lei richiesta di addebito formulata contro il marito.

Contestando a carico del marito condotte di prevaricazione psicologica che l’avevano al punto sfinita dall’indurla a episodi di rabbia e violenza fisica, la donna ricorreva in Appello ma la Corte rigettava il ricorso della donna ritenendo provate le violenze della donna sia dalle di lei dichiarazioni, sia dai testi indicati dal marito sia dai certificati del PS che attestano le lesioni, sia dalle foto in atti e irrilevante il comportamento seppur esasperante del marito e la cassazione confermava la legittimità della decisione.

#avvdinella
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Il corretto e puntuale adempimento degli obblighi di mantenimento non legittima la richiesta di iscrizione di ipoteca perché non vi è alcun pericolo su cui intervenire a tutela.

Ne consegue il diritto dell’ex ad ottenere dal giudice l`emanazione di un ordine di cancellazione e la condanna della donna per responsabilità aggravata.

Vero che sia i provvedimenti provvisori ai sensi dell’art. 473 bis 36 cpc, sia la sentenza definitiva di separazione o divorzio, laddove prevedono a carico di una delle parti l`obbligo di corrispondere un assegno periodico a favore dell`altra, costituiscono titolo per richiedere l`iscrizione dell`ipoteca giudiziale, ma la Cassazione mette in guardia sulle iscrizioni di ipoteche fatte senza alcun valido motivo!

Il coniuge, in favore del quale è previsto un contributo di mantenimento per sè e/o per i figli, deve valutare con prudenza la sussistenza del pericolo di inadempimento dell’obbligato prima di agire in pregiudizio del debitore.

La sua valutazione è infatti sindacabile nel merito e potrà essere sottoposta alla verifica in concreto della esistenza di un pericolo di inadempimento e, in caso di apprezzamento negativo, il Giudice disporrà la cancellazione dell`ipoteca fatta iscrivere dal coniuge titolare dell`assegno su un immobile di proprietà esclusiva dell`obbligato.

Nel caso giunto in Cassazione un uomo, che aveva pagato con puntualità per 16 anni il mantenimento, aveva chiesto al Tribunale di Roma di ordinare la cancellazione dell’’ipoteca iscritta dalla ex moglie sul proprio immobile.

Il Tribunale aveva respinto la sua richiesta ma l’uomo presentava Appello e questa volta vinceva! La Corte d’Appello ordinava la cancellazione dell’ipoteca alla Conservatoria e condannava la donna per responsabilità aggravata.

La ex non si arrendeva e ricorreva in Cassazione ma si vedeva condannare anche qui alle spese! Gli Ermellini confermavano la decisione della Corte!
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➡ Tra i criteri per il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore del coniuge più debole economicamente vi è la durata del matrimonio.
➡ E se il matrimonio è di breve durata ma è preceduto da una lunga convivenza?
➡ Nel caso di specie, il matrimonio durato 7 anni era preceduto da una convivenza more uxorio di 8 anni.
➡ Lei ha diritto all’assegno divorzile nonostante il matrimonio breve se la convivenza, prima delle nozze, è stata lunga.
➡ Lo ha affermato la Prima Sezione della Corte di Cassazione, ordinanza n. 30602 del 28 novembre 2024, con cui sono stati ribaditi i criteri consolidati per il riconoscimento dell’assegno divorzile: sperequazione delle condizioni economiche delle parti, apporto del coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, durata del matrimonio, ragioni della decisione, età del richiedente.
Trovate l`approfondimento sul nostro Blog a cura dell`Avv Alice di Lallo
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La moglie è obbligata a restituire il 50% al marito che dopo la separazione continua a pagare per intero il mutuo cointestato
➡ La vicenda trae origine dalla richiesta di restituzione da parte dell’ex marito del 50% nei confronti della ex moglie delle rate del mutuo cointestato che aveva continuato a pagare dopo la separazione.
➡ L’uomo riferiva che in costanza di matrimonio in comunione legale acquistava con la moglie quella che sarebbe divenuta la loro casa familiare, accendendo un mutuo cointestato nella misura del 50% ciascuno. Il marito da subito si accollava per intero il pagamento delle rate che insistevano su un proprio conto corrente, così continuando a fare anche dopo la separazione e fino all’instaurazione del giudizio di restituzione, convintosi solo a quel punto di non dovervi più provvedere per l’intero.
➡ La donna però si costituiva in giudizio opponendosi alla richiesta adducendo di aver già corrisposto fin dalla intervenuta separazione la propria quota parte di mutuo. La ex moglie sosteneva che la sentenza di separazione giudiziale ricomprendesse nella somma a titolo di mantenimento sia per sé che per i due figli anche la propria quota parte di mutuo.
➡ Ma il Tribunale di Taranto riteneva l’interpretazione della sentenza di separazione della donna del tutto arbitraria: il Tribunale nulla aveva statuito in ordine al mutuo cointestato, avendo solo previsto un contributo al mantenimento per moglie e figli, e pertanto la donna dopo la separazione avrebbe dovuto iniziare a pagare la propria parte, senza tuttavia nulla dover corrispondere in ordine alle rate che il marito aveva versato in costanza di matrimonio.
➡ Adeguandosi all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Taranto escludeva la restituzione di tutte le rate che il marito aveva versato in costanza di matrimonio in ragione di un obbligo familiare solidaristico, ma al contempo stabiliva che intervenuta la separazione e con lo scioglimento della comunione, gli obblighi solidaristici erano venuti meno e pertanto il marito avrebbe avuto diritto a vedersi rimborsate le somme.
L’approfondimento sul nostro blog a cura dell’Avv. Angela Brancati
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La sentenza di separazione - in mancanza di figli minori o maggiorenni non autonomi - è titolo per pretendere che il coniuge non proprietario lasci la casa familiare.

Se però la coppia per qualsivoglia motivo continua a convivere per mesi anche dopo la separazione, il proprietario non può cambiare le chiavi dell’abitazione come reazione ad un litigio, impedendo all’ex di accedervi.
Tale comportamento integra spoglio violento - sussistendone tanto l`elemento materiale (la privazione del compossesso) quanto quello soggettivo (la consapevolezza di agire contro l`altrui volontà) e pertanto l’ex deve essere integrato nel compossesso dell’abitazione.

Nel caso oggi in commento, benché intervenuta la separazione, una coppia decideva di continuare a vivere da separati in casa: la donna dormiva nella camera matrimoniale mentre l’uomo trascorreva le notti in una camera in origine dei figli rifiutandosi di trasferirsi in un altro appartamento in comproprieto.

Dopo l’ennesimo litigio, però, la donna decideva di cambiare la serratura della casa familiare, con l’intento proprio di impedire all’ex di fare rientro a casa e si giustificava ribadendo che quella era solo casa sua, che l’ex si trasferito nella casa al primo piano e che solo in occasione dei ritorni a casa del figlio studente, la coppia tornava a convivere nella casa familiare non volendo che il figlio sapesse della separazione.

Ma i testimoni dell’uomo confutavano questa versione dei fatti confermando che la convivenza non era sporadica, che sorretta dall`animus possidendi e che era rimasta tale non certo per mera tolleranza della resistente.

La donna d’altra parte aveva ammesso che l’ex entrava ed usciva dall`abitazione a suo piacimento e si sentiva talmente tanto compossessore di detto appartamento, e non già mero ospite, che la resistente era costretta a chiudersi a chiave in camera per non ricevere “visite poco gradite” e perfino a trascorrere la notte fuori casa quando i litigi tra loro erano troppo accesi.

Confermata la convivenza post separazione, il Tribunale non ha dubbi: la donna deve “riaprire” casa all’ex, deve rimborsarli le spese legali e convenire un congruo termine perché se ne vada
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➡️ Quando si tratta di disconoscimento di paternità, il bilanciamento tra la verità e l`interesse del minore deve prevalere e quindi, anche se il riconoscimento è falso perché il minore non è figlio biologico dell’uomo, il riconoscimento non può più essere impugnato.
➡️Nel caso in esame una nonna - dopo aver scoperto che la bimba che riteneva essere sua nipote in realtà non lo era - chiedeva al Tribunale di Torino di nominare un curatore speciale per la nipote, con l`intento di promuovere un`azione di impugnazione del riconoscimento di paternità fatto dal figlio.
➡️Il Tribunale di Torino provvedeva alla nomina del curatore, ma rigettava la domanda di impugnazione di riconoscimento di paternità per difetto di veridicità .
➡️ La nonna non si fermava, proponeva Appello, che però confermava la decisione del Tribunale, e arrivava in Cassazione.
➡️ Ma anche qui non vedeva accolte le sue domande: gli Ermellini, dopo aver analizzato attentamente la questione, confermavano che la decisione della Corte d`Appello era corretta! Vero che il riconoscimento era stato consapevolmente falso ma l`interesse del minore era prevalente e doveva essere tutelato. Il principio del favor veritatis deve essere applicato in modo equilibrato tenuto conto del favor minoris. Pertanto, se l`accertamento della verità sul riconoscimento di paternità può essere dannoso per il benessere del minore, il Tribunale non è obbligato nè a disporlo nè a pronunciare il disconoscimento.
➡️La Corte ha sottolineato, infatti che se la falsità del riconoscimento è accertata non è necessario intraprendere ulteriori indagini per verificare la mancanza di un rapporto biologico tra il padre e la minore. L`interesse principale è stato quello di evitare che il processo possa avere effetti negativi sulla minore, in conformità con i principi di tutela previsti dalla giurisprudenza costituzionale.
➡️Per i suddetti motivi, pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
🔗 Vuoi leggere l’approfondimento dell`Avv. Maria Zaccara? un click sul link in bio ed uno su Blog.
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E’ possibile condannare un marito per violenza se$$uale contro la moglie?

Un uomo veniva condannato per violenza se$$uale in danno della moglie alla pena di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione. La Corte di Appello lo assolveva « perché il fatto non costituisce reato ».

Avverso la sentenza assolutoria ricorreva il Procuratore Generale e la Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato (Cass. 38909/24).
 
La Corte d’Appello ha dato atto del contesto vessatorio in cui viveva la vittima e nel quale si inseriva la consumazione degli atti se$$uali (minacce, offese e umiliazioni). La donna, che teneva un comportamento « totalmente succube e teso solo a calmare il marito », aveva riferito di aver subito atti se$$uali ed un rapporto completo non consenziente, per la paura di essere ucci$a. Tuttavia, del suo dissenso e dell’opposizione agli atti se$$uali non vi è traccia nel suo racconto; non vi è modo di affermare che l’imputato fosse consapevole di agire contro il suo volere, poiché non lo aveva esternato.
 
La Cassazione ritiene queste motivazioni contraddittorie (e annulla con rinvio) alla luce di questi principi:
- l’elemento oggettivo consiste nella violenza fisica o nella intimidazione psicologica o nel compimento di atti di libidine repentini, senza accertarsi del consenso o, comunque, prevenendone la manifestazione di dissenso
- l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non astrattamente ma valorizzando in concreto ogni circostanza
- la violenza non deve essere tale da annullare la volontà, ma è sufficiente che questa sia coartata o che il rapporto non voluto sia consumato approfittando della prostrazione, angoscia o diminuita resistenza della vittima
- il mancato dissenso ai rapporti con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito per violenze e minacce ripetute, con compressione della capacità di reazione per timore di conseguenze pregiudizievoli
 
Cosa spinge, per voi, un marito a costringere la moglie a rapporti se$$uali?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
Per l’articolo completo, un click su bio e poi su blog.
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I nipoti anche se di età inferiore ai 12 anni non possono essere costretti ad incontrare la nonna, se i bambini non vogliono vederla e la nonna ha rifiutato il percorso psicologico richiesto dai Servizi.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una nonna che lamentava la lesione del suo diritto, sancito dall’art. 317-bis c.c., di mantenere rapporti significativi con i due nipoti di 11 e 8 anni a causa del comportamento dei genitori, che, pur vivendo al piano superiore rispetto al suo appartamento, le impedivano ogni contatto con i bambini.
Il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila aveva respinto la sua richiesta, avendo ritenuto insussistenti i presupposti per garantire una relazione nonna-nipoti sana e proficua, anche in ragione del fatto che i minori avevano dichiarato di non desiderare incontrarla e negavano di avere mai avuto con lei un legame affettivo significativo, anche a causa di episodi spiacevoli.
Anche la Corte d’Appello aveva confermato questa decisione anche tenuto conto che la donna non aveva mai accolto la richiesta dei Servizi di iniziare un percorso di sostegno psicologico, precisando che il diritto dei nonni è subordinato all’esclusivo interesse dei minori, e non può dunque essere imposto contro la volontà degli stessi.
Ma la nonna insisteva ricorreva in Cassazione lamentando anche che non fosse stata verificata l’eventuale manipolazione dei minori da parte dei genitori ma gli Ermellini confermavano che il diritto dei nonni sussiste solo quando contribuisce positivamente al progetto educativo e formativo dei minori. In considerazione del rifiuto dei nipoti agli incontri di quello della nonna al percorso psicologico suggeritole, bene aveva deciso la Corte d’Appello dell’Aquila. Post scritto in collaborazione con @giorgiabelluschi
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Permane il diritto del genitore collocatario a richiedere l’assegno di mantenimento delle figlie maggiorenni non autosufficienti che per motivi di studio o stage sono costrette a cambiare città se la casa familiare resta ancora un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e se il genitore anche in assenza di coabitazione, in concreto continua a provvedere alle esigenze delle figlie, anticipando ogni esborso necessario per il loro sostentamento.
Questo il principio chiarito dalla Corte di Cassazione con la decisione n. 30179 del 22 novembre 2024, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne che studia, fa praticantato ovvero stage lontano in altra città.
➡️ La vicenda trae origine da un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio in cui un padre chiedeva al Tribunale di Napoli di essere esonerato dal versare l’assegno di € 5.000,00 per il mantenimento delle due figlie alla ex coniuge poiché le ragazze erano ormai maggiorenni e studiavano lontano da casa.
➡️ Il Tribunale di Napoli rigettava le istanze dell’uomo, mentre la Corte di Appello ne accoglieva la richiesta e revocava l’obbligo di versamento alla madre del mantenimento delle figlie poiché era venuta meno la coabitazione della madre con le ragazze e che al più queste ultime avrebbero dovuto formulare apposita ed autonoma richiesta al padre.
➡️ La donna andava in Cassazione e vinceva: gli Ermellini, infatti, affermavano che al fine di comprendere se il genitore beneficiario è ancora legittimato a ricevere l’assegno per il mantenimento dei figli non è da valutare la prevalenza temporale dell’effettiva presenza degli stessi presso la casa genitoriale, bensì se tale abitazione costituisce il punto di riferimento stabile a cui fare sistematico ritorno in considerazione del fatto che, nel caso di specie, la madre era la figura che si occupava del sostentamento delle figlie e che provvedeva materialmente alle loro esigenze primarie. La palla passa di nuovo a Napoli!
Sul nostro blog la Dott.ssa Elisa Cazzaniga approfondisce la sentenza.
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Oggi mi sono imbattuta in queste parole di Gramellini e non posso fare a meno di riflettere su quanto siano vere, non solo nella mia vita sentimentale, ma anche nelle dinamiche familiari di cui ogni giorno mi occupo.

Quello che Gramellini descrive è un percorso di consapevolezza: ogni relazione riflette lo stato in cui ci troviamo.
Quando siamo in conflitto con noi stessi, inevitabilmente scegliamo relazioni che amplificano quel conflitto.
Ho visto coppie che si trascinano in guerre legali estenuanti, non tanto per ciò che è realmente in gioco — una casa, un figlio — ma perché stanno combattendo battaglie interiori che non sanno come affrontare diversamente.
E così, il caos trova il caos, il gelo chiama il gelo.

Come donna, come professionista, ma anche come essere umano, ho imparato che il vero cambiamento arriva quando smettiamo di cercare nell’altro una risposta che possiamo dare solo a noi stessi. L’amore, quello autentico, non è un salvagente. È un equilibrio che nasce quando abbiamo già imparato a nuotare da soli.

#avvdinella
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Può la persona anziana adottare chi si prende cura di lei con affetto e costanza, anche se non convivono?
Sul punto, la Corte di Cassazione si è espressa con la recente ordinanza n. 29684/2024 del 19.11.2024 evidenziando il principio secondo cui l’adozione di persone maggiorenni non persegue più e soltanto la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i legami consolidati nel tempo, accanto a quelli patrimoniali.

➡️ La vicenda è arrivata avanti la Corte di Cassazione dopo il rigetto sia da parte del Tribunale di Asti sia da parte della Corte d’Appello di Torino della richiesta avanzata da una signora di adottare l’uomo che ormai da anni si occupava di lei. Secondo i giudici la domanda non poteva essere accolta in quanto non emergeva una storia personale o un contesto familiare tra adottante e adottando e non risultavano provati momenti di vita di apprezzabile durata trascorsi insieme tra la ricorrente e l’uomo.

Al contrario secondo i Giudici di secondo grado emergeva unicamente un ruolo di assistenza e di sostegno da parte dell’uomo che andava a trovare la ricorrente cinque o sei volte a settimane, descrivendo pertanto, un ruolo diverso da quello che la giurisprudenza richiedeva, secondo la Corte d’Appello, ossia che l’adottato maggiorenne sia inserito di fatto in un contesto familiare o para familiare dell’adottante.
➡️ La Corte di Cassazione tuttavia, ritenendo fondato il ricorso della nonnina e evidenziando il fatto che ormai l’istituto dell’adozione del maggiorenne, oltre che per la funzione tradizionale ereditaria, può essere utilizzato anche a formalizzare legami affettivo- solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo, accoglieva il ricorso, cassava il provvedimento impugnato e rimetteva la questione alla Corte di Torino.
Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.
E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
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Le parole sono un’arma potente, che costruiscono la realtà che abitiamo.
➡ Dare il nome alle cose è il primo passo per affermarne l’esistenza. Ed ecco, quindi, che le donne – con fatica – stanno riempiendo le professioni che solo poco tempo fa erano ambienti esclusivamente abitati da uomini. Ci sono le Presidenti, le Ministre, le Amministratrici delegate.
➡ Ma perché ci suona strano? Come non strano ci suona LA maestra?
➡ Perché forse e non del tutto implicitamente si vuole dire che quelle professioni sono tipicamente maschili e quindi le donne lì sono un’eccezione? Sono al posto di un uomo?
➡ Ecco. L’evoluzione e il progresso parte dal linguaggio. E questo discorso è strettamente connesso alla violenza contro le donne.
➡ Come viene raccontata la violenza? Si parla ancora di raptus di gelosia, di amore malato, di amore tossico che hanno portato gli uomini ad agire violenza contro le donne e finanche ad ucciderle.
➡ Ma l’Amore non uccide. Le parole, sì.
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Oggi parliamo di due minori che non vogliono passare parte delle vacanze con il papà, separato dalla loro mamma. Lui si arrabbia e, secondo la donna, inizia ad essere violento con lei e le figlie. Così la donna reagisce, percuotendolo e mordendolo sull’avambraccio destro. Lui la denuncia per percosse e inizia il processo.
 
Il Giudice di Pace la assolve perché il reato è stato commesso perché l’imputata era convinta dell’esistenza di un pericolo concreto per la sua incolumità e per quella delle figlie minori. L’uomo aveva avuto condotte aggressive ed era arrabbiato per le figlie; la donna aveva reagito istintivamente in una situazione critica, sotto un impulso emotivo, non per procurare un danno.
 
L’uomo proponeva ricorso per cassazione, lamentando l’insussistenza degli elementi costitutivi della legittima difesa.
 
Secondo la Cassazione (sent 36581/24) il ricorso è fondato: l’accertamento della legittima difesa va effettuato valutando le circostanze di fatto in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento e non successivamente, l’esistenza della proporzione e necessità di difesa. Inoltre, il Giudice non può prendere in considerazione gli stati d’animo e i timori personali dell’autore del fatto.
 
Secondo la Corte Suprema, il Giudice di Pace non ha valutato i parametri della proporzione e della necessità di difesa e ha ascritto l’azione dell’imputata a un impulso emotivo, riconducibile agli stati d’animo o timori personali, che invece sono irrilevanti ai fini dell’accertamento della legittima difesa.
 
La Cassazione annulla, quindi, con rinvio ad un nuovo Giudice per colmare la lacuna motivazionale.
 
Come giudicate l’atto del morso della donna? Non è eccessivo?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
#percosse #cassazione #ex #figli
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Il Tribunale di Torino ha confermato la legittimità dell’obbligo vaccinale per l’ammissione agli asili nido e alle scuole materne, affermando che tale requisito non viola né il diritto alla salute né quello alla privacy.
Dopo aver iscritto il proprio bimbo alla scuola materna, due genitori non depositavano però in segreteria il certificato aggiornato delle vaccinazione. Interpellati dalla segretaria, gli stessi opponevano il loro diritto a non sottoporre il loro bimbo alle vaccinazioni obbligatorie ed il Comune revocava l’iscrizione con la conseguenza che il bimbo veniva escluso dalla scuola materna.
I due genitori allora impugnavano la decisione del Comune ritenendo che fosse stato leso sia il diritto alla salute - inteso come diritto alla libertà di scelta in materia sanitaria - sia il diritto alla privacy.
Il Tribunale di Torino, però, respingeva tali argomentazioni, affermando che l’obbligo vaccinale è una misura di tutela collettiva che non solo protegge il singolo individuo, ma contribuisce alla creazione di una barriera immunologica che tutela la salute pubblica.
I genitori mantengono sempre la libertà di non vaccinare i propri figli ma non possono pretendere di far loro frequentare gli asili nido e le scuole materne.
L’obbligo vaccinale, inoltre, non rappresenta neppure una violazione della privacy, l’obbligo di trasparenza sullo stato vaccinale dei minori è giustificato dalla necessità di garantire ambienti sicuri per i più piccoli e per la comunità scolastica nel suo insieme.
Il Decreto Legge Lorenzin n. 119/2017 all’art. 3, infatti, ha introdotto l’obbligatorietà per l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia pubbliche o private del vaccino Esavalente (contenente l’anti-poliomielitica, l’anti-difterica, l’anti-tetanica, l’anti-epatite B, l’anti-pertosse, l’anti- Haemophilus influenza tipo b) e del vaccino MPRV (contenente l’anti-morbillo, l’anti-rosolia, l’anti-parotite e l’anti-varicella obbligatoria solo per i bimbi nati dopo il 1/1/2017).
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Separarsi e divorziare è un diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell`altro, in attuazione del diritto individuale di libertà sancito all’art. 2 Cost.!

Ne deriva che non deve risarcire l`ex coniuge chi si è sposato con l’idea di farlo «per prova», non credendo, fin dall`inizio, nell`indissolubilità del legame.

Ciascun coniuge con un atto unilaterale, può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. I coniugi, infatti, non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo "ius in corpus" – da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva – valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti dell`altro.

Ma iniziamo dall’inizio!
Dopo circa sei mesi dalla celebrazione delle nozze avvenuta nell’aprile 2010 con rito religioso, la donna chiedeva alla Sacra Rota di dichiarare la nullità del matrimonio, riferendo di non aver mai creduto al “per sempre”, ma di essersi sposata con l`intenzione di fare una "prova" .. insomma voleva verificare se il matrimonio potesse reggere…

Il marito, ignaro di questi “retro pensieri” dell’amata, si era invece sposato convinto nell’amore “eterno“.

Per la Sacra Rota non c’erano dubbi: il matrimonio era nullo!

Per la Corte d’Appello invece no! Le riserve mentali della donna non erano causa di nullità, il matrimonio era valido e solo il divorzio, avrebbe sciolto il vincolo.

Il marito, conclusa la separazione e il divorzio, citava la ex chiedendole i danni per colpa grave per avergli nascosto le sue “vere intenzioni”!

Ma la Cassazione è ferma: l`atto di impegno matrimoniale è rimesso alla libera e responsabile del singolo, quale espressione della piena libertà di autodeterminarsi al fine della celebrazione del matrimonio. Tale libertà non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare al proprio partner incertezze o paure circa la permanenza del vincolo matrimoniale.

E voi eravate convinti che fosse “per sempre”?
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