L’attuale assetto normativo che non consente alle donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) limita l’autodeterminazione a diventare madre ma non è manifestamente irragionevole e sproporzionato.
Ancora una volta la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate questa volta dal Tribunale di Firenze in data 4 settembre 2025, sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.
Una donna si era infatti rivolta al Centro procreazione assistita Demetra srl richiedendo di poter accedere alla PMA e a fronte del diniego ricevuto, la donna aveva proposto ricorso cautelare ante causam al Tribunale di Firenze, chiedendo in via principale di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, pertanto, di ordinare al Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo.
In via subordinata, aveva chiesto di sollevare questioni di legittimità costituzionale del medesimo articolo.
Ritenuto che la legge sulla PMA oggi contiene un divieto di accesso per le persone singole, il Tribunale di Firenze rimetteva la questione alla Corte Costituzionale che però ribadito che ad oggi il legislatore non avalla un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre e che quindi - di fronte a rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari - solo il legislatore può intervenire su tale assetto normativo.
Sarà la volta buona per il legislatore ? O continuerà a far finta di nulla?
La Corte di Cassazione con la decisione n. 12121/2025 ha affermato che “il genitore separato è tenuto a versare l’assegno al figlio ventenne, a maggior ragione se è una ragazza, se vivono al sud, dove le opportunità di lavoro sono più basse”.
La vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale di Ragusa che, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi, ha revocato l’assegno di mantenimento in favore della figlia, originariamente concesso in via provvisoria, poiché nel frattempo era divenuta maggiorenne.
Anche la Corte di Appello di Catania aveva confermato la revoca poiché la ragazza ormai ventenne non aveva provato di essere impegnata a studiare o a lavorare.
La madre adiva quindi la Cassazione che, invece, accogliendone il ricorso, ribadiva in modo molto approfondito che la legge, in punto diritto al mantenimento, non distingue tra figli minorenni e maggiorenni e che l’onere dei genitori non cessa automaticamente con il compimento dei 18 anni. Ciò che conta, ha ribadito la Corte è il raggiungimento dell’indipendenza economica da valutarsi con riferimento all’età, all’impegno nello studio o nel lavoro e al contesto sociale.
Gli Ermellini hanno inoltre precisato che nel valutare la situazione occorre tener conto delle esigenze, del sesso e della residenza dei figli: la figlia femminina nata e crescita al sud ha molte più difficoltà a trovare lavoro di un figlio maschio.
Inoltre, in materia di onere della prova, il padre che chiede la revoca del mantenimento deve provare le motivazioni del perché non è più dovuto - prova nel caso specifico non raggiunta dal padre.
Per tali ragioni la Corte di Cassazione cassava con rinvio alla Corte di Appello di Catania per il riesame della questione.
Voi cosa ne pensate? Ha ragione la Cassazione a richiamare l’attenzione dei giudici al sesso e al luogo di residenza dei figli?
Sul blog approfondisce la decisone la Dott.ssa Elisa Cazzaniga.
Il Tribunale di Modena, prima, e la Corte d’Appello di Bologna, successivamente, condannavano un ragazzo per il reato di indebito utilizzo di carta di credito, previsto dall’art. 493-ter c.p..
L’imputato presentava ricorso per cassazione sostenendo la non punibilità tra congiunti, prevista dall’art. 649 c.p.: l’indebito utilizzo della carta del padre avrebbe leso solo il patrimonio della persona offesa, senza coinvolgere beni giuridici ulteriori.
Invocava, poi, la scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), sostenendo che fosse abitualmente autorizzato all’uso della carta di credito paterna. Infine, il ricorrente lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p., rilevando che il danno arrecato ammontava a soli 30 euro.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure (Cass. 7651/25).
In particolare, con riferimento all’art. 649 c.p., secondo la Cassazione il reato di indebito utilizzo di carta di pagamento ha natura plurioffensiva: non si lede solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche l’affidabilità e la sicurezza delle transazioni economiche.
Per quanto riguarda la scriminante del consenso, il fatto che l’imputato fosse in possesso della carta e del relativo codice non dimostrava la sussistenza di un consenso attuale del padre al suo utilizzo. Anzi, è stato evidenziato che il figlio aveva utilizzato la carta per prelevare denaro per acquistare sostanze stupefacenti: il consenso del titolare della carta non può estendersi a finalità illecite.
Infine, la Corte ha evidenziato che la valutazione della particolare tenuità del fatto non può basarsi solo sull’entità del danno, ma deve tenere conto anche delle modalità della condotta: l’imputato aveva utilizzato la carta di credito per acquistare droga e, al momento del prelievo, si trovava in stato di detenzione domiciliare.
Cosa pensate di questa decisione? Scrivetelo nei commenti!
Post scritto da @avvcrespi
Sul conto cointestato sul quale confluisce solo lo stipendio del marito può prelevare senza limiti la moglie anche se non lavora, e se i prelievi servono per mantenere la famiglia può prelevare anche oltre il 50% dell’importo totale.
Il caso: dopo diversi anni di matrimonio nel corso del quale nascevano ben sette figli, una donna dedita esclusivamente alla famiglia decideva di porre fine all’unione a causa delle ripetute violenze subite.
Durante la trattativa l’uomo si allontanava da casa pur sapendo di essere l’unico a lavorare e per mesi interrompeva di versare il necessario per mantenere la famiglia, con l’idea di giungere velocemente ad un accordo.
La donna però bonificava in più riprese delle somme dal conto corrente cointestato per un totale di €42.000 (su €70,0.000 iniziali) al proprio conto e così provvedeva alla famiglia e agiva in giudizio per la separazione chiedendo l’addebito.
Ritenendo fossero solo suoi i soldi sul conto, l’uomo accusava la moglie di averlo “derubato” e agiva in Tribunale chiedendo la restituzione dei soldi prelevati e la condanna della moglie per non aver acconsentito a portare avanti le trattative!
Ma il Tribunale di Milano non ha dubbi: con la sentenza n. 3810 pubblicata il 10 maggio 2025, ha respinto le domande dell’uomo chiarendo che la cointestazione di un conto corrente fa presumere la contitolarità delle somme giacenti sul conto salva la prova contraria e che le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell`obbligo di contribuzione di cui all`art. 143 c.c., che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato, non determinano alcun diritto al rimborso.
Ogni coniuge, infatti, contribuisce alla vita familiare in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro anche domestico . Ne consegue che la maggiore contribuzione in termini di denaro di uno dei coniugi alle spese familiari può essere coerente con la circostanza che - per scelta dei coniugi - la moglie non lavori perché dedicata alle incombenze domestiche ed alla cura dei numerosi figli.
L’uomo veniva quindi condannato alle spese di lite!
La presunzione di paternità non opera per il semplice fatto della procreazione da donna coniugata; tale presunzione è infatti superata se al momento della registrazione della nascita la madre dichiari il figlio come naturale.
Ne consegue che la donna, in caso di mancato riconoscimento da parte del genitore biologico, può intraprendere l`azione per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale di persona diversa dal marito senza che sia necessario il disconoscimento da parte del marito, ai sensi dell`art. 235 c.c.
Il caso: in costanza di matrimonio una donna siciliana intratteneva una relazione extraconiugale e rimaneva incinta. Al momento della nascita della figlia la donna - sicura che la bimba non fosse del marito - la dichiarava al Comune di Modica come figlia naturale e le attribuiva il proprio cognome.
A fronte del diniego al riconoscimento da parte del padre biologico, la donna iniziava l’azione per il riconoscimento giudiziale della paternità.
Il padre biologico eccepiva la necessità di procedere prima con il disconoscimento della paternità del marito vista l’operatività della presunzione in costanza di matrimonio.
Ma Il Tribunale di Ragusa, dichiarava la minore figlia del padre naturale con conseguente obbligo di mantenimento e il rimborso delle spese per il periodo dalla nascita alla notifica della citazione. Visto il comportamento paterno, affidava la bimba in via esclusiva alla madre, e viste alla di lei presenza.
L’uomo non accettava la decisione e depositava appello che però veniva rigettato e ricorso in Cassazione ma gli Ermellini dichiaravano il ricorso inammissibile.
La minore, infatti, seppur nata in costanza di matrimonio, non era stata denunciata dalla madre come figlia del marito, così disattendendosi la presunzione di paternità tanto è vero che la bambina aveva assunto il cognome materno.
La non operatività della presunzione di cui all`art. 232 c.c., di concepimento
nell`ambito del matrimonio già deriva dall`avere il bambino assunto il cognome
della madre (art.262 c.c.).
➡️I nonni che non hanno coltivato un rapporto con i nipoti non hanno diritto ad incontrarli.
È questo il principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12317/2025 pubblicata in data 9 maggio 2025.
➡️Con questa ordinanza, la Suprema Corte ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello che aveva autorizzato gli incontri tra un minore e i nonni paterni, nonostante un rapporto inesistente e pregresse tensioni familiari.
➡️Il caso nasce da un ricorso presentato dalla madre del minore, che si era opposta alle visite con i nonni, ritenendole dannose per l’assenza di un legame affettivo e per comportamenti gravi tenuti da questi ultimi in passato.
➡️ La Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo un principio fondamentale: il diritto dei nonni non è assoluto.
L’art. 317 bis c.c. riconosce la possibilità per gli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti, ma solo se ciò risponde all’interesse superiore del minore.
➡️Non basta che la frequentazione non arrechi pregiudizio. Serve qualcosa in più:
- un beneficio concreto e positivo per il bambino,
- un bisogno affettivo reale,
- la capacità dei nonni di instaurare (o recuperare) un legame sano ed equilibrato,
- l’assenza di forti conflitti familiari che possano danneggiare il minore.
➡️ La sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione per una nuova valutazione conforme a questi principi.
#NonniENipoti #InteresseDelMinore
🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Maria Zaccara: un click sul link in bio ed uno su Blog.
L’ultimo box domande è stato caratterizzato da molteplici messaggi carichi di rivendicazioni, rabbia e frustrazione nei confronti degli ex.
Ho cercato di accogliere tutto il vostro dolore dando però anche indicazioni per trasformare il dolore in possibilità di cambiamento.
Per poter accogliere tutto il nuovo che la vita ci offre, dobbiamo infatti cercare di perdonare.
Come avvocato cerco sempre di rilevare l’importanza di tenere separato l’aspetto rivendicativo da quello della giusta difesa dei diritti lesi.
Momento molto importante poiché i due aspetti non sempre coincidono.
Il diritto di difesa non ha nulla a che vedere con la vendetta.
Ci pensiamo sopra quando dobbiamo decidere se contattare o meno un legale per agire contro l’ex?
Valutiamo se è la rabbia e la frustrazione che ci fa agire o una effettiva lesione di un diritto?
Un’azione intrapresa solo per vendetta, fa più male a chi la inizia rispetto a chi la subisce.
Parola di avvocato!
#avvdinella
Adozione Piena: Quando l`Immaturità Genitoriale Impedisce la Tutela dei Figli 💔
La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale secondo cui il giudice deve dichiarare lo stato di adottabilità di un minore e recidere i legami con i genitori biologici quando questi sono così immaturi da non comprendere i bisogni del figlio e il mantenimento dei legami sarebbe dannoso per il suo sviluppo.
Questa decisione è stata espressa nella recentissima ordinanza n. 12032, emessa il 7 maggio 2025 all’esito di un procedimento che trae origine da una sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma, confermata poi dalla Corte d`Appello, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di un minore a causa dell`incapacità e immaturità genitoriale.
I giudici avevano accertato che i genitori erano privi delle competenze minime per accudire il figlio. Il padre, in particolare, presentava un basso livello cognitivo e difficoltà psicologiche che gli impedivano di comprendere le esigenze del bambino. Anche il successivo collocamento del minore in comunità - prima con la madre e poi in una comunità per soli minori - aveva evidenziato la mancanza di un legame significativo con i genitori.
La Corte d`Appello, confermando la decisione di primo grado, aveva sottolineato come il minore non mostrasse attaccamento verso i genitori e come il tentativo di mantenere un legame con la famiglia d`origine sarebbe stato "troppo difficile e confusivo" per lui.
Il padre ricorreva in Cassazione, lamentando la mancata considerazione dell`adozione "mite" (art. 44 l. 184/83). La Cassazione però rigettava il ricorso, chiarendo tale istituto non è applicabile in casi di accertato stato di abbandono.
La Corte ha ribadito che il diritto del minore a crescere nella propria famiglia è fondamentale, ma che l`adozione può essere una risorsa quando non ci sono alternative praticabili.
⚖️ In conclusione, la Cassazione conferma che l`adozione è extrema ratio, ma sottolinea la necessità di considerare tutte le opzioni per tutelare al meglio il minore.
#adozione #dirittiminorili #famiglia #cassazione #minori #tutelaminori #genitorialità #diritto #sentenza #giustizia #adozionemite
In casi particolari e a determinate condizioni, il Giudice può disporre l’assegnazione parziale, individuando come habitat domestico solo una porzione (o un piano) della casa familiare, se la casa è molto grande, se la conflittualità genitoriale è lieve, se tale soluzione agevola la condivisione della genitorialità e non incide sui titoli di proprietà.
Il caso di oggi: divenuta maggiorenne la terza figlia (le prime due avevano raggiunto l’autonomia economica e lasciato la casa familiare) un papà chiedeva la riduzione dell`assegno di mantenimento e la revoca dell’assegnazione della casa in comproprietà con la ex moglie, anche tenuto conto che la ex nel frattempo si era risposata.
Poiché il Tribunale di Reggio Calabria respingeva le sue domande, l’uomo faceva reclamo alla Corte d`Appello che accoglieva parzialmente le domande dell’uomo: il mantenimento veniva confermato ma - dopo avere appurato che l’abitazione familiare si sviluppava su due piani - confermava l’assegnazione solo in relazione al piano terra e assegnava il primo piano al padre!
A fronte di una tale decisione la madre adiva la Cassazione chiedendo di poter riavere il godimento dell’intera casa familiare e vinceva!
La Cassazione ha chiarito che in tema di assegnazione della casa familiare, anche qualora il giudice decida, previa valutazione del miglior interesse dei figli, di assegnarne solo una porzione (o una singola unità abitativa), il potere di imporre limiti al diritto di proprietà si esercita pur sempre nell’ambito dato dall`art. 337 sexies c.c., trattandosi di un provvedimento in favore del genitore convivente con i figli e nell`interesse di costoro.
Insomma, nessun provvedimento di assegnazione di porzioni di casa familiare può rendersi in favore del genitore non collocatario, restando estranea ogni valutazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori.
Nel caso di specie la casa non era del padre ma in comproprietà con la madre e il padre non era collocatario della figlia! Il giudice della separazione non può incidere sui diritti di proprietà.
I genitori hanno il dovere di sorveglianza in ambito digitale sul comportamento dei figli sui Social Network e tale sorveglianza deve essere concreta, costante e proporzionata alle fragilità del minore.
Il Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 879 del 4 marzo 2025, ha stabilito che, anche se un minore è incapace di intendere e di volere, i genitori possono essere condannati al risarcimento per i danni provocati dalle sue azioni.
Nel caso in questione, una ragazza con lieve ritardo intellettivo aveva creato falsi profili social per insultare e diffamare una compagna di classe, pubblicando anche contenuti sessualmente espliciti che avevano causato nella vittima un lungo periodo di ansia e profonda umiliazione.
L’autrice degli atti non veniva ritenuta penalmente imputabile stante la di lei situazione di fragilità, ma i di lei genitori venivano condannati a pagare 15.000 euro di risarcimento alla vittima.
Secondo il Tribunale, i genitori non erano riusciti a dimostrare di non aver potuto impedire il fatto (art. 2047 c.c.).
Vero che avevano attivato controlli, incaricato educatori, specialisti, e richiesto le credenziali dei profili social, ma non avevano impedito la creazione dei profili fake.
Questo è bastato per parlare di “deficit nella vigilanza”. La legge italiana impone un dovere di sorveglianza attiva, soprattutto in presenza di soggetti incapaci.
Non basta dimostrare impegno generico, bisogna provare che non c`erano strumenti ulteriori per evitare il danno. La sentenza richiama l’importanza di una vigilanza attenta e costante sui minori online, soprattutto quando vi siano fragilità cognitive.
E voi concordate con i Giudici di Brescia? Noi genitori siamo sempre responsabili per il comportamento dei nostri figli?
#ResponsabilitàGenitoriale #Cyberbullismo #TutelaMinori
Dalle domande ricevute oggi è emerso come spesso quando i genitori si separano ai ragazzi sembra che questi subiscano ogni decisone e non abbiano voce in capitolo.
I genitori decidono dove vivrai, con chi starai, con chi starà il tuo cane cosa cambierà...E tu? Rimani li, in mezzo, magari con mille domande e poche risposte.
Ma la verità è che anche tu hai voce. Hai il diritto di sapere, di capire e - sì - anche di dire come ti senti e cosa vorresti.
Non è solo una cosa da grandi. È la tua vita, ed è giusto che tu possa partecipare alle decisioni che ti riguardano.
Informarsi è il primo passo. Sapere quali sono i tuoi diritti durante una separazione ti dà la possibilità di affrontare tutto con più forza, più consapevolezza, più libertà.
Parlare di questi argomenti è certamente difficile ma cercare risposte, farsi domande, confrontarsi con genitori o professionisti è già un modo per iniziare a prenderti cura di te.
I ragazzi hanno diritto di esprimere i loro desideri e di essere ascoltati e meritano delle spiegazioni.
#separazione#genz#domande#diritti
Il partner violento contro l’altro non è un buon genitore e quindi perde l’affido dei figli anche se in sede penale il procedimento è stato archiviato.
Lo chiarisce la Cassazione con l’ordinanza n. 7409 pubblicata il 20 marzo 2025, in assoluta conformità della Convenzione di Istanbul e della Riforma Cartabia con la quale viene confermato l’affido super-esclusivo dei figli alla madre disposto dal Tribunale di Castrovillari e confermato dalla Corte d’Appello di Catanzaro.
➡️ Il Tribunale in primo grado, infatti, aveva affidato in via super-esclusiva i tre figli minori alla madre, a seguito di accertamento tramite Servizi Sociali delle condizioni di vita dei minori, CTU sulle capacità genitoriali e ascolto dei minori.
➡️ A tale decisione si era pervenuti poiché erano stati accertati plurimi comportamenti violenti dell’uomo nei confronti della moglie ai quali avevano assistito i figli.
➡️ Anche la Corte d’Appello aveva confermato l’affido super-esclusivo ritenendo irrilevante la circostanza che il procedimento penale a carico dell’uomo fosse stato archiviato.
➡️ La Cassazione adita dal padre, rigettava il di lui ricorso chiarendo che il genitore che con il suo comportamento costringe il figlio ad assistere ad atti di violenza sull`altro genitore o comunque aggressivi, lede il diritto del bambino a vivere in un ambiente sano ed armonioso; e, nel caso in cui i comportamenti violenti e/o aggressivi siano accertati, il giudice civile deve adottare misure idonee a proteggere le vittime dalla possibile reiterazione di questi comportamenti, e da contatti con un genitore inadeguato.
➡️ Nel caso di specie, l’ affidamento super-esclusivo dei figli è stata ritenuta una modalità di tutela dei minori vittime di violenza assistita.
Un uomo agiva contro la ex compagna al fine di vederla condannata al pagamento, in suo favore, della somma di euro 20.000,00 riferendo di averla di fatto mantenuta per tutti i tre anni della convivenza: avrebbe pagato la spesa, le bollette, il mutuo della casa, dei mobili per la casa ed anche versato 10.000,00 per l`acquisto della di lei auto nuova.
Lui, infatti, aveva un lavoro mentre la compagna era tirocinante psicologa in ospedale e non percepiva alcuno stipendio.
Finita la relazione, l’uomo tornava dalla propria madre non avendo altra abitazione e pretendeva la restituzione di almeno €20.000,00 per quanto versato con bonifici alla donna e da lei utilizzati per il mutuo e l’anticipo auto.
La donna non compariva in causa e il Tribunale di Brescia la condannava a pagare la somma di euro 12.000 oltre interessi legali.
Contro tale decisione la donna, però, faceva appello affermando che tutti i versamenti di danaro eseguiti durante la convivenza fossero irripetibili in quanto eseguiti in adempimento di un`obbligazione naturale: lui guadagnava €1700 e di media contribuiva a €650,00 al mese! Non avrebbe contribuito uguale se fossero stati in locazione?
La Corte d`appello di Brescia, pertanto, riformava la sentenza e rigettava la domanda di rimborso dell’uomo.
Adita la Cassazione, l’uomo lamentava che i suoi versamenti avevano arricchito la ex e impoverito lui. La Cassazione però ribadiva li principio per cui l`attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l`adempimento di un`obbligazione naturale e quindi è irripetibile; a meno che li giudice di merito, ad esito di un giudizio ritenga che l`attribuzione medesima non sia adeguata alle circostanze e sproporzionata all`entita del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens.
Nel caso di specie il versamento dei €650,00 mensili non potevano ritenersi eccessivi e sproporzionali!
Nessun obbligo di restituzione a suo favore ma anzi la condanna alle spese di lite!
Anche le minorenni possono ricorrere alla crioconservazione degli ovuli (se il medico dà l’ok)
La legge lo consente e lo conferma: in Italia anche le ragazze minorenni possono preservare la propria fertilità attraverso la crioconservazione, purché vi sia la prescrizione ovvero il consenso medico e, nei casi previsti, anche quello dei genitori.
Ecco alcuni dettagli legali di una pratica ancora poco conosciuta: la crioconservazione degli ovuli.
Per motivi oncologici ovvero anche solo per programmare posticipando la propria gravidanza (cd. social freezing), tale pratica è sempre più richiesta.
Una tutela della libertà riproduttiva che riguarda anche le donne single e che, sebbene a pagamento fuori dai casi sanitari, rappresenta un’opportunità concreta per molte.
Informarsi è potere.
#Fertilità #Crioconservazione #Minorenni #Donne #Diritti #SocialFreezing #PMA #avvdinella
La Corte di Cassazione torna ad esprimersi sulla violenza economica rilevante per il reato di maltrattamenti (sent. n. 12444/25).
Ha annullato l’assoluzione disposta dalla Corte d’appello di Potenza per un caso di presunti maltrattamenti in famiglia. E decisiva è stata la mancata considerazione della violenza economica esercitata dall’imputato sulla moglie: controllo delle spese, chiusura dei conti, divieto di lavorare, minacce per impedirle l’indipendenza, la pretesa di fare acquisti solo in sua presenza.
L’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente (quando i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica) e l’imporre unilateralmente le scelte economiche e organizzative della famiglia, costituiscono atti di violenza o di prevaricazione psicologica e integrano il delitto di maltrattamenti in famiglia.
Finalmente la Cassazione dice a chiare lettere che anche la vessazione economica, se reiterata e accompagnata da umiliazioni, può integrare il reato di cui all’art. 572 c.p..
Un altro passo importante compiuto nella lunga lotta contro la violenza domestica.
Un applauso alla Cassazione.
Post scritto da @avvcrespi
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#maltrattamenti #violenzaeconomica
I genitori che anche per finalità educative, pongono in essere in modo abituale condotte violente ed aggressive nei confronti dei loro figli minori compiono il reato di maltrattamenti su minori, ma il Giudice può anche decidere di non sospenderli dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
Lo ha chiarito la Corte costituzionale dichiando l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, del Codice penale, nella parte in cui prevede che il delitto di maltrattamenti in famiglia commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta in automatico la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla.
Il caso: il Tribunale di Siena aveva sollevato la questione alla Corte allorquando si era trovato a giudicare della responsabilità penale di due genitori che avevano utilizzato metodi educativi connotati dall’uso abituale di violenze con gravi pregiudizi per gli interessi morali e materiali dei figli.
Durante il processo, infatti, era emerso che tutto il nucleo era stato preso in carico dai Servizi Sociali ed i genitori avevano portato avanti un percorso psicologo con impegno tale che il nucleo si era ricomposto e il
Tribunale si era convinto che non sarebbero più avvenuti episodi di maltrattamento.
In questa situazione di rinnovata armonia, la automatica applicazione della pena accessoria di sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, con la conseguente necessità di nominare un tutore ai figli, appariva suscettibile di produrre effetti negativi sui minori.
Posto che l’interesse del minore deve essere sempre perseguito, il Tribunale di Siena sollevava la questione alla Corte che ne accoglieva i profili di illegittimità riconoscendo ai Giudici la possibilità di decidere sulla opportunità o meno di adottare la sospensione dalla responsabilità genitoriale valutando caso per caso.
E voi cosa ne pensate? Credete sia possibile imparare ad essere dei genitori diversi? Quanto di impariamo dagli errori?
➡️Con la recente Ordinanza n. 10021/2025 pubblicata in data 16 aprile 2025 la Suprema Corte ha confermato che l’addebito della separazione a carico di uno dei coniugi può essere pronunciato anche sulla base di indizi purchè questi siano chiari precisi e concordanti. Anzi, il ricorso a elementi presuntivi è quasi un percorso probatorio obbligato per il giudice che è chiamato a stabilire la verità processuale in materia di rapporti familiari. Basta, poi, un solo episodio di percosse a far scattare l’addebito.
➡️Nel caso in esame, il marito aveva chiesto la separazione dalla moglie, accusandola di comportamenti che avrebbero compromesso il rapporto. La moglie, a sua volta, aveva denunciato violenze fisiche, supportate da certificati medici, ma la Corte d’Appello aveva ritenuto tali prove insufficienti per giustificare l’addebito.
➡️Ma la Cassazione ha chiarito che:
▪️ Le violenze fisiche, anche se limitate a un singolo episodio, sono sufficienti a compromettere l’equilibrio relazionale della coppia.
▪️ Gli indizi, come le testimonianze indirette e le relazioni dei Servizi sociali, sono cruciali per ricostruire la verità dei fatti.
▪️ Un episodio di percosse, anche lieve, può essere sufficiente per dichiarare l’addebito della separazione.
➡️Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.
#separazione #addebito #violenza #indizi
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Secondo il Rapporto “Omicidi volontari consumati in Italia”, realizzato dal Servizio Analisi Criminale della Criminalpol, la percentuale di minorenni autori di un omicidio è quasi triplicata in un anno. Inoltre, è quasi raddoppiata la percentuale di minorenni uccisi.
Va ricordato che la criminalità minorile è prevalentemente legata ai reati contro il patrimonio, come furti o rapine e alle violazioni della normativa in materia di droga. Tra i reati contro la persona, invece, prevalgono le lesioni personali volontarie.
In Italia un ragazzo può essere processato e privato della libertà dai 14 anni e il sistema di giustizia minorile è diverso da quello degli adulti: l’obiettivo principale non è punire, ma rieducare e recuperare il giovane.
Per questo motivo sono previste misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali e la messa alla prova. Quest’ultima consente al minore di dimostrare di poter cambiare: il processo viene sospeso e il ragazzo segue un percorso personalizzato con attività socialmente utili, formazione e supporto psicologico. Se lo completa con successo, il reato viene “cancellato” e il procedimento si estingue, evitando che il minore venga stigmatizzato.
L’aumento degli 0micidi minorili spinge molti a chiedere pene più severe, mentre altri ritengono che la soluzione sia potenziare le misure educative per prevenire la recidiva.
Voi cosa ne pensate? Il carcere è la soluzione o servono alternative più efficaci? Scrivetelo nei commenti!
Post scritto da @avvcrespi
#minori #carcere
La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 9392/2025 fornisce importanti chiarimenti in merito partendo dal principio generale che il genitore collocatario al fine di chiedere il rimborso, non è tenuto a chiedere ed ottenere il consenso preventivo dell`altro genitore per tutte le spese.
👉 Per le spese che rientrano nell`ordinaria amministrazione e hanno carattere di prevedibilità e ripetitività (ad esempio, spese scolastiche o mediche di routine), non è necessario il previo accordo.
👉 L`accordo tra i genitori è invece richiesto per le spese che, per la loro rilevanza, imprevedibilità o entità, esulano dalle comuni necessità della prole.
Tuttavia, anche in assenza di un accordo preventivo, il genitore che ha sostenuto le spese può cercare di richiederne il rimborso pro quota all`altro e in caso di opposizione il giudice è chiamato a valutare: la rispondenza delle spese all`interesse preminente del minore e la sostenibilità delle spese in relazione alle condizioni economiche dei genitori.
La pronuncia della Cassazione trae origine da un procedimento in cui una madre richiedeva il rimborso delle spese straordinarie sostenute per i figli relative all’equitazione e alle gare effettuate.
Il Tribunale di Napoli aveva accolto parzialmente la domanda di rimborso della donna e la Corte d`Appello aveva successivamente riformato la decisione riducendo l’importo a carico del padre in quanto alcune spese di cui veniva chiesto il rimborso non erano facilmente riconducibili ai figli. Il padre ricorreva in Cassazione ma il suo ricorso veniva rigettato sulla base dei principi sopra esposti, contemperando le esigenze economiche dei genitori con il primario interesse dei figli.
Figura centrale per queste questioni? Il giudice! che deve dirimere eventuali controversie, valutando la congruità delle spese e la loro aderenza al benessere della prole.
#spesestraordinarie #rimborso #consenso
La suocera ha diritto a vedersi restituita dall’ex nuora la somma a lei bonificata per permetterle, all’epoca coniugata con il figlio, di comprare la casa familiare.
La ex nuora, infatti, aveva ricevuto due bonifici per la somma totale di €23.000,00 con causale “prestito infruttifero” e li aveva incassati senza contestare la causale del pagamento, per versare qualche mese dopo la caparra per bloccare la casa dei sogni!
Venuta meno la coppia, la ex suocera chiedeva la restituzione della somma e solo allora la donna sollevava la contestazione del titolo del pagamento deducendo che le somme le erano state corrisposte a titolo risarcitorio per gli ingiustificati prelevamenti di denaro da parte del figlio dell’attrice, dal conto cointestato, in costanza di matrimonio, prelievi destinati a soddisfare i di lui interessi personali e non familiari.
A dire dell’ex nuora, nessun diritto poteva vantare la suocera alla restituzione dei €23.000,00 che di fatto erano stati utilizzati dal figlio non per la casa!
Il Tribunale però non aveva dubbi: la donna aveva piena consapevolezza dello scopo per cui era avvenuta l’elargizione delle somme, dalla causale inserita nel bonifico, dalla vicinanza temporale tra prestito e acquisto della casa e dai messaggi WhatsApp.
Gli asseriti prelievi compiuti dall’allora marito sul conto cointestato, alcuni dei quali anche con il bancomat intestato a lei non fanno sorgere in capo alla convenuta alcun diritto di ripetizione considerato che il marito poteva disporre liberamente delle somme versate sul conto comune, come avrebbe potuto fare anche la moglie. L`assunto del prelievo abusivo sul conto mediante uso clandestino della carta bancomat della ex nuora, in mancanza di accertamento giudiziale del fatto penalmente rilevante, assume i tratti della mera illazione, giuridicamente irrilevante.
È legittimo registrare senza autorizzazione una conversazione privata anche con colleghi sul posto di lavoro se è necessaria al legittimo esercizio del diritto di difesa in un giudizio, a prescindere dalla esatta coincidenza soggettiva tra i conversanti e le parti processuali.
L’utilizzazione di tale registrazione deve però avvenire solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo di tempo strettamente necessario.
Il caso: un medico donna aveva registrato senza autorizzazione una conversazione privata, intercorsa con un collega in ambiente e orario di lavoro, allo scopo di utilizzarne il contenuto come prova contro il suo Direttore che aveva denunciato per abuso di ufficio e omissione di atti d`ufficio commessi in suo danno.
Depositata la registrazione negli atti del procedimento penale, la Commissione disciplinare dell’Ordine dei medici aveva sanzionato la donna ritenendo che fosse stato posto in essere un comportamento scorretto, in violazione del dovere di rispetto reciproco e fiducia nei confronti di un collega.
La donna impugnava questa sanzione fino in Cassazione che chiariva che non è illecita la registrazione d`una conversazione tra presenti in mancanza dell`altrui consenso, se è necessaria al legittimo esercizio del diritto di difesa in giudizio anche se tale giudizio non è ancora iniziato purché l`utilizzazione di tale registrazione avvenga solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo di tempo strettamente necessario.
E tu hai mai registrato un tuo collega per precostituirti una prova in giudizio?