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GLI ARCHIVI

Da Instagram

Se i due amici non hanno stato convenuto un termine di fine contratto, il comodatario è tenuto a restituire l’immobile libero da persone e cose non appena il comodante o il suo erede lo richiede.

In caso di condivisione della casa tra due amici, alla morte della proprietaria il contratto viene meno nel momento in cui l’erede chiede la liberazione dell’immobile e non può trovare accoglimento la pretesa dell’amico della de cuis di applicazione della legge Corinna sulle convivenze!

Vero che l’art. 42 della legge Corinna prevede che in caso di morte del proprietario dell’immobile adibito a residenza comune il convivente superstite mantiene un diritto ad abitarvi per un periodo tra due e cinque anni, ma per l’applicazione di tale norma è richiesta una stabilità di vita condivisa.

Nel caso di cui trattasi, infatti, la relazione amorosa e la stabilità della convivenza tra l’uomo e la de cuius non era stata provata e non era mai stata dichiarata all’Ufficio anagrafe e pertanto non risultavano documentati i requisiti formali necessari ai fini del sorgere dei diritti di cui alle convivenze di fatto disciplinato dalla legge Cirinna.

Lo ha chiarito il Tribunale di Milano con la sentenza n. 4104/2025 pubblicato il 21 maggio 2025 al termine di un procedimento iniziato dalla madre della de cuius nei confronti dell’amico convivente della figlia morta senza lasciare testamento, stante il diniego dell’uomo di lasciare l’abitazione nonostante avesse ricevuto formale richiesta ex art 1810 cc di rilascio e di pagamento di tutte le utenze e spese condominiali del periodo.

Ne deriva che - una volta accertato che il contratto di comodato precario ha cessato i propri effetti per effetto della richiesta di restituzione del comodante ex art. 1810 c.c.- l’amico è stato condannato al rilascio dell’immobile, al pagamento degli oneri documentati di utilizzazione dell’immobile normativamente a carico del conduttore ex art. 1808 c.c e delle spese legali.

Cosa ne pensate? Qual’e il limite tra amicizia e amore?

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Se i due amici non hanno stato convenuto un termine di fine contratto, il comodatario è tenuto a restituire l’immobile libero da persone e cose non appena il comodante o il suo erede lo richiede.

In caso di condivisione della casa tra due amici, alla morte della proprietaria il contratto viene meno nel momento in cui l’erede chiede la liberazione dell’immobile e non può trovare accoglimento la pretesa dell’amico della de cuis di applicazione della legge Corinna sulle convivenze!

Vero che l’art. 42 della legge Corinna prevede che in caso di morte del proprietario dell’immobile adibito a residenza comune il convivente superstite mantiene un diritto ad abitarvi per un periodo tra due e cinque anni, ma per l’applicazione di tale norma è richiesta  una stabilità di vita condivisa. 

Nel caso di cui trattasi, infatti, la relazione amorosa e la stabilità della convivenza tra l’uomo  e la de cuius non era stata provata e non era mai stata dichiarata all’Ufficio anagrafe e pertanto non risultavano documentati i requisiti formali necessari ai fini del sorgere dei diritti di cui alle convivenze di fatto disciplinato dalla legge Cirinna. 

Lo ha chiarito il Tribunale di Milano con la sentenza n. 4104/2025 pubblicato il 21 maggio 2025 al termine di un procedimento iniziato dalla madre della de cuius nei confronti dell’amico convivente della figlia morta senza lasciare testamento, stante il diniego dell’uomo di lasciare l’abitazione nonostante avesse ricevuto formale richiesta ex art 1810 cc di rilascio e di pagamento di tutte le utenze e spese condominiali del periodo.

Ne deriva che - una volta accertato che il contratto di comodato precario ha cessato i propri effetti per effetto della richiesta di restituzione del comodante ex art. 1810 c.c.- l’amico è stato condannato al rilascio dell’immobile, al pagamento degli oneri documentati di utilizzazione dell’immobile normativamente a carico del conduttore ex art. 1808 c.c e delle spese legali. 

Cosa ne pensate? Qual’e il limite tra amicizia e amore?

Il 22 maggio 2025 la Corte Costituzionale ha sancito che i bambini nati in Italia da coppie di donne che hanno fatto ricorso alla fecondazione eterologa nei Paesi in cui è legale, possono essere riconosciuti alla nascita come figli di entrambe.

Una sentenza importantissima perché riconosce che la genitorialità non si fonda solo sul legame biologico, ma anche e soprattutto su un progetto condiviso e sulla volontà di assumersi responsabilità genitoriali.

Da qualche giorno in tutti i Comuni italiani le mamme “intenzionali” che hanno prestato consenso informato alla PMA, sono legittimate a chiedere di essere riconosciute come genitore al pari della madre biologica, ponendo fine all’obbligo di passare attraverso l’adozione in casi particolari.

Ne parlo sul settimanale F da oggi in edicola!

Grazie @sonolucadini Grazie@ilariaamatook

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Il 22 maggio 2025 la Corte Costituzionale ha sancito che  i bambini nati in Italia da coppie di donne che hanno fatto ricorso alla fecondazione eterologa nei Paesi in cui è legale, possono essere riconosciuti alla nascita come figli di entrambe. 

Una sentenza importantissima perché riconosce che la genitorialità non si fonda solo sul legame biologico, ma anche e soprattutto su un progetto condiviso e sulla volontà di assumersi responsabilità genitoriali. 

Da qualche giorno in tutti i Comuni italiani le mamme “intenzionali” che hanno prestato consenso informato alla PMA, sono legittimate a chiedere di essere riconosciute come genitore al pari della madre biologica, ponendo fine all’obbligo di passare attraverso l’adozione in casi particolari.

Ne parlo sul settimanale F da oggi in edicola!

Grazie @sonolucadini Grazie@ilariaamatook

Quando una persona subisce per anni insulti, minacce, percosse e umiliazioni in ambito familiare e viene costretta ad avere rapporti se$$uali, si pone un problema: i maltrattamenti sono un reato a sé o vengono “assortiti” nella violenza se$$uale?

La Cassazione ha fornito con la recente sentenza n. 15867/25 un principio di diritto importante: i maltrattamenti possono essere assorbiti nella violenza sessuale solo quando vi è una piena coincidenza tra le condotte, cioè quando gli atti lesivi sono esclusivamente strumentali alla violenza sessuale. Se, invece, le condotte hanno un’autonoma portata offensiva – per esempio umiliazioni sistematiche, percosse, minacce non legate all’atto se$$uale – allora i due reati concorrono.

In altre parole, non basta che i reati si svolgano nello stesso contesto: serve una vera e propria sovrapposizione funzionale e finalistica. In caso contrario, ogni condotta mantiene la sua autonomia e vengono puniti entrambi i reati.

Nel caso analizzato dalla Suprema Corte la donna era vittima da anni di una violenza domestica generalizzata, non riducibile al solo ambito se$$uale: una frattura costale provocata per motivi di gelosia (estranea a qualsiasi dinamica se$$uale) e continue minacce, come riferito dalla vittima e dai figli della coppia.

Pensate che quando la moglie si rifiutava di avere rapporti, doveva dormire nella vasca da bagno…

E voi cosa ne pensate? E’ giusto contestare e punire entrambi i reati?

Post scritto da @avvcrespi

Per leggere l’articolo completo, link in bio e poi un click su blog penale

#maltrattamenti #coniugi

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Quando una persona subisce per anni insulti, minacce, percosse e umiliazioni in ambito familiare e viene costretta ad avere rapporti se$$uali, si pone un problema: i maltrattamenti sono un reato a sé o vengono “assortiti” nella violenza se$$uale?
 
La Cassazione ha fornito con la recente sentenza n. 15867/25 un principio di diritto importante: i maltrattamenti possono essere assorbiti nella violenza sessuale solo quando vi è una piena coincidenza tra le condotte, cioè quando gli atti lesivi sono esclusivamente strumentali alla violenza sessuale. Se, invece, le condotte hanno un’autonoma portata offensiva – per esempio umiliazioni sistematiche, percosse, minacce non legate all’atto se$$uale – allora i due reati concorrono.
 
In altre parole, non basta che i reati si svolgano nello stesso contesto: serve una vera e propria sovrapposizione funzionale e finalistica. In caso contrario, ogni condotta mantiene la sua autonomia e vengono puniti entrambi i reati.
 
Nel caso analizzato dalla Suprema Corte la donna era vittima da anni di una violenza domestica generalizzata, non riducibile al solo ambito se$$uale: una frattura costale provocata per motivi di gelosia (estranea a qualsiasi dinamica se$$uale) e continue minacce, come riferito dalla vittima e dai figli della coppia.
 
Pensate che quando la moglie si rifiutava di avere rapporti, doveva dormire nella vasca da bagno…
 
E voi cosa ne pensate? E’ giusto contestare e punire entrambi i reati?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
Per leggere l’articolo completo, link in bio e poi un click su blog penale
 
#maltrattamenti #coniugi

Noi genitori abbiamo un compito difficilissimo: crescere uomini autentici, consapevoli, rispettosi, sensibili, capaci di accogliere i NO, di sentire il dolore senza frantumarsi, di piangere e disperarsi restando integri e saldi, di capire che l’amore non è controllo ma la possibilità più preziosa di essere la versione più bella di sé senza scomparire nell’altro.

Lo dobbiamo alla piccola Martina.

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Noi genitori abbiamo un compito difficilissimo: crescere uomini autentici, consapevoli, rispettosi, sensibili, capaci di accogliere i NO, di sentire il dolore senza frantumarsi, di piangere e disperarsi restando integri e saldi, di capire che l’amore non è controllo ma la possibilità più preziosa di essere la versione più bella di sé senza scomparire nell’altro.

Lo dobbiamo alla piccola Martina.

Il giudice, pronunciando la separazione personale dei coniugi, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Questo quanto previsto dall’art. 151 comma 2 c.c., ma quando, concretamente, è possibile chiedere l’addebito della separazione a carico del marito o della moglie che abbia violato i doveri coniugali?

La vicenda che fornisce l’occasione dell’approfondimento trae origine da una decisione del Tribunale di Ferrara che pronunciava la separazione personale dei coniugi con addebito al marito stanti le dichiarazioni di un teste che affermava di aver visto il marito in un incontro amoroso con un’altra donna, poi, oltretutto, divenuta la nuova compagna dello stesso.

Se i giudici di primo grado disattendevano la ricostruzione effettuata dall’uomo che faceva risalire l’insorgere della crisi a ben tre anni prima rispetto al tradimento, la Corte di Appello di Bologna, invece, riteneva provata la tesi dell’uomo e di conseguenza riformava la decisione del tribunale di Ferrara respingendo la domanda di addebito.

Arrivata la questione avanti la Corte di Cassazione, gli Ermellini con l’ordinanza n. 13858 del 24 maggio 2025, rigettavano il ricorso della donna ed affermavano che “in tema di separazione dei coniugi, va escluso l’addebito in caso di tradimento se nella coppia c’è già disaffezione. Spetta pertanto al richiedente dimostrare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio”.

E voi che ne pensate?

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Il giudice, pronunciando la separazione personale dei coniugi, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. 

Questo quanto previsto dall’art. 151 comma 2 c.c., ma quando, concretamente, è possibile chiedere l’addebito della separazione a carico del marito o della moglie che abbia violato i doveri coniugali?

La vicenda che fornisce l’occasione dell’approfondimento trae origine da una decisione del Tribunale di Ferrara che pronunciava la separazione personale dei coniugi con addebito al marito stanti le dichiarazioni di un teste che affermava di aver visto il marito in un incontro amoroso con un’altra donna, poi, oltretutto, divenuta la nuova compagna dello stesso. 

Se i giudici di primo grado disattendevano la ricostruzione effettuata dall’uomo che faceva risalire l’insorgere della crisi a ben tre anni prima rispetto al tradimento, la Corte di Appello di Bologna, invece, riteneva provata la tesi dell’uomo e di conseguenza riformava la decisione del tribunale di Ferrara respingendo la domanda di addebito. 

Arrivata la questione avanti la Corte di Cassazione, gli Ermellini con l’ordinanza n. 13858 del 24 maggio 2025, rigettavano il ricorso della donna ed affermavano che “in tema di separazione dei coniugi, va escluso l’addebito in caso di tradimento se nella coppia c’è già disaffezione. Spetta pertanto al richiedente dimostrare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio”.

E voi che ne pensate?

Il rapporto dei bambini con i nonni può essere una grande risorsa per tutti: i nonni, nella società attuale, sempre più frequentemente svolgono un ruolo educativo oltre che affettivo e pratico, permettendo ai genitori di poter lavorare e di condividere con loro i vari aspetti pratici e organizzativi.

Ecco allora che da oltre 10 anni il rapporto nonni-nipoti è tutelato a livello normativo. Il decreto legislativo 154/2013 ha infatti introdotto nel codice civile gli articoli 315 bis e 317 bis che sanciscono il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Attenzione però! Tale diritto però non è assoluto e incondizionato. Il giudice, infatti, per disporre il mantenimento dei rapporti, deve accertare il preciso vantaggio che deriva dalla partecipazione dei nonni al progetto educativo e formativo che riguarda i nipoti.

Ne ho parlato oggi sull’ultimo numero di F da oggi in edicola!

#avvdinella #dirittodifamiglia

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Il rapporto dei bambini con i nonni può essere una grande risorsa per tutti: i nonni, nella società attuale, sempre più frequentemente svolgono un ruolo educativo oltre che affettivo e pratico, permettendo ai genitori di poter lavorare e di condividere con loro i vari aspetti pratici e organizzativi.

Ecco allora che da oltre 10 anni il rapporto nonni-nipoti è tutelato a livello normativo. Il decreto legislativo 154/2013 ha infatti introdotto nel codice civile gli articoli 315 bis e 317 bis che sanciscono il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Attenzione però! Tale diritto però non è assoluto e incondizionato. Il giudice, infatti, per disporre il mantenimento dei rapporti, deve accertare il preciso vantaggio che deriva dalla partecipazione dei nonni al progetto educativo e formativo che riguarda i nipoti.

Ne ho parlato oggi sull’ultimo numero di F da oggi in edicola!

#avvdinella #dirittodifamiglia

Inefficaci per il terzo creditore e quindi revocabili, gli atti di disposizione del patrimonio tra coniugi anche se attuati in esecuzione di accordi presi in sede di separazione.

➡ All’interno di un accordo di separazione, quale contributo al mantenimento della moglie, i coniugi stipulavano un atto pubblico con cui il marito cedeva alla coniuge la proprietà dell’unico immobile di cui era proprietario;

➡ Tuttavia, alla data della stipula di tale atto il marito era già debitore nei riguardi di una società terza che, tra l’altro, sulla base di un decreto ingiuntivo aveva già, senza esito, notificato pignoramenti immobiliari;

➡ Secondo i giudici, di primo e secondo grado, tale cessione costituiva pregiudizio per le ragioni creditorie della società terza avendo il debitore sottratto dal proprio patrimonio la garanzia di soddisfacimento del credito altrui e vi era altresì, nel marito, la consapevolezza di stare arrecando un danno;

➡ Pertanto, i giudici dichiaravano esperibile l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e così inefficace, nei riguardi della società creditrice, tale atto di disposizione contenuto nelle condizioni di separazione.

E voi cosa ne pensate?

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Inefficaci per il terzo creditore e quindi revocabili, gli atti di disposizione del patrimonio tra coniugi anche se attuati in esecuzione di accordi presi in sede di separazione. 

➡ All’interno di un accordo di separazione, quale contributo al mantenimento della moglie, i coniugi stipulavano un atto pubblico con cui il marito cedeva alla coniuge la proprietà dell’unico immobile di cui era proprietario;

➡ Tuttavia, alla data della stipula di tale atto il marito era già debitore nei riguardi di una società terza che, tra l’altro, sulla base di un decreto ingiuntivo aveva già, senza esito, notificato pignoramenti immobiliari;

➡ Secondo i giudici, di primo e secondo grado, tale cessione costituiva pregiudizio per le ragioni creditorie della società terza avendo il debitore sottratto dal proprio patrimonio la garanzia di soddisfacimento del credito altrui e vi era altresì, nel marito, la consapevolezza di stare arrecando un danno;

➡ Pertanto, i giudici dichiaravano esperibile l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e così inefficace, nei riguardi della società creditrice, tale atto di disposizione contenuto nelle condizioni di separazione.

E voi cosa ne pensate?

L’attuale assetto normativo che non consente alle donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) limita l’autodeterminazione a diventare madre ma non è manifestamente irragionevole e sproporzionato.

Ancora una volta la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate questa volta dal Tribunale di Firenze in data 4 settembre 2025, sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.

Una donna si era infatti rivolta al Centro procreazione assistita Demetra srl richiedendo di poter accedere alla PMA e a fronte del diniego ricevuto, la donna aveva proposto ricorso cautelare ante causam al Tribunale di Firenze, chiedendo in via principale di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, pertanto, di ordinare al Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo.
In via subordinata, aveva chiesto di sollevare questioni di legittimità costituzionale del medesimo articolo.

Ritenuto che la legge sulla PMA oggi contiene un divieto di accesso per le persone singole, il Tribunale di Firenze rimetteva la questione alla Corte Costituzionale che però ribadito che ad oggi il legislatore non avalla un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre e che quindi - di fronte a rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari - solo il legislatore può intervenire su tale assetto normativo.

Sarà la volta buona per il legislatore ? O continuerà a far finta di nulla?

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L’attuale assetto normativo che non consente alle donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) limita l’autodeterminazione a diventare madre ma non è manifestamente irragionevole e sproporzionato.

Ancora una volta la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate questa volta dal Tribunale di Firenze in data 4 settembre 2025, sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.

Una donna si era infatti rivolta al Centro procreazione assistita Demetra srl richiedendo di poter accedere alla PMA e a fronte del diniego ricevuto, la donna aveva proposto ricorso cautelare ante causam al Tribunale di Firenze, chiedendo in via principale di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, pertanto, di ordinare al Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo.
In via subordinata, aveva chiesto di sollevare questioni di legittimità costituzionale del medesimo articolo. 

Ritenuto che la legge sulla PMA oggi contiene un divieto di accesso per le persone singole, il Tribunale di Firenze rimetteva la questione alla Corte Costituzionale che però ribadito che ad oggi il legislatore non avalla un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre e che quindi - di fronte a rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari -  solo il legislatore può intervenire su tale assetto normativo. 

Sarà la volta buona per il legislatore ? O continuerà a far finta di nulla?
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