logo dark logo light logo
  • CABINET D’AVOCATS DI NELLA
  • EQUIPE 
    • AVV. MARIA GRAZIA DI NELLA
    • AVV. ALICE DI LALLO
    • AVV. ANGELA BRANCATI
    • AVV. MARIA ZACCARA
    • AVV. CECILIA GAUDENZI
  • COLLABORATEURS
    • AVOCATS
    • MÉDIATEURS CULTURELS
  • COMPETENCES JURIDIQUES
    • DROIT ITALIEN DE LA FAMILLE
    • DROIT INTERNATIONAL DE LA FAMILLE
    • DROIT PATRIMONIAL DE LA FAMILLE
    • DROIT DES MINEURS
    • DROIT DES SUCCESSIONS ET DES DONATIONS
    • DROIT DES PERSONNES
    • DROIT DE L’IMMIGRATION
  • ADRESSES ET CONTACTS
  • FRANÇAIS
    • ITALIANO (ITALIEN)
Mobile Logo
  • ITALIEN
  • CABINET D’AVOCATS DI NELLA
  • EQUIPE 
    • AVV. MARIA GRAZIA DI NELLA
    • AVV. ALICE DI LALLO
    • AVV. ANGELA BRANCATI
    • AVV. MARIA ZACCARA
    • AVV. CECILIA GAUDENZI
  • COLLABORATEURS
    • AVOCATS
    • MÉDIATEURS CULTURELS
  • COMPETENCES JURIDIQUES
    • DROIT ITALIEN DE LA FAMILLE
    • DROIT INTERNATIONAL DE LA FAMILLE
    • DROIT PATRIMONIAL DE LA FAMILLE
    • DROIT DES MINEURS
    • DROIT DES SUCCESSIONS ET DES DONATIONS
    • DROIT DES PERSONNES
    • DROIT DE L’IMMIGRATION
  • ADRESSES ET CONTACTS
  • FRANÇAIS
    • ITALIANO (ITALIEN)

Author: Studio Legale Di Nella

Home  /  Articles posted by Studio Legale Di Nella

Sorry, no posts matched your criteria.

Ricerca gli articoli

ARTICOLI DI INTERESSE

    Sorry, no posts matched your criteria.

LE CATEGORIE

  • DIRITTI DEI MINORI (40)
  • DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE (1)
  • DIRITTO DELLE PERSONE (32)
  • DIRITTO DELLE SUCCESSIONI E DONAZIONI (10)
  • DIRITTO DI FAMIGLIA (349)
  • DIRITTO DI FAMIGLIA INTERNAZIONALE (2)
  • DIRITTO PATRIMONIALE DI FAMIGLIA (10)
  • DIRITTO PENALE (50)
  • LIFE COACH (7)
  • Non classifié(e) (0)
  • PSICOLOGIA (14)

GLI AUTORI

  •    Avv. Alice Di Lallo
  •    Avv. Angela Brancati
  •    Avv. Cecilia Gaudenzi
  •    Avv. Maria Grazia Di Nella
  •    Avv. Maria Zaccara
  •    Margherita Mingardo
  •    Studio Legale Di Nella
  •    Studio Legale Di Nella

I TAG

accordi addebito addebito della separazione adozione affidamento assegno assegno divorzile assegno mantenimento casa casa familiare cognome coniuge coniugi convivenza covid-19 diritto di famiglia diritto penale divorzio donne famiglia figli figlio genitori lavoro maltrattamenti maltrattamenti in famiglia mantenimento mantenimento figli matrimonio mediazione familiare minore minori nonni papà pma procreazione medicalmente assistita reato relazione riforma cartabia separazione spese straordinarie tradimento trasferimento violenza violenza domestica

GLI ARCHIVI

Da Instagram

Noi genitori abbiamo un compito difficilissimo: crescere uomini autentici, consapevoli, rispettosi, sensibili, capaci di accogliere i NO, di sentire il dolore senza frantumarsi, di piangere e disperarsi restando integri e saldi, di capire che l’amore non è controllo ma la possibilità più preziosa di essere la versione più bella di sé senza scomparire nell’altro.

Lo dobbiamo alla piccola Martina.

18 1
Open
Noi genitori abbiamo un compito difficilissimo: crescere uomini autentici, consapevoli, rispettosi, sensibili, capaci di accogliere i NO, di sentire il dolore senza frantumarsi, di piangere e disperarsi restando integri e saldi, di capire che l’amore non è controllo ma la possibilità più preziosa di essere la versione più bella di sé senza scomparire nell’altro.

Lo dobbiamo alla piccola Martina.

Il giudice, pronunciando la separazione personale dei coniugi, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Questo quanto previsto dall’art. 151 comma 2 c.c., ma quando, concretamente, è possibile chiedere l’addebito della separazione a carico del marito o della moglie che abbia violato i doveri coniugali?

La vicenda che fornisce l’occasione dell’approfondimento trae origine da una decisione del Tribunale di Ferrara che pronunciava la separazione personale dei coniugi con addebito al marito stanti le dichiarazioni di un teste che affermava di aver visto il marito in un incontro amoroso con un’altra donna, poi, oltretutto, divenuta la nuova compagna dello stesso.

Se i giudici di primo grado disattendevano la ricostruzione effettuata dall’uomo che faceva risalire l’insorgere della crisi a ben tre anni prima rispetto al tradimento, la Corte di Appello di Bologna, invece, riteneva provata la tesi dell’uomo e di conseguenza riformava la decisione del tribunale di Ferrara respingendo la domanda di addebito.

Arrivata la questione avanti la Corte di Cassazione, gli Ermellini con l’ordinanza n. 13858 del 24 maggio 2025, rigettavano il ricorso della donna ed affermavano che “in tema di separazione dei coniugi, va escluso l’addebito in caso di tradimento se nella coppia c’è già disaffezione. Spetta pertanto al richiedente dimostrare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio”.

E voi che ne pensate?

30 1
Open
Il giudice, pronunciando la separazione personale dei coniugi, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. 

Questo quanto previsto dall’art. 151 comma 2 c.c., ma quando, concretamente, è possibile chiedere l’addebito della separazione a carico del marito o della moglie che abbia violato i doveri coniugali?

La vicenda che fornisce l’occasione dell’approfondimento trae origine da una decisione del Tribunale di Ferrara che pronunciava la separazione personale dei coniugi con addebito al marito stanti le dichiarazioni di un teste che affermava di aver visto il marito in un incontro amoroso con un’altra donna, poi, oltretutto, divenuta la nuova compagna dello stesso. 

Se i giudici di primo grado disattendevano la ricostruzione effettuata dall’uomo che faceva risalire l’insorgere della crisi a ben tre anni prima rispetto al tradimento, la Corte di Appello di Bologna, invece, riteneva provata la tesi dell’uomo e di conseguenza riformava la decisione del tribunale di Ferrara respingendo la domanda di addebito. 

Arrivata la questione avanti la Corte di Cassazione, gli Ermellini con l’ordinanza n. 13858 del 24 maggio 2025, rigettavano il ricorso della donna ed affermavano che “in tema di separazione dei coniugi, va escluso l’addebito in caso di tradimento se nella coppia c’è già disaffezione. Spetta pertanto al richiedente dimostrare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio”.

E voi che ne pensate?

Il rapporto dei bambini con i nonni può essere una grande risorsa per tutti: i nonni, nella società attuale, sempre più frequentemente svolgono un ruolo educativo oltre che affettivo e pratico, permettendo ai genitori di poter lavorare e di condividere con loro i vari aspetti pratici e organizzativi.

Ecco allora che da oltre 10 anni il rapporto nonni-nipoti è tutelato a livello normativo. Il decreto legislativo 154/2013 ha infatti introdotto nel codice civile gli articoli 315 bis e 317 bis che sanciscono il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Attenzione però! Tale diritto però non è assoluto e incondizionato. Il giudice, infatti, per disporre il mantenimento dei rapporti, deve accertare il preciso vantaggio che deriva dalla partecipazione dei nonni al progetto educativo e formativo che riguarda i nipoti.

Ne ho parlato oggi sull’ultimo numero di F da oggi in edicola!

#avvdinella #dirittodifamiglia

60 3
Open
Il rapporto dei bambini con i nonni può essere una grande risorsa per tutti: i nonni, nella società attuale, sempre più frequentemente svolgono un ruolo educativo oltre che affettivo e pratico, permettendo ai genitori di poter lavorare e di condividere con loro i vari aspetti pratici e organizzativi.

Ecco allora che da oltre 10 anni il rapporto nonni-nipoti è tutelato a livello normativo. Il decreto legislativo 154/2013 ha infatti introdotto nel codice civile gli articoli 315 bis e 317 bis che sanciscono il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Attenzione però! Tale diritto però non è assoluto e incondizionato. Il giudice, infatti, per disporre il mantenimento dei rapporti, deve accertare il preciso vantaggio che deriva dalla partecipazione dei nonni al progetto educativo e formativo che riguarda i nipoti.

Ne ho parlato oggi sull’ultimo numero di F da oggi in edicola!

#avvdinella #dirittodifamiglia

Inefficaci per il terzo creditore e quindi revocabili, gli atti di disposizione del patrimonio tra coniugi anche se attuati in esecuzione di accordi presi in sede di separazione.

➡ All’interno di un accordo di separazione, quale contributo al mantenimento della moglie, i coniugi stipulavano un atto pubblico con cui il marito cedeva alla coniuge la proprietà dell’unico immobile di cui era proprietario;

➡ Tuttavia, alla data della stipula di tale atto il marito era già debitore nei riguardi di una società terza che, tra l’altro, sulla base di un decreto ingiuntivo aveva già, senza esito, notificato pignoramenti immobiliari;

➡ Secondo i giudici, di primo e secondo grado, tale cessione costituiva pregiudizio per le ragioni creditorie della società terza avendo il debitore sottratto dal proprio patrimonio la garanzia di soddisfacimento del credito altrui e vi era altresì, nel marito, la consapevolezza di stare arrecando un danno;

➡ Pertanto, i giudici dichiaravano esperibile l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e così inefficace, nei riguardi della società creditrice, tale atto di disposizione contenuto nelle condizioni di separazione.

E voi cosa ne pensate?

26 2
Open
Inefficaci per il terzo creditore e quindi revocabili, gli atti di disposizione del patrimonio tra coniugi anche se attuati in esecuzione di accordi presi in sede di separazione. 

➡ All’interno di un accordo di separazione, quale contributo al mantenimento della moglie, i coniugi stipulavano un atto pubblico con cui il marito cedeva alla coniuge la proprietà dell’unico immobile di cui era proprietario;

➡ Tuttavia, alla data della stipula di tale atto il marito era già debitore nei riguardi di una società terza che, tra l’altro, sulla base di un decreto ingiuntivo aveva già, senza esito, notificato pignoramenti immobiliari;

➡ Secondo i giudici, di primo e secondo grado, tale cessione costituiva pregiudizio per le ragioni creditorie della società terza avendo il debitore sottratto dal proprio patrimonio la garanzia di soddisfacimento del credito altrui e vi era altresì, nel marito, la consapevolezza di stare arrecando un danno;

➡ Pertanto, i giudici dichiaravano esperibile l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e così inefficace, nei riguardi della società creditrice, tale atto di disposizione contenuto nelle condizioni di separazione.

E voi cosa ne pensate?

L’attuale assetto normativo che non consente alle donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) limita l’autodeterminazione a diventare madre ma non è manifestamente irragionevole e sproporzionato.

Ancora una volta la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate questa volta dal Tribunale di Firenze in data 4 settembre 2025, sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.

Una donna si era infatti rivolta al Centro procreazione assistita Demetra srl richiedendo di poter accedere alla PMA e a fronte del diniego ricevuto, la donna aveva proposto ricorso cautelare ante causam al Tribunale di Firenze, chiedendo in via principale di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, pertanto, di ordinare al Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo.
In via subordinata, aveva chiesto di sollevare questioni di legittimità costituzionale del medesimo articolo.

Ritenuto che la legge sulla PMA oggi contiene un divieto di accesso per le persone singole, il Tribunale di Firenze rimetteva la questione alla Corte Costituzionale che però ribadito che ad oggi il legislatore non avalla un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre e che quindi - di fronte a rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari - solo il legislatore può intervenire su tale assetto normativo.

Sarà la volta buona per il legislatore ? O continuerà a far finta di nulla?

56 2
Open
L’attuale assetto normativo che non consente alle donne single di accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) limita l’autodeterminazione a diventare madre ma non è manifestamente irragionevole e sproporzionato.

Ancora una volta la Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate questa volta dal Tribunale di Firenze in data 4 settembre 2025, sull’articolo 5 della legge numero 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola di accedere alla PMA.

Una donna si era infatti rivolta al Centro procreazione assistita Demetra srl richiedendo di poter accedere alla PMA e a fronte del diniego ricevuto, la donna aveva proposto ricorso cautelare ante causam al Tribunale di Firenze, chiedendo in via principale di non applicare l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, e, pertanto, di ordinare al Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo.
In via subordinata, aveva chiesto di sollevare questioni di legittimità costituzionale del medesimo articolo. 

Ritenuto che la legge sulla PMA oggi contiene un divieto di accesso per le persone singole, il Tribunale di Firenze rimetteva la questione alla Corte Costituzionale che però ribadito che ad oggi il legislatore non avalla un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre e che quindi - di fronte a rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riflessi sociali sui rapporti interpersonali e familiari -  solo il legislatore può intervenire su tale assetto normativo. 

Sarà la volta buona per il legislatore ? O continuerà a far finta di nulla?

La Corte di Cassazione con la decisione n. 12121/2025 ha affermato che “il genitore separato è tenuto a versare l’assegno al figlio ventenne, a maggior ragione se è una ragazza, se vivono al sud, dove le opportunità di lavoro sono più basse”.

La vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale di Ragusa che, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi, ha revocato l’assegno di mantenimento in favore della figlia, originariamente concesso in via provvisoria, poiché nel frattempo era divenuta maggiorenne.

Anche la Corte di Appello di Catania aveva confermato la revoca poiché la ragazza ormai ventenne non aveva provato di essere impegnata a studiare o a lavorare.

La madre adiva quindi la Cassazione che, invece, accogliendone il ricorso, ribadiva in modo molto approfondito che la legge, in punto diritto al mantenimento, non distingue tra figli minorenni e maggiorenni e che l’onere dei genitori non cessa automaticamente con il compimento dei 18 anni. Ciò che conta, ha ribadito la Corte è il raggiungimento dell’indipendenza economica da valutarsi con riferimento all’età, all’impegno nello studio o nel lavoro e al contesto sociale.
Gli Ermellini hanno inoltre precisato che nel valutare la situazione occorre tener conto delle esigenze, del sesso e della residenza dei figli: la figlia femminina nata e crescita al sud ha molte più difficoltà a trovare lavoro di un figlio maschio.

Inoltre, in materia di onere della prova, il padre che chiede la revoca del mantenimento deve provare le motivazioni del perché non è più dovuto - prova nel caso specifico non raggiunta dal padre.

Per tali ragioni la Corte di Cassazione cassava con rinvio alla Corte di Appello di Catania per il riesame della questione.

Voi cosa ne pensate? Ha ragione la Cassazione a richiamare l’attenzione dei giudici al sesso e al luogo di residenza dei figli?

Sul blog approfondisce la decisone la Dott.ssa Elisa Cazzaniga.

66 10
Open
La Corte di Cassazione con la decisione n. 12121/2025 ha affermato che “il genitore separato è tenuto a versare l’assegno al figlio ventenne, a maggior ragione se è una ragazza, se vivono al sud, dove le opportunità di lavoro sono più basse”.

La vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale di Ragusa che, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi, ha revocato l’assegno di mantenimento in favore della figlia, originariamente concesso in via provvisoria, poiché nel frattempo era divenuta maggiorenne. 

Anche la Corte di Appello di Catania aveva confermato la revoca poiché la ragazza ormai ventenne non aveva provato di essere impegnata a studiare o a lavorare.

La madre adiva quindi la Cassazione che, invece, accogliendone  il ricorso, ribadiva in modo molto approfondito che la legge, in punto diritto al mantenimento, non distingue tra figli minorenni e maggiorenni e che l’onere dei genitori non cessa automaticamente con il compimento dei 18 anni. Ciò che conta, ha ribadito la Corte è il raggiungimento dell’indipendenza economica da valutarsi con riferimento all’età, all’impegno nello studio o nel lavoro e al contesto sociale. 
Gli Ermellini hanno inoltre precisato che nel valutare la situazione occorre tener conto delle esigenze, del sesso e della residenza dei figli: la figlia femminina nata e crescita al sud ha molte più difficoltà a trovare lavoro di un figlio maschio.

Inoltre, in materia di onere della prova, il padre che chiede la revoca del mantenimento deve provare le motivazioni del perché non è più dovuto - prova nel caso specifico non raggiunta dal padre. 

Per tali ragioni la Corte di Cassazione cassava con rinvio alla Corte di Appello di Catania per il riesame della questione.

Voi cosa ne pensate? Ha ragione la Cassazione a richiamare l’attenzione dei giudici al sesso e al luogo di residenza dei figli? 

Sul blog approfondisce la decisone la Dott.ssa Elisa Cazzaniga.

Il Tribunale di Modena, prima, e la Corte d’Appello di Bologna, successivamente, condannavano un ragazzo per il reato di indebito utilizzo di carta di credito, previsto dall’art. 493-ter c.p..

L’imputato presentava ricorso per cassazione sostenendo la non punibilità tra congiunti, prevista dall’art. 649 c.p.: l’indebito utilizzo della carta del padre avrebbe leso solo il patrimonio della persona offesa, senza coinvolgere beni giuridici ulteriori.
Invocava, poi, la scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), sostenendo che fosse abitualmente autorizzato all’uso della carta di credito paterna. Infine, il ricorrente lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p., rilevando che il danno arrecato ammontava a soli 30 euro.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure (Cass. 7651/25).

In particolare, con riferimento all’art. 649 c.p., secondo la Cassazione il reato di indebito utilizzo di carta di pagamento ha natura plurioffensiva: non si lede solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche l’affidabilità e la sicurezza delle transazioni economiche.

Per quanto riguarda la scriminante del consenso, il fatto che l’imputato fosse in possesso della carta e del relativo codice non dimostrava la sussistenza di un consenso attuale del padre al suo utilizzo. Anzi, è stato evidenziato che il figlio aveva utilizzato la carta per prelevare denaro per acquistare sostanze stupefacenti: il consenso del titolare della carta non può estendersi a finalità illecite.

Infine, la Corte ha evidenziato che la valutazione della particolare tenuità del fatto non può basarsi solo sull’entità del danno, ma deve tenere conto anche delle modalità della condotta: l’imputato aveva utilizzato la carta di credito per acquistare droga e, al momento del prelievo, si trovava in stato di detenzione domiciliare.

Cosa pensate di questa decisione? Scrivetelo nei commenti!

Post scritto da @avvcrespi

82 33
Open
Il Tribunale di Modena, prima, e la Corte d’Appello di Bologna, successivamente, condannavano un ragazzo per il reato di indebito utilizzo di carta di credito, previsto dall’art. 493-ter c.p..
 
L’imputato presentava ricorso per cassazione sostenendo la non punibilità tra congiunti, prevista dall’art. 649 c.p.: l’indebito utilizzo della carta del padre avrebbe leso solo il patrimonio della persona offesa, senza coinvolgere beni giuridici ulteriori.
Invocava, poi, la scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), sostenendo che fosse abitualmente autorizzato all’uso della carta di credito paterna. Infine, il ricorrente lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p., rilevando che il danno arrecato ammontava a soli 30 euro.
 
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure (Cass. 7651/25).
 
In particolare, con riferimento all’art. 649 c.p., secondo la Cassazione il reato di indebito utilizzo di carta di pagamento ha natura plurioffensiva: non si lede solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche l’affidabilità e la sicurezza delle transazioni economiche.
 
Per quanto riguarda la scriminante del consenso, il fatto che l’imputato fosse in possesso della carta e del relativo codice non dimostrava la sussistenza di un consenso attuale del padre al suo utilizzo. Anzi, è stato evidenziato che il figlio aveva utilizzato la carta per prelevare denaro per acquistare sostanze stupefacenti: il consenso del titolare della carta non può estendersi a finalità illecite.
 
Infine, la Corte ha evidenziato che la valutazione della particolare tenuità del fatto non può basarsi solo sull’entità del danno, ma deve tenere conto anche delle modalità della condotta: l’imputato aveva utilizzato la carta di credito per acquistare droga e, al momento del prelievo, si trovava in stato di detenzione domiciliare.
 
Cosa pensate di questa decisione? Scrivetelo nei commenti!
 
Post scritto da @avvcrespi

Sul conto cointestato sul quale confluisce solo lo stipendio del marito può prelevare senza limiti la moglie anche se non lavora, e se i prelievi servono per mantenere la famiglia può prelevare anche oltre il 50% dell’importo totale.

Il caso: dopo diversi anni di matrimonio nel corso del quale nascevano ben sette figli, una donna dedita esclusivamente alla famiglia decideva di porre fine all’unione a causa delle ripetute violenze subite.

Durante la trattativa l’uomo si allontanava da casa pur sapendo di essere l’unico a lavorare e per mesi interrompeva di versare il necessario per mantenere la famiglia, con l’idea di giungere velocemente ad un accordo.

La donna però bonificava in più riprese delle somme dal conto corrente cointestato per un totale di €42.000 (su €70,0.000 iniziali) al proprio conto e così provvedeva alla famiglia e agiva in giudizio per la separazione chiedendo l’addebito.

Ritenendo fossero solo suoi i soldi sul conto, l’uomo accusava la moglie di averlo “derubato” e agiva in Tribunale chiedendo la restituzione dei soldi prelevati e la condanna della moglie per non aver acconsentito a portare avanti le trattative!

Ma il Tribunale di Milano non ha dubbi: con la sentenza n. 3810 pubblicata il 10 maggio 2025, ha respinto le domande dell’uomo chiarendo che la cointestazione di un conto corrente fa presumere la contitolarità delle somme giacenti sul conto salva la prova contraria e che le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell`obbligo di contribuzione di cui all`art. 143 c.c., che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato, non determinano alcun diritto al rimborso.

Ogni coniuge, infatti, contribuisce alla vita familiare in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro anche domestico . Ne consegue che la maggiore contribuzione in termini di denaro di uno dei coniugi alle spese familiari può essere coerente con la circostanza che - per scelta dei coniugi - la moglie non lavori perché dedicata alle incombenze domestiche ed alla cura dei numerosi figli.

L’uomo veniva quindi condannato alle spese di lite!

73 13
Open
Sul conto cointestato sul quale confluisce solo lo stipendio del marito può prelevare senza limiti la moglie anche se non lavora, e se i prelievi servono per mantenere la famiglia può prelevare anche oltre il 50% dell’importo totale.

Il caso: dopo diversi anni di matrimonio nel corso del quale nascevano ben sette figli, una donna dedita esclusivamente alla famiglia decideva di porre fine all’unione a causa delle ripetute violenze subite.

Durante la trattativa l’uomo si allontanava da casa pur sapendo di essere l’unico a  lavorare e per mesi interrompeva di versare il necessario per mantenere la famiglia, con l’idea di giungere velocemente ad un accordo.

La donna però bonificava in più riprese delle somme dal conto corrente cointestato per un totale di €42.000 (su €70,0.000 iniziali) al proprio conto e così provvedeva alla famiglia e agiva in giudizio per la separazione chiedendo l’addebito.

Ritenendo fossero solo suoi i soldi sul conto, l’uomo accusava la moglie di averlo “derubato” e agiva in Tribunale chiedendo la restituzione dei soldi prelevati e la condanna della moglie per non aver acconsentito a portare avanti le trattative!

Ma il Tribunale di Milano non ha dubbi: con la sentenza n. 3810 pubblicata il 10 maggio 2025, ha respinto le domande dell’uomo chiarendo che la cointestazione di un conto corrente fa presumere la contitolarità delle somme giacenti sul conto salva la prova contraria e che le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 c.c., che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato, non determinano alcun diritto al rimborso.

Ogni coniuge, infatti, contribuisce alla vita familiare in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro anche domestico . Ne consegue che la maggiore contribuzione in termini di denaro di uno dei coniugi alle spese familiari può essere coerente con la circostanza che - per scelta dei coniugi - la moglie non lavori perché dedicata alle incombenze domestiche ed alla cura dei numerosi figli.

L’uomo veniva quindi condannato alle spese di lite!
Load More Follow on Instagram

Contactez-nous

Chargement en cours
Questo sito utilizza i cookie per le finalità indicate nella Privacy & Cookie Policy. Proseguendo, ne acconsenti l'utilizzo.OkPrivacy & Cookie Policy