
Genitore violento nei confronti del figlio che va male a scuola: maltrattamenti in famiglia o abuso dei mezzi di correzione?
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
Una recente e interessante sentenza della Cassazione su comportamenti violenti dei genitori nei confronti dei figli che non vanno bene a scuola, fa chiarezza sulle differenze tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti in famiglia (n. 17558 del 27 aprile 2023).
Un uomo, in base al capo di imputazione, avrebbe maltrattato il figlio minore, con condotte poste in essere da gennaio ad aprile 2019, consistite nel colpirlo con calci sul sedere, nel metterlo al corrente dei suoi dubbi sulla paternità, nel chiuderlo fuori sul terrazzo e nel colpirlo con una cinta alla schiena, adducendo come motivazione lo scarso rendimento scolastico.
Il Tribunale di Ravenna condannava l’imputato alla pena di giorni 20 di reclusione per il reato di abuso dei mezzi di correzione, previsto dall’art. 571 c.p., riqualificando l’originaria imputazione di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p..
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna proponeva ricorso immediato per cassazione, deducendo il vizio di violazione dell’art. 571 c.p.: il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato come “abuso di mezzi di correzione” le condotte violente poste in esse dall’imputato nei confronti del figlio minore ed escluso l’abitualità delle condotte sulla base del solo dato relativo al numero dei comportamenti; inoltre, avrebbe omesso di considerare la sistematicità delle condotte di sopraffazione fisica e morale descritta dal minore, che era stato definito attendibile.
Secondo la Cassazione il ricorso va accolto, con conseguente annullamento della sentenza con rinvio per un nuovo giudizio davanti alla Corte di Appello di Bologna.
Secondo la Suprema Corte il Tribunale ha ritenuto di riqualificare le condotte nel reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, considerando il carattere episodico delle condotte violente, correlate al rendimento scolastico del minore.
Tuttavia, ha analizzato vari episodi, in particolare quattro, due dei quali connotati dall’impiego di violenza fisica sul minore; in un’altra circostanza l’imputato chiudeva il figlio fuori sul terrazzo di casa in orario notturno per circa un’ora per punirlo del cattivo rendimento scolastico.
Infine, secondo la Cassazione è rilevante quanto riportato dal Giudice di Primo Grado con riguardo alle dichiarazioni della madre del minore in merito a dei messaggi audio inviati a lei dall’imputato, ma ascoltati anche dal minore: in essi, oltre ad esprimere dubbi sulla paternità, affermava «Se non l’ho ammazzato oggi, ci mancava poco».
Gli Ermellini ritengono che il Tribunale abbia qualificato erroneamente le condotte accertate in dibattimento ai sensi dell’art. 571 c.p. Ed invero, l’abuso “presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi di correzione o di disciplina in sé giuridicamente leciti. Tali non possono, tuttavia, considerarsi gli atti che, pur ispirati da un “animus corrigendi” sono connotati dall’impiego di violenza fisica o psichica”.
Ricordando alcuni precedenti, nonché la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 osserva che “le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo, che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore”.
Pertanto, sottolinea come l’uso di qualunque forma di violenza fisica o psicologica a scopi educativi esuli dal perimetro applicativo dell’art. 571 c.p. e ciò per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore: il minore è titolare di diritti e non più semplice oggetto di protezione da parte degli adulti.
Il Giudice del rinvio dovrà valutare se, alla luce della contestazione e delle risultanze dibattimentali, le condotte ascrivibili all’imputato presentino le connotazioni, in chiave di intensità e, soprattutto, di abitualità, tali da integrare il reato di maltrattamenti ovvero se siano riconducibili ad altre fattispecie di reato.
La sentenza cassata desta perplessità sotto vari aspetti. In primo luogo, non ha applicato il principio ormai granitico in base al quale l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche se sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma in quella più grave di maltrattamenti.
In secondo luogo, non ha riconosciuto la ‘sistematicità’ delle condotte in un arco temporale di ben 4 mesi: più comportamenti, che – senza alcun dubbio – possono essere considerati violenti.
Va, infatti, ricordato che secondo la Cassazione per l’abitualità della condotta occorre un numero minimo di condotte collegate tra di loro: non devono essere sporadiche e devono essere la manifestazione di una persistente attività vessatoria, tale da generare un regime di vita persecutorio ed umiliante.
La violenza esercitata per ben quattro mesi non può certamente essere considerata “sporadica” ed è sintomatica di una lunga vessazione.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.