
Cosa accade se il genitore obbligato al mantenimento dei figli, viene licenziato?
(A cura della Dottoressa Elisa Cazzaniga)
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione è di recente tornata sul punto con l’ordinanza n.15101 del 30 maggio 2023, affermando che non solo che l’assegno di mantenimento in favore dei figli può diminuire in caso di licenziamento del genitore onerato, ma anche che la decurtazione decisa in sede di Appello, è retroattiva alla data della pubblicazione della sentenza di primo grado qualora i presupposti per un più alto importo fossero in radice insussistenti.
Ma procediamo con ordine: la vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale di Genova che nel mese di maggio 2019 aveva pronunciato sentenza di separazione personale tra i coniugi assegnando la casa di proprietà del marito alla madre collocataria dei minori e ponendo a carico del padre un assegno di mantenimento a favore dei tre figli quantificandolo in 300,00€ mensili per ciascun figlio, per un totale di €900,00. L’uomo, che nelle more del procedimento di primo grado era stato improvvisamente licenziato ma nonostante questo aveva visto confermato il contributo stabilito quando ancora lavorava, proponeva appello verso la sentenza di primo grado chiedendo la riduzione dell’assegno di mantenimento.
La Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata nel mese di luglio 2019, accoglieva parzialmente il ricorso del padre e rideterminava il contributo al mantenimento per i tre figli nella minor misura complessiva di 600,00€ mensili e fissava anche la decorrenza della riduzione alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. Avverso tale sentenza, la moglie proponeva ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte riteneva infondati entrambi i motivi di impugnazione.
Con la prima censura, la donna lamentava l’omessa valutazione da parte della Corte di Appello di elementi quali le disponibilità patrimoniali dell’onerato acquisite per eredità del padre, la di lui potenziale elevata capacità lavorativa ed il tenore di vita pregresso goduto dai figli. Dal momento con tale motivo di impugnazione si chiedeva null’altro che una mera rivalutazione di elementi di fatto già esaminati dagli giudice di seconde cure e di conseguenza non sindacabili in sede di legittimità, gli Ermellini, richiamando una precedente pronuncia, sottolineavano che “è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, in realtà, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito”.
In ogni caso, la Corte di Cassazione confermava che la quantificazione dell’assegno di mantenimento effettuata dal Giudice di secondo grado era da ritenersi corretta poiché tutte le circostanze fattuali erano state tenute in debita considerazione: il licenziamento era una circostanza sopravvenuta non prevedibile al momento dell’iniziale determinazione del mantenimento, ed era un accadimento che aveva comportato un’effettiva diminuzione delle possibilità economiche dell’uomo; nonostante a seguito del licenziamento, il controricorrente avesse ricevuto un’indennità lorda di circa 140.000€, lo stesso era poi rimasto privo di occupazione per quasi due anni durante i quali aveva percepito unicamente l’indennità NASPI di circa 900,00€ mensili; il nuovo lavoro come docente universitario presso la facoltà di scienze motorie permetteva all’uomo di percepire uno stipendio lordo di circa 2.200€ pari alla metà dello stipendio percepito prima del licenziamento e gli immobili ereditati erano in comproprietà con la madre e un fratello, e quindi difficilmente vendibili. La Suprema Corte, inoltre, riprendendo l’ordinanza 27599/2022, evidenziava che nella quantificazione dell’assegno di mantenimento deve attribuirsi rilievo anche all’attribuzione della casa familiare e che, essendo nel caso di specie la casa di proprietà dell’uomo gravata da mutuo assegnata alla moglie, anche questo aspetto era stato correttamente considerato per la rimodulazione al ribasso dell’assegnamento di mantenimento.
Alla luce di tutte le argomentazioni svolte, la diminuzione del contributo al mantenimento dei minori operata dalla Corte d’Appello di Genova era corretta.
Del pari corretta, anche la decisione in merito alla decorrenza della riduzione dell’importo a carico dell’uomo.
Con la seconda censura, infatti, la donna lamentava la decisione della Corte di Appello di retrodatare la decorrenza della riduzione del contributo per il mantenimento dei figli alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado avvenuta nel mese di giugno 2019. Anche questo secondo motivo di impugnazione veniva dichiarato infondato dagli Ermellini in virtù del più recente orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sentenza 32914/2022) che in caso di rimodulazione “al ribasso” dell’assegno di mantenimento o divorzile chiarisce che opera la “condictio indebiti” ovvero la regola della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione “del richiedente o avente diritto”, ove si accerti l’insussistenza “ab origine” dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile.
La regola generale di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. è infatti temperata dalle esigenze equitative e solidaristiche espressione della solidarietà familiare nel caso in cui, a seguito di una diversa valutazione del giudice di seconde cure, l’assegno di mantenimento venga rimodulato “al ribasso”, sempre che non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media.
In conclusione, pertanto, l’uomo potrà richiedere alla moglie le maggiori somme versate per i figli dal giorno della pubblicazione della sentenza del Tribunale Ordinario di Genova in primo grado sino alla decisione della Cassazione.
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